Speranza, non è più tempo di appelli, ora servono fatti. No all’unità senza cambiamento

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Andrea Carugati

«In questi giorni sto ascoltando con interesse gli appelli all’unità di padri nobili come Romano Prodi, Walter Veltroni, Piero Fassino, e anche del premier Gentiloni. Verso tutti loro provo rispetto. Questo però non è più il tempo di appelli ma di fatti: l’unità senza un cambiamento radicale delle politiche non riporterà un solo elettore del centrosinistra alle urne. Nelle prossime ore il Pd e il governo possono produrre dei fatti: allargare la platea di chi può andare in pensione prima dei 67 anni, come chiedono i sindacati; approvare la nostra proposta di legge sull’articolo 18. E poi, nella manovra, l’abolizione del superticket e più risorse per il diritto allo studio». È il «messaggio netto» che Roberto Speranza, coordinatore di Mdp, lancia ai pontieri del Pd. In primis a Fassino che nei prossimi giorni vedrà anche una delegazione degli ex dem.

Se il Pd vi desse ascolto voi potreste rivedere il no ad una alleanza?

«Se c’è una svolta su questi fatti concreti può cambiare lo scenario. Se si decidesse di scardinare gli errori fatti questo dimostrerebbe una reale volontà di fare sul serio. Altrimenti l’idea di una unità senza cambiamento non serve a nulla. La destra è così forte perché il Pd ha smesso di combattere le diseguaglianze e di difendere i più deboli».

Veltroni dice che rischiate di fare un Ds bonsai contro una Margherita 2.0. Non pare una grande innovazione.

«Noi vogliamo costruire una nuova forza progressista, che non è la riedizione del passato. Sulla scia di Jeremy Corbyn, Bernie Sanders, il francese Jean-Luc Melenchon. La nostra ambizione è riportare alle urne milioni di cittadini che non credono più nella sinistra che hanno visto in azione».

Crede che il Pd darà ascolto alle vostre richieste?

«Noi abbiamo posto delle questioni reali in modo pubblico, senza trattare al chiuso di una stanza. Sull’articolo 18 chiediamo la reintegra per i licenziamenti collettivi e di reintrodurre la facoltà del giudice di valutare il tipo di condotta che ha portato al licenziamento disciplinare. Se un lavoratore di un supermarket è arrivato per alcuni giorni in ritardo è un caso diverso dal dipendente che sia stato trovato a rubare dalla cassa. Oggi il reintegro è impossibile in entrambi i casi. E’ una grave ingiustizia. Ricordo che la nostra posizione sui licenziamenti collettivi, nel 2014, era stata votata in commissione con il sostegno del Pd, prima che Renzi da palazzo Chigi decidesse diversamente».

E’ ottimista su questo eventuale ripensamento?

«C’è tra noi una evidente differenza di agenda. A Prodi, Veltroni, Fassino chiedo: qual è il vostro giudizio sulla stagione renziana? Ci avevano promesso lavoro più stabile e siamo al record della precarietà. Io penso che il Pd non sia più in grado di cambiare spartito. Qualcuno, non noi, riteneva che il voto in Sicilia avrebbe prodotto un terremoto in quel partito. E invece Renzi è uscito dall’ultima direzione come il dominus assoluto. Non mi pare in grado di imprimere una svolta. E men che meno di unire il centrosinistra».

Nel Regno Unito e negli Usa i leader più radicali come Corbyn non hanno rotto il blocco di sinistra. Hanno lavorato dall’interno. E voi?

«Melenchon era un ministro socialista in Francia ed è uscito dal partito. Anche Syriza e Podemos sono nati come costole della sinistra in Grecia e Spagna. Noi siamo usciti dal Pd perché ha negato una parte larga dei suoi valori originari. E ora, in realtà, non mi pare che stiano cercando un’alleanza vera sui contenuti, ma di promuovere alcune “liste civetta” per fronteggiare una legge elettorale sbagliata che loro stessi hanno imposto a colpi di fiducia».

Neppure l’intervento di Prodi potrebbe spingervi al dialogo?

«Qui non è in discussione il valore di Prodi, ma a parlar di nomi e non di temi concreti non si va da nessuna parte. Lo spirito ulivista resta per noi un riferimento nel senso che vogliamo costruire un campo largo, una grande forza popolare».

Pensa che Giuliano Pisapia sarà coinvolto nel blocco col Pd?

«Quel mondo, nel merito, la pensa in modo molto simile a noi e chiede un cambio radicale. Io li rispetto, ma non credo che si presteranno a fare la stampella di Renzi. Spero che costruiremo insieme una alternativa a un quadro politico desolante che oggi vede in campo la destra, il M5S e questo Pd».