Speranza: ragazzi, più politica: non siamo un governo tecnico

Politica e Primo piano

Intervista a Huffington Post

di Alessandro De Angelis

Per Roberto Speranza, ministro della Salute e leader di LeU, la via è obbligata, anche dopo il default umbro e i distinguo di Di Maio: “L’alleanza o è politica o non è. Non siamo mica un governo tecnico. Capisco la preoccupazione di Di Maio, ma per me bisogna trasformare l’intesa in Parlamento in un chiaro progetto per il paese”. In questa lunga conversazione con l’HuffPost rilancia l’alleanza tra sinistra e Cinque stelle. E avverte: “Governare un Paese non è cosa che si può fare con un piede dentro e uno fuori. Non scherziamo col fuoco”. Serve una rotta però. Dice Speranza: “Subito modifiche al decreto sicurezza, ius soli, e rivediamo profondamente il memorandum con la Libia”.

Speranza, andiamo al dunque. Avete trovato l’accordo sulla sugar tax, ma mi pare manchi del tutto uno straccio di chiarimento politico, nella maggioranza.

Non mi pare che l’accordo sulla manovra sia questione di poco conto. Diciamoci la verità.

Diciamocela.

Avevamo sulle nostre spalle un peso enorme rappresentato dalle clausole di salvaguardia sull’iva, eredità di governi precedenti. Siamo riusciti a evitare che scattassero, con sollievo vero per famiglie e imprese del nostro Paese. Inoltre facciamo almeno tre scelte con un connotato sociale significativo: l’investimento sulla sanità, la riduzione del cuneo fiscale e le nuove risorse messe sulla famiglia. Nel contesto dato mi pare un messaggio positivo e di serietà al Paese. Siamo il primo governo da molti anni che non mette clausole, pregiudicando il futuro, ma le disinnesca. E in più puntiamo sulla giustizia sociale come orizzonte strategico fondamentale. Non mi pare poco.

Sì, va bene. Il clima è cambiato, aggiungiamo che nessuno sale sui balconi o sui barconi, e lo spread non brucia titoli di Stato. Però l’alleanza è stata bocciata in Umbria non solo per questioni locali ma perché non esprime un’anima. E quindi non fa argine verso il populismo.

Fai argine alla destra se prosciughi le ragioni sociali che hanno determinato la sua forza e se riesci ad interpretare la domanda di protezione che arriva dalle persone. Ci vorrà tempo, e il voto in Umbria, con tutto quello che era successo su quel territorio, e a poche settimane dal giuramento, non è la prova per valutare il governo. Certo però che se invece di raccontare al Paese le scelte fatte stiamo lì bloccati a discutere tra di noi, offuschiamo il messaggio positivo che secondo me c’è. Per questo è ora di piantarla con polemiche e distinguo quotidiani, che francamente sono stati insopportabili.

È solo un problema di comunicazione o c’è un problema politico?

Per me la politica è sempre più forte della comunicazione. Soprattutto se sei al governo conta quello che fai più che quello che dici. Al governo ci puoi stare con successo solo se credi fino in fondo in quello che fai.

Ecco, se ci credi. Ma le pare possibile che la reazione al voto sia questo dibattito incomprensibile su “coalizione sì”, “coalizione no”, “coalizione forse”, a Roma sì, in Emilia no?

Voglio essere ancora più netto: governare un Paese non è cosa che si può fare con un piede dentro e uno fuori. Richiede il massimo impegno e soprattutto il massimo investimento politico da parte di tutti. È giusto che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e dica con chiarezza come la vede. Io dico quello che penso: lo sbocco, per me, è alzare il livello politico dell’alleanza, non certo abbassarlo. Serve più politica, non meno politica al governo.

Mi pare che il livello politico dell’alleanza si stia abbassando. Di Maio dice no sia in Calabria sia in Emilia.

Facciamo posare le polveri della contesa umbra e ridiscutiamo seriamente delle prossime elezioni regionali. La strada giusta è andare ancora uniti, preparando il terreno meglio di come sia stato fatto finora, anche con il coraggio di esplicitare in maniera compiuta il nostro disegno politico. Anzi, dico: l’errore non è stata la foto di Narni, l’errore è stato non farla prima, già fuori dalla contesa elettorale

Insisto, Di Maio non vuole proprio fare l’alleanza politica con voi e il Pd. Parla di Terza via…

L’alleanza o è politica o non è. Non siamo mica un governo tecnico. Capisco la preoccupazione di Di Maio, ma per me bisogna trasformare l’intesa in Parlamento in un chiaro progetto per il paese.

Dice Zingaretti: “O si ritrova uno spirito comune o il governo viene meno”. E si torna al voto. È d’accordo?

È naturale che sia così. Abbiamo investito molto nella nascita di questo governo. Io ho sempre creduto che il crollo del muro di incomunicabilità tra centrosinistra e Cinque stelle fosse l’opzione giusta per il Paese. Non vi è dubbio che ora siamo tutti responsabili dinanzi agli italiani. Nessuno scherzi col fuoco.

Non pensa che il voto sia un’arma spuntata? Se si fosse votato ad agosto si sarebbe votato sul fallimento del precedente governo, se si vota adesso si vota sul vostro. Non mi pare un incentivo alle urne.

