Speranza: non permetteremo mai la chiusura di Taranto, investire su salute

Politica e Primo piano

Intervista a Il Corriere del Mezzogiorno

di Michele Cozzi

Roberto Speranza, lucano, ministro della Salute: partirei dall’emergenza Taranto, che riguarda l’intero Paese. La posizione del governo è chiara. È in gioco non solo l’1,4% del Pil nazionale ma anche 20 mila posti di lavoro. Situazione difficile. Dobbiamo rassegnarci al peggio, alla fuga di Ancelor Mittal? 

La rassegnazione non è un sentimento che ci appartiene. Sull’ex-Ilva di Taranto si gioca la vocazione industriale del Paese e una cosa deve essere chiara: non permetteremo mai la chiusura delle acciaierie di Taranto. Vorrei che questa fosse una battaglia comune a tutte le forze politiche e sociali del Paese. Arcelor Mittal chiede condizioni inaccettabili come la diminuzione della produzione e l’esubero di cinquemila persone. Noi pensiamo che ci sia un contratto e che vada rispettato. In queste ore c’è un tavolo aperto ed è giusto continuare il dialogo con loro. Ogni ipotesi in campo per evitare la chiusura dello stabilimento va verificata, senza escluderne nessuna. Di certo lo Stato non deve avere paura di fare fino in fondo la propria parte.

Qual è la sua posizione sullo scudo penale? 

Al tavolo della discussione il premier Conte, alla presenza di tutte le forze di maggioranza, ha spiegato con nettezza che se il problema fosse solo lo scudo, il governo sarebbe disponibile a risolvere la questione in poche ore. Poi a quel tavolo è emersa una verità più drammatica: la richiesta di esuberi.

In ogni caso c’è una parte della città di Taranto che non ne può più e con la quale occorre dialogare. Annunciando fatti, proposte. Da dove intendete cominciare? 

La lettera che il premier Giuseppe Conte ha scritto ai ministri è una iniziativa giusta, come è stata apprezzabile la sua presenza tra gli operai. Ora proveremo a costruire delle proposte che siano all’altezza di questa fase difficile. Ne sto discutendo anche con Emiliano. Farò una proposta in consiglio dei ministri al fine di rafforzare il servizio sanitario nazionale in quel territorio.

Il rapporto tra cittadini e salvaguardia della salute è a volte, se non sempre, subordinato alla cruda realtà dei conti economici. Intende capovolgere questo teorema?

Il diritto alla salute e quello al lavoro sono due diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Mai e poi mai possono essere considerati alternativi. Devono essere sempre entrambi rispettati. Ma chi ha a cuore la vocazione industriale dell’Italia sa che non si può prescindere da un forte comparto dell’acciaio. Oggi la produzione può essere compatibile con la tutela dell’ambiente. Come governo faremo tutto il possibile nell’interesse dei lavoratori e del Paese.

Nella manovra ci sono due misure essenziali: stop al super ticket e due miliardi in più al fondo nazionale. Sufficienti per un nuovo approccio alla sanità?

La salute è uno dei comparti su cui si è scelto di investire con più decisione. Abbiamo chiuso la stagione dei tagli alla Sanità ricominciando a finanziare efficacemente il Servizio Sanitario Nazionale. 2 miliardi in più per il fondo sanitario nazionale sono la cifra più alta da molti anni. Inoltre siamo riusciti ad ottenere altri 2 miliardi per l’edilizia sanitaria e per l’ammodernamento tecnologico. Questo si tradurrà  nella costruzione di nuovi ospedali, o nel migliorare quelli esistenti, e ancora risorse per l’investimento nelle nuove tecnologie. A tutto questo si aggiunge l’abolizione del super ticket che vale, a regime, mezzo miliardo. Il saldo è ampiamente positivo. L’abolizione del superticket inciderà sulla vita delle persone, soprattutto dei più deboli, dal momento che le visite specialistiche costeranno ora 10 euro in meno. Questo vuol dire maggiore possibilità di accesso al sistema sanitario nazionale, in linea con l’indicazione della nostra Costituzione che, all’articolo 32, parla della salute come diritto fondamentale dell’individuo.

Il riparto del fondo nazionale. Da sempre si dice che la Puglia ha gli stessi abitanti dell’Emilia ma ottiene meno fondi. Si può pensare di aiutare di più le regioni più svantaggiate? 

Sono convinto che se ricominciamo ad investire sul nostro Sistema Sanitario Nazionale questi problemi potranno avere una risposta. I 2 miliardi in più previsti dalla finanziaria non restano nella stratosfera, ma servono proprio per provare a risolvere i problemi dei territori. Credo che le regioni più svantaggiate vadano aiutate anche attraverso una distribuzione più equa delle risorse che provengono dal fondo.

Lei è meridionale e sa molto bene che continuano i viaggi della speranza nelle strutture del Nord e che i tempi di attesa per alcuni esami sono lunghissimi. Come pensa di affrontare queste due emergenze? 

Per la prima volta nel patto per la salute, che mi auguro verrà approvato nelle prossime settimane, abbiamo previsto un piano di contrasto alla mobilità sanitaria. Non è accettabile la “fuga” dalla sanità del Mezzogiorno che costringe troppe famiglie a sacrifici insostenibili per curarsi lontano dal Sud. Per risolvere questo problema dobbiamo investire sulla sanità del mezzogiorno, valorizzando le tante eccellenze che già ci sono e intervenendo con fermezza dove ci sono inefficienze.

Le previsioni parlano di migliaia di medici in uscita. Ma tanti laureati restano fuori dalle strutture pubbliche. Come intendere affrontare questo problema?

Su questo tema un grido di dolore si è levato dalle regioni. Dobbiamo dargli ascolto. Con loro e con le rappresentanze sociali stiamo cercando le soluzioni per voltare pagina. Occorrono politiche del personale diverse, più flessibili rispetto al passato, più adeguate e più rispondenti alle esigenze che arrivano dagli ospedali e dalle comunità sul territorio. Credo che la politica della spesa divisa per silos e tetti debba con intelligenza essere superata.

Un’ultima questione, più politica. Si vota in Puglia e in Campania. Qual è sua posizione su eventuali accordi con il M5S? 

Penso, e non da oggi, che la coalizione che in questo momento governa il Paese non debba essere una parentesi. Abbiamo creduto nel dialogo tra il centrosinistra e il Movimento 5 stelle già nel 2013. Ora che il muro di incomunicabilità è stato superato bisogna lavorare  per dare un orizzonte più politico al nostro stare insieme. Questo vuol dire lavorare uniti per contribuire alla crescita del Paese a partire dalla lotta alle diseguaglianze. Noi non siamo un governo tecnico. E perciò sono convinto che questa alleanza vada fatta vivere nei territori a partire dalle regioni che saranno chiamate al voto nei prossimi mesi.

Il governo dura oppure resterà prigioniero delle fibrillazioni quotidiane?

Io scommetto che il governo durerà. Ora dobbiamo dimostrare le nostre capacità, imparando a stare insieme e a lavorare per risolvere i problemi concreti degli Italiani. Ad esempio, dobbiamo comunicare il senso della manovra, e rivendicare che abbiamo tolto 26,5 miliardi di tasse, di cui 23 di Iva, 3 per il taglio del cuneo fiscale e mezzo miliardo di superticket. Abbiamo tolto la tassa più odiosa: quella sulla salute. È il momento di finirla con inutili distinguo interni alla maggioranza.