Speranza, la relazione: noi autonomi, non divideremo il campo socialista

Politica e Primo piano

Care delegate, cari delegati, gentili ospiti,

Vi ringrazio tutti per essere qui e ringrazio in modo particolare i nostri 21.000 iscritti di cui questa platea è rappresentativa. Il mio primo pensiero è oggi ai tanti militanti che in questi due anni di Articolo Uno hanno tenuto viva una comunità che credo sia indispensabile per ricostruire la sinistra nel nostro Paese e dare forza all’alternativa alla destra. Grazie, grazie grazie.

Il primo messaggio che voglio lanciare a tutti è che noi non ci arrendiamo. Abbiamo  giorni difficili alle spalle. La sconfitta del 4 marzo, e i mesi che la hanno seguita, sono una ferita ancora aperta. Ne parlerò più diffusamente senza nascondere anche le nostre responsabilità, ma il messaggio di oggi è netto: noi non ci rassegniamo all’egemonia della destra e ci sentiamo parte del percorso di ricostruzione di una Sinistra capace di interpretare l’interesse del Paese.

Parto da un punto chiaro e netto. Per evitare subito ogni fraintendimento. Rivendico la scelta fatta nel febbraio del 2017, assieme a tanti di voi, di dare vita ad Articolo Uno e lo dico subito con tutta la forza che ho: nessuno vuole tornare indietro. Nessuno vuole tornare indietro (dico ai giornalisti presenti che saluto, scrivetelo a caratteri cubitali). Siamo nati perché una intera comunità era rimasta senza casa e perché la sinistra aveva smarrito la propria strada. Perché c’era bisogno di un nuovo spazio in cui recuperare i valori di fondo di una storia di cui siamo orgogliosi, quella della sinistra italiana. L’eguaglianza, la solidarietà, l’inclusione sociale, la battaglia per estendere i diritti, la difesa dell’ambiente, la valorizzazione dei beni comuni, la Pace. Queste parole pesano, dietro di esse ci sono valori universali irrinunciabili che ci rappresentano. Noi siamo questo. E sono parole del futuro, non del passato, come qualcuno vorrebbe far credere. Dobbiamo saperle interpretare nel tempo nuovo in cui siamo.

La sinistra è in crisi in tutto il mondo. E noi, in Italia, siamo dentro questa crisi e dentro questo tentativo di ricostruzione. Lo siamo per ragioni strutturali. Indagarle e comprenderne il senso più profondo è la premessa indispensabile a qualsiasi azione di ricostruzione.

Per il me l’errore storico dell’ultima stagione è rappresentato dalla subalternità al neoliberismo. È da qui bisogna ripartire se si vuol sanare la frattura che c’è stata tra sinistra e popolo. Dalla caduta del muro di Berlino in poi, durante la fase espansiva della globalizzazione, la sinistra ha accresciuto a dismisura la sua fiducia nel mercato e nella sua capacità di generare ricchezza e felicità, rinunciando, un po’ alla volta, alla sua visione del mondo. Immaginando che bastasse assecondare gli spiriti animali del mercato e aggiustare di tanto in tanto le esternalità negative che venivano prodotte. Così la sinistra ha smarrito la sua anima e perso la sua gente. Il “neoliberismo progressista” di Nancy Fraser è solo apparentemente un ossimoro. In realtà racconta bene il cuore delle politiche di molti governi progressisti degli ultimi anni: la difesa dei diritti sacrosanti delle minoranze è stata portata avanti dentro la sostanziale accettazione del mainstream del mercato senza regole e dello stato minimo.

Per ripartire serve archiviare definitivamente questa stagione di subalternità e proporre un nuovo pensiero socialista,  ecosocialismo lo abbiamo chiamato noi, come capacità di immaginare e costruire un mondo nuovo sostenibile ed egualitario. Questa è la nostra identità e questo è il nostro orizzonte.

La premessa ad ogni opzione organizzativa, anche in Italia, è una grande svolta culturale. Di questo noi dobbiamo essere protagonisti. È questo che ancora non si vede con sufficienza nel campo democratico e progressista dopo la sconfitta del 4 marzo.