Abbiamo assunto l’impegno di dar vita ad un governo per affrontare da qui alla fine della legislatura i problemi profondi del Paese, non certo solo per fare la legge di bilancio, da cui altri sono scappati. Però, lo ribadisco, non si sta insieme a prescindere. Conta la capacità di incidere sulla vita delle persone. Io sono ottimista, ma bisogna trovare davvero lo spirito comune.

Spirito comune però significa affrontare quei nodi che avete “rimosso” perché rappresentano l’eredità del governo precedente. Parliamo di immigrazione. La Ocean Viking è sbarcata a Pozzallo dopo 11 giorni, roba che nemmeno ai tempi di Salvini. La vostra linea sull’immigrazione quale è? Non parlarne?

Sicuramente non farne teatro di una becera propaganda elettorale quotidiana, consumata sulla pelle di poveri Cristi, come è stato nei mesi precedenti. Aver chiuso quella stagione è già un bel passo avanti… anche se è solo la premessa. Va inoltre rivisto profondamente il memorandum con la Libia.

Insisto. I decreti sicurezza sono ancora legge. Dovevano essere cambiati e invece nessuno ne parla, lo ius soli figuriamoci, il cuneo fiscale è poca cosa perché guai a toccare il reddito di cittadinanza. Si rende conto che c’è un problema che riguarda quale idea di società e quale programma ha il governo?

I decreti sicurezza verranno cambiati, e mi pare che le parole di oggi del ministro Lamorgese vadano in tal senso. Io dico che va fatto al più presto. Come sullo ius soli è giusto riprendere l’iniziativa parlamentare come si sta facendo. Al governo serve però una consapevolezza più complessiva, altrimenti si rischia di stare come bandiere al vento che cambiano orientamento appena si alza un alito di vento.

La consapevolezza è come il coraggio per Don Abbondio: se uno non ce l’ha non se la può dare.

Consapevolezza per me significa che il governo tra Movimento Cinque stelle e centrosinistra serve ad affrontare un tema di fondo: la destra è forte in Italia e nel mondo perché ci ha sfilato la questione sociale. È riuscita ad interpretare la domanda di protezione che si è alzata dai ceti medi impoveriti dalla crisi e dai ceti più deboli. Trump vince negli Stati Uniti con i voti degli operai del Midwest mentre la Clinton spopolava tra le star di Hollywood e i magnati della finanza di Wall Street. La Lepen fa il pieno tra gli operai francesi e nelle periferie.

E Salvini vince a Terni e nelle città operaie.

Ecco, ha ragione. Ma per questo dico che l’intesa giallorossa non è un incidente della storia o una semplice parentesi casuale, ma un orizzonte politico su cui costruire l’alternativa alla destra a partire dalla centralità della questione sociale e dalla lotta alle diseguaglianze come premessa per la crescita di tutto il Paese. È un occasione storica anche per la sinistra per correggere gli errori fatti e recuperare la nostra visione della società.

Io questo ragionamento non lo capisco. Perché in teoria funziona, ma lei parla dei Cinque stelle come se fossero il Pci. Di Maio su questa manovra ha giocato di sponda con Renzi sul contante e ha rimandato l’introduzione dei pos per i bottegai. Dove è tutta questa loro centralità della “questione sociale”?

Non scherziamo con la storia… i Cinque stelle non sono e non saranno mai il Pci. Ma una parte dell’elettorato che ha votato tradizionalmente a sinistra, soprattutto tra i ceti popolari e nelle periferie, gli ha affidato la propria rappresentanza. Questo è un fatto. E per me è il punto con cui fare i conti. E per noi, noi sinistra, è l’occasione di riprenderci la questione sociale e chiudere definitivamente la stagione della subalternità alle politiche neoliberiste. Solo così si potrà ricucire la frattura che c’è stata tra sinistra e popolo. La destra non si batte gridando: “al lupo al lupo arrivano i nuovi fascisti”. Si batte affrontando le ragioni sociali che ne hanno prodotto la forza. Le politiche che sto iniziando ad attuare su un tema cruciale come la sanità vanno esattamente in questa direzione.

I superticket. Non c’è dubbio che sia una delle misure più importanti per le fasce deboli.

Per anni hanno rappresentato per tanti una barriera all’accesso alle cure. Dinanzi a una malattia non può contare la tua situazione economica o la regione in cui sei nato. La Costituzione garantisce il diritto universale a essere curato. Difenderò con ogni energia questo principio. E oltre all’abolizione del superticket, ci sono due miliardi in più sul fondo sanitario e due miliardi in più per edilizia e ammodernamento tecnologico. Un bel passo avanti.

Senta, Zingaretti ha parlato dell’eventualità del Congresso per l’inizio del 2020. Riguarda solo il Pd o anche voi, come possibile percorso comune?

In pochi mesi è cambiato tutto. Credo che dobbiamo essere all’altezza del cambiamento che impone la nuova stagione politica. Renzi, piaccia o meno, ha messo in campo una novità. Il resto del centrosinistra che fa? Si rinchiude nei propri confini con un atteggiamento difensivo? Sarebbe facile e persino comodo ma non credo porti molto lontano. O prova a rilanciare la sfida? Intercettando e interpretando la domanda di innovazione che c’è nel Paese? Credo che questo sia il punto fondamentale della nostra discussione e anche del confronto tra noi e il Pd. Per me l’orizzonte politico a cui lavorare è una nuova grande forza del lavoro, che sia la casa dei socialisti, democratici e ambientalisti.