Speranza: non è finita, dall’app agli ospedali ecco il mio piano anti virus

Politica e Primo piano

Colloquio con Repubblica

di Claudio Tito

«Dobbiamo dire la verità. La situazione resta drammatica. L’emergenza non è finita. Il pericolo non è scampato. Ci aspettano mesi ancora difficili. Il nostro compito è creare le condizioni per convivere con questo virus. Ecco, il verbo giusto è convivere. Almeno fino a quando non avremo il vaccino o una cura». Il ministro della Salute, Roberto Speranza, non vuole concedere facili illusioni. La battaglia contro il Coronavirus, a suo giudizio, è tutt’altro che vinta. Sente di essere un «frenatore» degli entusiasmi ma «non voglio nemmeno passare per terrorista».

A suo giudizio, allora, il Paese va preparato ad affrontare la peggiore sfida dal 1945 ad oggi. Deve combattere un nemico invisibile ma acerrimo. Per questo, spiega dal suo ufficio al ministero («ormai la mia vita è tutta qui»), stiamo preparando un nuovo “Piano Sanitario”. Tutto costruito sul Covid-19. Un programma in cinque punti: dalla conferma e istituzione di nuovi Covid-Hospital fino alla creazione di un’App che consenta di mappare tutti gli spostamenti del malato nelle 48 ore precedenti il contagio e permetta nello stesso tempo di avviare una vera e propria «cura domiciliare» attraverso test clinici e contatti diretti con i medici. Dalla mappatura di tutti i contagiati con la collaborazione dell’Istat fino alla distribuzione massiccia dei tamponi.

«Lo so – ripete con un lungo sospiro e senza nascondere la stanchezza – che sono dipinto come quello più rigido. Ma proprio perché sono il ministro della Salute mi sento in obbligo di essere severo. Non voglio ingannare nessuno, è inutile pensare che ci sia una soluzione salvifica. Purtroppo non c’è. E non posso dare una data in cui tutto finisce. Sarebbe irresponsabile». Certo, puntualizza quasi per non avvolgere tutte le sue parole di pessimismo, «non voglio nemmeno terrorizzare gli italiani che nella stragrande maggioranza sono stati bravissimi e hanno rispettato con coscienza le regole. Per questo abbiamo indubbiamente fatto dei passi avanti. Ci sono due dati che ci confortano: il numero di ricoveri in terapia intensiva si sta riducendo e questo è fondamentale per il nostro sistema ospedaliero. Inoltre si sta abbassando la moltiplicazione dell’infezione: fino a poche settimane fa ogni contagiato trasmetteva il virus ad altre tre persone, adesso il rapporto è sceso sotto soglia 1».

Ma, appunto, non basta. Il piano predisposto dal Governo, quindi, serve a «preparare il futuro prossimo». Il primo punto resta lo «scrupoloso distanziamento sociale, nei luoghi di vita e di lavoro».

Il secondo riguarda il «rafforzamento delle reti sanitarie locali». Secondo il ministro, il metodo “ospedalecentrico” non funziona. La prossimità ai cittadini velocizza le diagnosi, permette la prevenzione e l’isolamento. «Se hai delle squadre di intervento veloci, riesci a tenere il malato a casa».

Il terzo punto sono i Covid Hospital. Vanno mantenuti e aumentati. Intanto perché «non si può escludere un’ondata di ritorno dell’epidemia fino a quando non ci sarà il vaccino». E poi perché «l’ospedale misto è ingestibile in questo quadro. Troppo rischioso per gli altri degenti, troppo rischioso per tutto il personale e lo abbiamo visto, dovremo ringraziare per sempre il sacrificio di medici e infermieri. Infine non si può nemmeno correre il rischio di penalizzare tutti gli altri pazienti e tutte le altre cure. Non è che il malato di tumore non c’è più. Purtroppo c’è ancora e va curato».