Perciò, per ripartire e costruire un’alternativa alla destra, serve cambiare nel profondo. Non è solo questione di una leadership, di un simbolo o di un’alleanza elettorale. Tutto questo conta, ma viene dopo. Si tratta, prima di tutto, di ridefinire un pensiero politico, una visione compiuta della società. Non basta una formula organizzativa o politicista. Serve molto di più. Ed è quello che noi vogliamo provare a fare.

Una nuova grande forza della sinistra e del lavoro nascerà solo dentro una revisione profonda della cultura politica e del pensiero. Si tratta di ridiscutere criticamente il capitalismo di oggi, di pensare ad un nuovo ruolo dello stato, di interrogarsi sulla fase regressiva della democrazia e del suo rapporto con le nuove tecnologie in un tempo in cui la rete orienta consumi e comportamenti elettorali. La professoressa Zuboff di Harvard ha parlato di “capitalismo della sorveglianza”. È l’idea che il nuovo mercato dominante sia quello dei dati, non più dei beni materiali o dei servizi, con nuove fabbriche che non hanno operai, ma algoritmi che lavorano sulle nostre identità digitali. In sostanza, la sfida dinanzi a noi è quella di ripensare la globalizzazione e suoi effetti sulla vita materiale di milioni di persone. È da qui che bisogna partire.

Lo stesso disegno europeo va declinato dentro questo nuovo impianto culturale.  Lo abbiamo scritto con efficacia nel nostro manifesto per un europeismo socialista e costituzionale indicando le priorità per una nuova agenda sociale e democratica. Difendere acriticamente l’Europa di oggi non ha senso. Né tanto meno si può pensare che possa essere sufficiente dire semplicemente “Siamo europei”. Non basta. Noi siamo per una nuova Europa, diversa da quella vista fin qui, che rimetta al centro il lavoro come questione fondamentale, l’inclusione sociale, la lotta contro le diseguaglianze, l’economia circolare. Per questo diciamo che serve una svolta. Non comprenderlo è un favore a chi l’Europa vuole abbatterla. Questo è il primo punto che la famiglia socialista deve avere il coraggio di assumere per la prossima campagna elettorale per le elezioni europee. Serve una riforma radicale su almeno due assi tra loro connessi: democrazia e politiche economiche. La democrazia e la partecipazione dal basso alle decisioni sono la chiave per riavvicinare istituzioni e comunità. Non possiamo  non vedere la domanda legittima di sovranità, di poter contare e incidere soprattutto in un momento in cui peggiorano le condizioni materiali di troppe persone. Cambiare le politiche economiche è fondamentale per far ripartire la crescita e ridurre le diseguaglianze. Su questi temi il manifesto del Pes propone finalmente elementi di discontinuità rispetto al passato, anche con un tono onesto di doverosa autocritica sulla gestione politica degli ultimi anni. Personalmente ho sottoscritto con convinzione il manifesto per la democratizzazione dell’Europa promosso da Piketty che credo  dovremmo sostenere. È utile perché riconosce il problema democratico e quello sociale e perché prova ad indicare risposte tracciando una nuova idea di europeismo sociale e democratico.

L’Italia gialloverde sta dentro questo mondo nuovo che ho provato velocemente a descrivere. Le elezioni del 4 marzo si possono leggere con le stesse lenti usate per L’America di Trump, per la Brexit, per il Brasile di Bolsonaro, per elezioni regionali in Spagna o in Germania. C’è una nuova destra che avanza, che interpreta meglio di altri la domanda di protezione che viene su dai ceti sociali più deboli. La Sinistra non si è fatta trovare dove doveva essere ed è stata travolta propri nei luoghi dove aveva più senso la sua presenza: nelle periferie, trai più deboli e meno scolarizzati, trai più giovani. Nelle tante faglie di un Paese ancora profondamente diviso, la nostra parte politica è apparsa sempre più residuale e marginalizzata, capace invece di essere attrattiva e rappresentativa solo trai ceti benestanti ed intellettuali. Nella composizione demografica e sociale del voto alle forze democratiche, progressiste, di sinistra alle ultime elezioni 4 marzo c’è la chiave per capire le ragioni di fondo della nostra crisi e la profondità del problema che abbiamo dinanzi a noi. Le stesse primarie del Pd di poche settimane fa, che pure hanno segnalato un risveglio incoraggiante di partecipazione di una parte del popolo democratico, hanno la stessa composizione sociale che ho provato velocemente ad illustrare e che è il limite più grande del risultato del 4 marzo. La prevalenza fortissima di over 60, benestanti e altamente istruiti dal il senso di come il recinto sociale delle ultime politiche non sia cambiato e le stesse primarie, che pure hanno acceso una speranza, rischiano di essere una amara “illusione ottica” senza un cambiamento radicale di profilo e di politiche.

