I nodi stanno venendo al pettine. Oggi più che mai siamo isolati in Europa e un anno di propaganda antieuropeista non ha prodotto modifiche alle regole

I nodi stanno venendo al pettine. Oggi più che mai siamo isolati in Europa e un anno di propaganda antieuropeista non ha prodotto modifiche alle regole
Scopro che avrei deciso non solo di fare cadere Letta ma anche di avere imposto Giovanni Legnini come vice presidente del Csm. Cosa dire? Che non pensavo di avere tutto questo potere. Una vera dittatura dell’allora minoranza. Gli italiani non sono stupidi e sono in grado di capire come sono andate le cose. Alle affermazioni di Renzi, sorrido. Anzi, aggiungo: lui non voleva fare il premier, abbiamo dovuto costringerlo!
Sono rimasto colpito e dispiaciuto per l’assenza di reazioni nel campo politico cui si rivolge il mio preoccupato appello, salvo qualche sgraziata sortita priva di rispetto e di intelligenza a dimostrazione che il centrosinistra è, malgrado gli apprezzabili sforzi di Nicola Zingaretti, ancora infestato dai residui di un ceto politico che sembra non aver imparato nulla dalla lezione di questi anni, neppure sul piano dello stile. Vorrei però tornare su un punto sollevato per inciso da Silvia Truzzi, si tratta del riferimento alla volontà di “sospendere l’articolo 18” che sarebbe stata manifestata dal mio governo. Non ho alcun intento polemico, tantomeno di natura personale, anche perché la collega si è limitata a riprendere una ricostruzione leggendaria che ha avuto corso e continua ad averne. Ma questa ricostruzione non è vera.
Le urne hanno fatto emergere – per l’ennesima volta, verrebbe da dire – un’Italia reale molto distante da quella rappresentata sui media o su twitter. Il passo da compere per costruire l’alternativa non è quello di diventare genericamente “più di sinistra”, accentuando magari tic linguistici, errori del passato e perfino una distanza epidermica con gli elettori che avevano scelto il M5S. Si tratta invece di trasmettere al nostro ex popolo il messaggio di aver capito, senza continuare a dare l’idea che sia il popolo a doversi redimere per capire il discorso alto e nobile della sinistra. Il punto non è perciò se il nuovo centro-sinistra debba spostarsi in astratto più al centro o a sinistra. Se il centro è moderatismo, lì non c’è più nessuno. Se il centro è buon senso, concretezza e capacità di guardare in faccia la realtà, nell’attuale epoca storica questo buon senso può essere qualcosa di molto radicale, ben più di una certa sinistra parolaia e autocompiaciuta.
Se un parlamentare dismette i suoi panni istituzionali e si mette a brigare sulle nomine del Csm, significa che qualcosa nel gioco democratico non va. È tecnicamente una lesione della divisione liberale dei poteri dello stato. E dunque una deformazione della democrazia repubblicana. La cosa singolare è che a farlo sono quelli che da anni impartiscono lezioni di liberalismo alla sinistra di cui pure dicono di fare parte. E che hanno urlato alla deriva autoritaria, ma sempre quando questa riguarda gli altri.
Per voltare pagina serve una svolta vera a partire dalle questioni economiche e sociali. Dobbiamo parlare prima di tutto a chi negli ultimi anni ci ha votato le spalle. Ad oggi non ci siamo riusciti. Analizzando le ragioni politiche dello sfondamento della destra, invece, non possiamo non evidenziare la scelta scellerata di aver favorito la saldatura tra Lega e 5 stelle dopo il 4 marzo. La strategia del dopo 4 marzo ha alzato una diga invalicabile nel rapporto tra 5 stelle e Centrosinistra. Descriverli, come ha fatto troppo spesso l’opposizione, come degli incapaci, cialtroni e incompetenti non è il modo migliore per parlare ad un elettorato mobile ed in buona parte deluso dalle politiche fatte dal governo. Quell’elettorato aveva riposto le proprie speranze nei 5 stelle perché li aveva percepiti come capaci di interpretare i loro bisogni e rispondere alle loro domande. Ora il tema che abbiamo davanti è: siamo in grado di capire quelle domande e, senza dare giudizi sprezzanti, offrire risposte all’altezza?
Questo governo è ormai al capolinea, non è più in grado di rispondere alle esigenze di questo Paese. E non ha mai un disegno strategico condiviso. Stanno esplodendo le distanze tra Lega e Cinque Stelle. Sulle date e sugli esiti della crisi, solo il Presidente può decidere. Faccio una valutazione politica: è stato un errore grave da parte del Pd aver consentito questa saldatura. Ora bisogna lavorare per romperla. Rivendico la scelta di non aver ulteriormente frammentato il campo progressista, aderendo alla lista unitaria lanciata di Zingaretti e legata alla famiglie del Pse, che è quella di Pedro Sanchez e Jeremy Corbyn. Noi rivendichiamo la nostra autonomia di Articolo Uno, ma vogliamo continuare a coltivare il processo costituente di un nuovo centrosinistra.
Io sono politicamente un po’ presbite: inciampo sul passo breve. Ma sul medio lungo ci vedo bene: è il momento di costruire una sinistra larga e plurale. Serve tirare una riga sugli ultimi anni. Lo dico in bersanese: con questa destra che avanza, continuare a litigare su chi deve chiedere scusa a chi, ha lo stesso gusto che succhiare un paracarro. Condizione due: dove mettiamo la barra? Andiamo verso la linea del socialista spagnolo Pedro Sànchez o verso quella del forzista Gianfranco Miccichè? La terza condizione è metterci d’accordo su quale sia il problema principale oggi in Italia. Per me è la destra regressiva.
Le elezioni le ha vinte la destra, su questo non c’è dubbio. Ma il centrosinistra ha fermato una emorragia e si è reinsediato nel suo mondo. Il Pd si è presentato con un volto nuovo, positivo, non arrogante e non antisindacale. Però quell’elettorato che si era allontanato aveva bisogno di un elemento più forte di discontinuità che non c’è stato. Per ragioni anche comprensibili, il poco tempo a disposizione. L’immagine del Pd resta da ricostruire, insieme a una coalizione di centrosinistra completamente nuova. Io anziché aprire il dibattito sul centro mi piglierei uno dei pochi capi operai della sinistra, Maurizio Landini, e gli farei fare un seminario di una settimana per spiegare come si parla agli operai, il 50 per cento dei quali ha votato Lega. Perché il Pd, al momento, non è in grado di farlo.