In televisione, durante la campagna elettorale, siamo stati pessimi. Sui social non è andata meglio. Ogni candidato andava per sé. E soprattutto non abbiamo rivendicato a sufficienza le cose su cui avevamo e abbiamo indiscutibilmente ragione.
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In televisione, durante la campagna elettorale, siamo stati pessimi. Sui social non è andata meglio. Ogni candidato andava per sé. E soprattutto non abbiamo rivendicato a sufficienza le cose su cui avevamo e abbiamo indiscutibilmente ragione.
Ancora una volta, il grande malinteso a sinistra è che “per vincere” si debba fare “come Berlusconi”. Ma neanche Berlusconi fece “come Berlusconi”. Che la destra comunichi in termini talvolta odiosi o demagogici non significa che la sue asserzioni non poggino su dati di realtà, su elettori veri, su una base sociale.
Anche a sinistra, moltissimi sono convinti che la comunicazione venga prima, al posto e in surroga della politica, e che la politica stessa debba essere seconda, ancillare, attenuata, sennò non si ‘vince’. Segno che il renzo-berlusconismo è passato anche da noi.
Bernbach demolì l’impostazione autoritaria, il pulpito dal quale i poteri amano diffondere i messaggi. Fu l’evento principale del 900 per la comunicazione
La fiducia si nutre di concretezza. E la partecipazione cresce solo se il discorso pubblico è credibile. “Straight Talking. Honest Politics”, dice Corbyn
Di fronte alla realtà il comunicatore dovrebbe essere rispettoso come il marinaio del mare o lo scalatore della montagna. Tanto più di fronte agli elettori.
Dalla crisi della politica si pensa a trarre profitto non a contrastarla, credendo di poterla gestire coi media. Ma la realtà riprende sempre il suo posto
Curioso che, in questi tempi nei quali l’aggettivo “divisivo” sembra assurto a difetto principe, non si tenga conto del fatto che in comunicazione marcare la propria posizione è essenziale.
Dal 1994, in Italia, comunicazione significa Berlusconi. Mentre la sinistra “non sa comunicare”. Fu un esproprio: comunicare vuol dire mettere in comune