Tozzo: congresso di Articolo Uno, perché non voterò la mozione Speranza

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di David Tozzo

Un partito politico ha molte vite. Ogni sua rinascita avviene nell’alveo del suo congresso, momento democratico e politico per eccellenza che si ripete a cadenze regolari – nel caso di Articolo Uno, ogni tre anni – o anche straordinarie.

È un rito laico tutt’altro che formale, bensì squisitamente sostanziale, in cui una comunità partitica decide, democraticamente, come rinascere, quali nuove direzioni prendere, a che orizzonti rivolgersi; in alcuni casi, quelli dei congressi di scioglimento di un soggetto politico, si stabilisce perché morire, sovente per reincarnarsi in corpi altri, ma se non si decide di fermarsi non si può stabilire di star fermi, e dunque di rinascita non può che trattarsi, altrimenti non c’è ragione di andare a un congresso che non sia fastidiosa formalità o ozioso orpello.

Dopo un lustro dalla fondazione di Articolo Uno, e tre anni dal suo I congresso costitutivo in partito, il II congresso è fissato per il 23 e 24 aprile prossimi. Da tempo, anni, si è in attesa di decidere cosa fare da grandi, e se la pandemia ha da ormai oltre un biennio giocoforza messo in secondo piano l’azione di Roberto Speranza come Segretario nazionale, pare proprio esserci minor giustificazione all’indefinitezza del percorso politico del partito, auto ipnotizzato nell’attesa eterna di un passo di apertura – costituente di un nuovo e più grande soggetto partitico – del Partito democratico, che non è mai avvenuta neppur nella più minima forma, e in tutto ciò autocommissariato e impegnato da un anno in via esclusiva nelle Agorà dello stesso Pd.

C’è però un tempo per ogni cosa: con il congresso nazionale, arriva ineludibile il tempo delle scelte, su tutte la scelta più attesa da cinque anni: come risolvere il rapporto con il principale partito del centro-sinistra in Italia.

Nella mozione di Speranza si propone di non fare una propria proposta, chiedendo “il mandato democratico dei nostri iscritti per proseguire e completare nei prossimi mesi il confronto con il Pd”. È qualcosa di sbagliato in radice per quattro motivi:

  1. tale mandato è stato già chiesto e richiesto e sempre accordato: in primavera dall’assemblea nazionale, poi in autunno dalla direzione nazionale; non serve un congresso per continuare a chiedere di decidere di non decidere;
  2. un congresso nazionale non può che essere un momento di decisione e rinascita, non un intermezzo di reiterazione di inazione;
  3. non vi è stato segnale alcuno, in questi mesi ed anni, di un’apertura da parte dei democratici anche solo al minimo compromesso circa una nuova soggettualità, anche solo un Nuovo Pd o un Pd un po’ nuovo, neppure il benvenuto in uno usato;
  4. come ho già scritto su questo spazio, gli iscritti non meritano nulla di meno di un momento, tanto atteso, di verità e chiarezza.

È nel rispetto di questi convincimenti che ho elaborato, con il contributo di intelligenze ed idee di varie compagne e compagni in tutta Italia, una mozione alternativa, che non è stata ammessa al percorso congressuale per ragioni che ho descritto altrove.

Oltre alla quaestio strategico-partitica, ci sono almeno altre tre ragioni tutte politiche che mi portano a non votare a favore della mozione di Roberto Speranza: in essa si parla di “riformare il capitalismo”, che va invece, cosa oramai e finalmente storicamente ineludibile, superato. Rifiutato non riformato. Se s’è di sinistra, s’intende. O si è riformisti o si è radicali, o si è capitalisti o si è compagni.

Non si parla poi di Nato, elefante nella stanza grande come un Continente (e più), e invece se ne deve parlare e si deve lavorare per smantellare e superare la NATO, un’istituzione di guerra che in un mondo multipolare che aspiri alla pace avversa questa prospettiva, pur restando naturalmente fermissima, incondizionata la condanna dell’aggressione barbara e brutale dell’Ucraina da parte di Putin che dovrà risponderne alla giustizia internazionale.

Infine, il governo Draghi: con la fine dello stato d’emergenza, simbolicamente e sostanzialmente vengono a cadere le di per sé sempre meno sostenibili ragioni di un governo assieme a Renzi, Salvini e Berlusconi. Rinascono, e d’altra parte non sono mai morte, le ragioni della sinistra. Per tutte queste, ragioni, l’unica mozione ammessa al voto congressuale non può (va da sé) rappresentarle e raccoglierne il voto favorevole.

Si sarebbero viceversa raccolti frutti di un più fertile confronto ove questo fosse stato reso possibile tra più d’una mozione, in ogni caso l’invito non è alla diserzione: l’invito è a un dissenso ragionato attraverso voto contrario o d’astensione. D’altra parte, paradossalmente, i plebisciti rendono più deboli chi li riceve, il dissenso rende più forte una democrazia, un congresso, un partito di sinistra.