La scopa del riformismo. La battaglia (vinta) degli operai della Whirlpool

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A Napoli sembra determinarsi finalmente una svolta per lo stabilimento ex Whirlpool e i suoi lavoratori. Una vertenza durata anni – il 31 maggio saranno quattro anni dall’annuncio della multinazionale – e il cui esito positivo non era affatto scontato. Il primo tavolo convocato al Mise dal Ministro Di Maio finì con un nulla di fatto, con la proprietà indisponibile a qualsiasi mediazione e lo sconcerto generale della città. Nel confronto con la multinazionale si sono “rotti la testa” – ovviamente in senso metaforico – sia Conte che Draghi, nonostante pressioni dirette e ripetute per convincere a riavviare la produzione a Napoli.

Erano 340 lavoratori e lavoratrici dipendenti di una delle ultime fabbriche presenti nella cinta daziaria di Napoli, in un’area difficile come quella orientale dove la presa criminale è tuttora fortissima, improvvisamente licenziati con un sms. Un segnale drammatico di diserzione dello Stato e di impotenza della politica davanti alle decisioni incomprensibili di un management che ha continuato ad accumulare stock option licenziando lavoratori e chiudendo aziende in giro per l’Europa.

In questi anni i sindacati e i lavoratori hanno trasformato una vertenza di un sito industriale periferico in una battaglia generale che ha parlato all’Italia. Non si sono chiusi, non si sono dispersi: hanno rivendicato la decisione di restare a Napoli, anche quando la Whirlpool proponeva sostanziose buonuscite per trasferirsi a Varese, dove ha sede il sito più grande della multinazionale. Napoli non molla, questo lo slogan fortemente evocativo. Centinaia di cortei, blocchi stradali, veglie notturne sotto il Mise. I governi passavano, la vertenza purtroppo resta a sempre lì.

La decisione della Zes di aprire il bando e la conseguente assegnazione alla TeaTek, azienda napoletana leader nella transizione green del sito di Via Argine è la dimostrazione che quando c’è collaborazione tra le istituzioni i risultati possono arrivare.

Ha pesato soprattutto la capacità degli operai di trasformare il sito – e il vecchio Cral aziendale – in uno dei luoghi di riscatto civile e democratico della città. Sono passati di lì attori, registi, scrittori, cooperatori, esponenti dell’associazionismo, personalità politiche, autorità religiose, a partire dal Vescovo monsignor Domenico Battaglia, che non ha mai dimenticato di menzionare in tutte le uscite pubbliche l’emergenza Whirlpool come ferita aperta della vita della città. Basti pensare che si è svolto a Via Argine nel maggio di un anno fa il XXXI sinodo di Napoli: una scelta fortissima e inedita per la chiesa napoletana. E anche Articolo Uno celebrerà proprio lì la propria assemblea nazionale il prossimo 11 giugno alla presenza della segretaria del Pd Elly Schlein.

Su Whirlpool sono stati prodotti calendari, scritti libri ed è stato girato anche un bellissimo documentario, presentato al Festival del Cinema di Roma, con la regia di Gianfranco Pannone e la voce narrante di Alessandro Siani. Indimenticabile la sfilata sulla croisette di Roma degli operai e delle operaie tra lo stupore e la commozione del pubblico che aspettava i divi del cinema e si ritrovava invece le tute blu.

Oggi lo spiraglio che si apre ci dice due cose: innanzitutto che non sta scritto da nessuna parte che il futuro produttivo del sud sia solo ed esclusivamente da affidare al turismo. E che il sud che può riscattarsi passa attraverso la strada di politiche industriali innovative e che mettano al centro la transizione ecologica e digitale e il lavoro stabile.

E, in secondo luogo, che “fare società” – e dunque fare conflitto – riattiva energie positive, mobilita mondi anche diversi e distanti tra loro e può persino vincere. Oggi gli operai hanno mostrato alle telecamere uno striscione tanto emblematico quanto amaramente ironico: “finalmente na scop…”. Tradotto in italiano: finalmente mettiamo una scopa ovvero apriamo una crepa e dunque raggiungiamo un obiettivo. Mi hanno raccontato che era quello che si dicevano tra loro preoccupati dopo ogni incontro con il governo: dobbiamo “mettere una scopa”.

Mi si consenta la digressione in tempi di piccoli maestri del “riformismo delle controriforme”: mettere una scopa è esattamente una affermazione riformista. I piccoli passi per garantire i diritti e la difesa del posto di lavoro: questa lezione viene dagli operai ancora una volta, e non da cattedre erudite.

Ora che il sito di Via Argine ha un acquirente che ha vinto il bando, il ruolo della politica e del governo non è terminato. Entro 180 giorni i 317 operai dovranno essere assunti e nel frattempo si dovrà discutere il piano industriale e trovare una soluzione con gli ammortizzatori sociali perché prima che riapra la fabbrica e riprenda la nuova produzione, occorrerà garantire nella fase di passaggio che nessuno resti senza reddito. La Naspi scade a ottobre e la richiesta più imminente dei sindacati è che venga assegnata la cassa integrazione ai lavoratori per riconversione industriale. Dunque, importante sarà il tavolo convocato al Mimit con le parti sociali il 16 maggio prossimo. Il progetto di reindustrializzazione avrà successo se tutti faranno la propria parte fino in fondo. A partire dal Governo, che finora non ha ancora spiegato al paese quale sia la sua idea di politica industriale e di sviluppo del mezzogiorno.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.