Visco: tutto quello che la delega fiscale non dice

Politica e Primo piano

Pubblicato su Il Sole 24 Ore

di Vincenzo Visco

Se si chiedesse a un osservatore esterno e imparziale di individuare le principali carenze del fisco italiano, con ogni probabilità indicherebbe i punti seguenti:

  • L’enorme evasione fiscale che si presenta come fenomeno di massa che riguarda essenzialmente alcune categorie di contribuenti, come certificato dalle statistiche pubblicate annualmente dal governo, che indicano come i lavoratori indipendenti e le piccole imprese non dichiarano percentuali comprese tra il 65 e il 70% dei loro redditi. Si tratta degli stessi contribuenti cui recentemente è stato riservato un trattamento di grande privilegio attraverso un sistema di forfettizzazione molto generoso;
  • La frammentazione del sistema per cui diverse categorie di reddito vengono trattate in modo differente, mentre disparità di trattamento si riscontrano anche all’interno delle stesse categorie reddituali, col risultato che, a parità di reddito, i contribuenti subiscono prelievi anche molto differenti;
  • Lo straordinario ricorso alle spese fiscali. e a incentivi alle imprese che si sovrappongono e sono fonte di abusi e robuste perdite di gettito;
  • La difformità di imposizione dei redditi di capitale che distorcono una corretta allocazione del risparmio tra impieghi diversi;
  • L’esclusione dei redditi soggetti al regime forfettario o che beneficiano di regimi cedolari o sostitutivi dalla contribuzione alla spesa pubblica locale attraverso le addizionali comunali e regionali;
  • L’elusione delle imprese maggiori grazie al ricorso a politiche di ottimizzazione fiscale anche facendo ricorso a paradisi fiscali europei ed extraeuropei;
  • L’arretratezza del catasto dei fabbricati e dei terreni, e la sostanziale esclusione di gran parte del settore agricolo dalla imposizione;
  • L’eccesso di tassazione sul lavoro a causa di un prelievo fondato principalmente su imposte sul reddito e contributi sociali in un contesto in cui la quota dei redditi di lavoro in contabilità nazionale si è ridotta negli ultimi 30 anni di oltre 15 punti; problema che riguarda tutti i paesi occidentali e che altrove è molto discusso;
  • L’inefficienza del sistema di riscossione;
  • Il difficile rapporto tra amministrazione e contribuenti; la mancata utilizzazione delle banche dati esistenti.

Non sembra proprio che la delega che il governo si accinge ad approvare affronti, se non limitatatamente, i problemi indicati, e quindi risulta di limitato interesse, e di scarsa utilità.

Al contrario, la proposta accetta e anzi rafforza la balcanizzazione del fisco italiano, e la sua (ri)cedolarizzazione, regredendo a una visione del sistema tributario pre-riforma del 1973, per cui ogni categoria di reddito merita un trattamento separato, in una sorta di fisco corporativo in cui si guarda con particolare favore soprattutto ad alcune categorie di contribuenti, quelli ritenuti più vicini all’attuale maggioranza parlamentare. I principi di equità orizzontale (parità di trattamento in condizioni analoghe) e verticale (progressività) vengono dimenticati e continuano a essere violati, ignorando le conseguenze negative sul piano economico (corretta allocazione delle risorse) e sociale. Di evasione fiscale si parla, e anche correttamente per quanto riguarda il ricorso alle banche dati, ma ci si smentisce subito dopo quando si propone un concordato preventivo biennale che non potrebbe che avvenire in relazione ai redditi attualmente dichiarati, e quindi molto distanti da quelli che le banche dati consentirebbero di ricostruire, assicurando peraltro ai contribuenti l’esclusione dai programmi di accertamento.

Si abolisce ciò che resta dell’Irap, ma non si prende in considerazione la necessità di individuare nuove e più ampie basi imponibili per finanziare il welfare. Anzi, limitando la base imponibile ai soli profitti, si prospetta un incremento dell’Ires di 8-9 punti, che non sarebbe né gradito alle imprese né utile alla loro competitività sui mercati. Non si parla di catasto, di imposte patrimoniali e di agricoltura, mentre altri interventi che potrebbero risultare utili e apprezzabili (salvo verifica) non sembrano sufficienti a far ritenere utile una riforma che invece sarebbe sempre più urgente e necessaria.