Vincenzo Visco, Il Sole 24 Ore
Si tratta di superare un approccio ormai molto radicato, ancorché errato e, a mio avviso, contrario ai trattati, che ha prevalso negli ultimi anni. Se l’aumento dei disavanzi pubblici e dei debiti dell’eurozona non sarà gestito in modo non convenzionale, potrebbe veramente portare alla sua dissoluzione, dal momento che i mercati non si lasciano commuovere dal coronavirus. Studi dimostrano come i grandi debiti accumulati in passato (per esempio dopo la crisi del ’29 o dopo la Seconda guerra mondiale) non siano mai stati rimborsati interamente secondo principi e criteri ortodossi, ma che essi spesso vennero eliminati (ridotti) in seguito a default, o ristrutturazioni, o mediante una forte inflazione (come fece l’Italia – Einaudi – dopo la guerra). Talvolta possono essere riassorbiti grazie a un periodo di forte crescita economica (che oggi non appare molto probabile), ma più spesso sono stati gestiti mediante sistematici interventi di “repressione finanziaria” consistenti nel collocare forzosamente il debito presso le istituzioni finanziarie o i fondi pensione, o imponendo tetti ai tassi di interesse, eccetera. Nella attuale situazione europea si potrebbe pensare ad un apposito contenitore in cui collocare l’extra debito con una scadenza molto lunga (30-50 anni), in modo da evitare che esso interferisca e renda molto difficile la ripresa economica.