Il quarto riguarda i tamponi. Dovranno essere effettuati in massa. «Faremo quelli rapidi anche con il prelievo in macchina». Questa procedura, con l’aiuto dell’Istat, consentirà una «mappatura virale del Paese». Con un campione corposo «di diversi milioni di cittadini» capiremo quanti italiani «hanno contratto il virus, se e come sono immuni, quanti e in che area possono tornare alla vita normale». Sarà uno strumento, insomma, pure per “gradualizzare” il ritorno alla quotidianità pre-epidemica.

L’ultimo punto è lo sviluppo di una App con due funzioni. La prima è fondamentale per frenare il contagio: si potranno tracciare tutte le attività e quindi i contatti del paziente nelle 48 ore precedenti la manifestazione dei sintomi da Coronavirus. «La stiamo costruendo d’intesa con la Privacy – precisa Speranza -: non c’è alcuna intenzione di violare alcuna legge. E parliamo di 48 ore perché secondo tutti i virologi è il periodo di maggiore infettività».

La stessa App sarà poi utilizzata per un sistema di telemedicina: il malato da casa potrà sfruttarla sia per compiere alcuni esami (ad esempio l’ossigenazione del sangue) sia per mantenere un filo diretto con il medico curante.

Per fare tutto questo, però, servono tanti soldi. «Sono stati stanziati già tre miliardi e una quantità analoga verrà stanziata nei prossimi giorni».

Il titolare della Salute però ha un chiodo fisso. Intervalla ogni riflessione sempre con la stessa frase. Una specie di mantra: «Non sprechiamo i sacrifici fatti. Gli italiani devono sapere che c’è una strategia dietro il nostro lavoro: rendere compatibile il ritorno alla normalità con il virus. Almeno fino a quando non troveremo il vaccino». Ma quando ci sarà questo ritorno? «Il prima possibile. Non posso dare una data. Non voglio fare annunci. L’annuncite è stata per troppo tempo il male della politica italiana. Non posso anche perché il presidente del consiglio ha da poco confermato il blocco fino al 13 aprile. In prossimità di quella data, vedremo come staremo. In ogni caso, si farà tutto per gradi. Nessuno pensi che ci sarà un solo giorno in cui si potrà dire “è tutto finito”». Il problema, però, non è solo sanitario. La ripresa della normalità riguarda anche il sistema produttivo del Paese. La cui tenuta è messa fortemente sotto pressione. Un calo del Pil di queste dimensioni non lo si conosceva dalla Seconda Guerra Mondiale. «Per questo dobbiamo preparare una fase di “convivenza” con il Covid. La strategia sanitaria deve accompagnare la strategia produttiva. Del resto, se mezzo mondo – letteralmente mezzo mondo – è chiuso, vuol dire che servono soluzioni vere. E anche che il governo non ha adottato misure sbagliate». Ha rimpianti? Magari vedendo altri Paesi, in cui l’epidemia sembra aver provocato meno danni. «Non mi sento di avere rimpianti. Non voglio fare paragoni con altre nazioni, ma purtroppo vedrete che ci sarà una certa uguaglianza nella diffusione».

Certo, però, questa emergenza ha dimostrato che la competenza regionale sulla Sanità non funziona. «Quella è una questione costituzionale che verrà trattata a tempo debito. Questo non è il momento di fare polemiche. Con le regioni dobbiamo lavorare e collaborare. Lo stiamo facendo». Ma lei si è fatto un’idea del perché la Lombardia è stato l’epicentro dell’epidemia? «In tutto il mondo il virus si è propagato nei centri e nelle regioni più dinamiche. Basta pensare a New York. È chiaro che la Lombardia ha più contatti con la Cina».

«Ma io – conclude – sono sicuro che ce la faremo. Abbiamo dimostrato di essere un grande popolo. Certo, quando sette mesi fa ho giurato al Quirinale per assumere l’incarico, mai mi sarei aspettato di dover affrontare tutto questo…».