Visco: servono leader in grado di accelerare l’integrazione europea

Politica e Primo piano

Pubblicato su Il Sole 24 Ore

di Vincenzo Visco

È diffusa la convinzione che l’Unione europea riesce a compiere passi avanti strutturali solo in occasione di crisi rilevanti. Se le cose stanno così, allora questo appare proprio il momento adatto per realizzare qualche cambiamento. In queste ultime settimane l’Europa ha potuto verificare ancora una volta la sua debolezza e l’insufficienza del suo assetto istituzionale su due punti strategici: l’economia, dove è evidente l’incapacità di rispondere tempestivamente e collettivamente alle conseguenze della guerra che colpisce in modo asimmetrico i diversi Paesi; e la difesa, la cui insufficienza evidenzia la sostanziale impotenza strategica dell’Europa. Le due questioni sono tra loro collegate, in quanto la loro soluzione implica progressi rilevanti verso l’unione politica.

Si parla oggi di difesa comune europea sottolineando i benefici e i vantaggi in termini di razionalizzazione organizzativa, risparmio dei costi, recupero di efficienza, coordinamento degli acquisti e degli investimenti. Ma la questione è piuttosto complessa. In proposito mi è tornato in mente un articolo di Hans Werner Sinn di quasi due anni fa (Project Syndicate del 15 maggio 2020). Sinn è un importante economista tedesco, molto autorevole e ascoltato, ordoliberista in economia e conservatore in politica e nel suo articolo criticava la decisione della Commissione di proporre al Consiglio europeo il Recovery fund, utilizzando tutti i ben noti luoghi comuni dell’ortodossia economica ordoliberista, per lo più errati, ma sostenendo anche che sarebbe opportuno che gli Stati europei procedessero verso una vera Unione politica, che però non potrebbe avere inizio, secondo Sinn, «mettendo in comune la “borsa”», bensì mettendo in comune l’esercito e gli armamenti (inclusi quelli nucleari francesi), unica base reale della sovranità di un Paese odi una Federazione di Paesi. Non sarebbe giusto, concludeva Sinn, che alcuni Paesi (la Germania in primis) pagassero, mentre altri manterrebbero il potere militare.

Non gli si può dare torto, ma ciò implica alcune conseguenze. Innanzitutto il superamento formale degli esiti politici della Seconda guerra mondiale e il riconoscimento della necessità di un riarmo tedesco; inoltre il riconoscimento che, nonostante l’Alleanza atlantica, gli interessi di Stati Uniti ed Europa possono non coincidere sempre e comunque, anche strategicamente, e che anche gli interessi tra gli Stati Europei non coincidono (gli ex Stati del blocco sovietico hanno una visione della difesa tutta e solo orientata a est, contro la Russia). Infine che, poiché se c’è un esercito, deve essere chiaro chi lo comanda e lo dirige, ci deve essere un centro di decisione politico unitario che condivida le posizioni di politica estera e di sicurezza interna, e gli obiettivi geostrategici. In tale contesto anche l’incremento delle spese militari che solleva non poche perplessità in molti potrebbe essere condiviso dalle opinioni pubbliche dei diversi Paesi, dando anche un senso al riarmo tedesco appena annunciato.

È possibile fare questo? Ed è possibile coinvolgere fin dall’inizio tutti e 27 i Paesi dell’Unione? La risposta è negativa almeno per quanto riguarda Paesi come l’Ungheria, la Polonia e i Baltici, senza dimenticare i Paesi neutrali. I modesti risultati realizzati a Versailles, pur andando nella direzione giusta, lo confermano. Quindi ha ragione Romano Prodi quando suggerisce di partire con una cooperazione rafforzata tra la Francia (che inevitabilmente avrebbe un ruolo preminente), Germania, Italia e Spagna, ma poi bisognerebbe andare avanti verso un coordinamento politico sempre più stretto.

Sarebbe comunque utile cominciare a discutere in modo esplicito di questo progetto che probabilmente non vedrebbe l’appoggio entusiastico degli Stati Uniti, e incontrerebbe resistenze e perplessità sia tra i Paesi membri che all’interno di ciascuno di essi, ma che sarebbe vitale per il futuro dell’Europa e la sua sicurezza.

Se per Sinn l’Unione militare rappresenterebbe la premessa politica necessaria per l’Unione economica, anche per questa, nonostante il progresso rappresentato dal Recovery fund, le difficoltà appaiono molto forti, come dimostra il dibattito (pre-bellico) sulla riforma della governane economica europea. Ma anche su questo punto è utile richiamare un altro personaggio conservatore tedesco, questa volta un uomo politico al massimo livello, Wolfgang Schäuble, che in un articolo pubblicato anche sul Sole 24 Ore il 1 maggio scorso, dopo avere ribadito la necessità di politiche prudenti, anzi austere, in terna di finanza pubblica, nonché il pericolo di indebitamenti eccessivi, meritandosi critiche generalizzate, e condivisibili, da parte di tutti i commentatori italiani, concludeva la sua argomentazione con una proposta importante la cui portata è stata inspiegabilmente ignorata. Schäuble rilancia la proposta avanzata una decina di anni fa dal Consiglio degli esperti economici della Germania, del tutto simile a quella avanzata da chi scrive in una precedente audizione al Parlamento europeo, e ricordata esplicitamente anche dal mio omonimo Governatore nelle Conclusioni finali dello scorso anno, di costituire un Fondo di ammortamento (Redemption fund) per la parte di debito pubblico dei Paesi della zona curo eccedenti il 60% del Pil, che andrebbe collocata in un Fondo che dovrebbe emettere obbligazioni a lunghissimo termine corrispondenti agli ammontari conferiti nel Fondo da ciascun Paese, con la garanzia congiunta di tutti, e con l’obbligo di ciascun Paese di garantire il rimborso della sua quota di partecipazione nel lungo periodo. Il vantaggio sarebbe ovviamente quello di avere un unico, basso, tasso di interesse, eliminando il problema degli spread, e un safe asset per il mercato finanziario europeo.

Si tratterebbe, secondo Schäuble, del meccanismo adottato da Hamilton nel 1792 per gli Stati Uniti e che consentì l’unificazione dei debiti pubblici dei singoli Stati. Poiché la Cdu, a differenza della Spd (che oggi è al governo) si era sempre opposta a questa proposta, il cambiamento di punto di vista da parte di Schäuble appare rilevante.

In conclusione, la situazione che si è venuta a creare con la guerra dovrebbe accelerare i processi già lentamente in corso, e fornire ai cittadini europei garanzie per la loro sicurezza, e per una gestione dell’economia orientata allo sviluppo nella stabilità, mantenendo la lealtà alla Nato, ma non dimenticando l’esperienza della presidenza Trump che suggerisce una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. Si tratta di trovare leader in grado di sostenere e realizzare questi progetti, e forse questa è probabilmente la difficoltà principale.