La differenza fondamentale tra il governo italiano e quello di altri Paesi del mondo sta nel fatto che Salvini e Di Maio non hanno vinto le elezioni insieme, la loro saldatura è avvenuta dopo il voto con la sottoscrizione del contratto di governo. Oggi il quadro è evidente a tutti. La Lega, con una visione forte, ad alta intensità ideologica, ispirata alla nuova destra europea, ha egemonizzato il Movimento 5 Stelle in cui continuano a convivere all’interno spinte molto diverse fra loro, portandolo ogni giorno di più al ruolo di servo sciocco. Lo abbiamo detto in altre occasioni, ma voglio ribadirlo oggi: è stato un errore storico aver favorito questa saldatura che sta avendo l’effetto di spostare a destra l’asse politico del Paese. Da parte nostra, pur consapevoli che ogni giorno i 5 stelle sono più compromessi dal rapporto con la destra, dovremo sempre lavorare per rompere questa saldatura e riaprire il gioco democratico.

Gli effetti delle politiche del governo sono sempre più chiari. Gli indicatori economici segnalano un arretramento molto preoccupante: due trimestri consecutivi con il segno meno per il Pil, previsioni per il 2019 drammaticamente ridimensionate con L’Ocse che arriva a indicare meno 0,2 per quest’anno. Sono numeri freddi, ma dietro ci sono le esistenze materiali di milioni di persone. Ed è ormai evidente che questo governo sta portando a sbattere l’Italia. Così come è evidente che sta riesplodendo la questione sociale, come dimostrano le ultime vicende nelle periferie italiane. Voglio dirlo anche da qui con tutta la forza possibile: Fermatevi prima che sia troppo tardi. Smettetela con la campagna elettorale permanente e la mettete la testa alle scelte che servono davvero al Paese per ripartire.

Non so con quale immaginazione finanziaria proporranno il Def tra pochi giorni, ed è ancora più difficile pensare alla prossima manovra di bilancio. E tutto ciò evidentemente rende più instabile  il quadro politico e più probabile l’ipotesi di fuga dalle responsabilità da parte di chi oggi ci governa.  Abbiamo fortemente criticato la manovra di bilancio perché non c’era ciò che serviva. Mancava la spinta vera alla crescita, un piano efficace e robusto per gli investimenti e per il lavoro a partire dal cosiddetto Green new deal che noi stessi abbiamo proposto e che poteva essere finanziato, come abbiamo indicato in manovra di bilancio e come ha rilanciato Landini ultimamente, con un contributo straordinario di equità a partire dai grandi patrimoni. Non ci nascondiamo o vergogniamo. Dopo la crisi economica di questi anni, pochi stanno meglio e tanti stanno peggio. Io credo che sia giusto chiedere una mano ai grandissimi patrimoni per fare ripartire l’Italia. Anche questo significa rispettare il criterio di progressività indicato dall’art 53 della Costituzione.

Le misure principali della manovra, a partire da reddito di cittadinanza e quota 100, sono state costruite avendo in testa la ricerca del consenso e la preoccupazione di pagare cedole elettorali più che puntando alla ripartenza del Paese. In Parlamento abbiamo presentato molte proposte per migliore il Decretone, ma sono quasi tutte cadute nel vuoto. Alla fine abbiamo scelto comunque di non votare contro un provvedimento che redistribuisce un ingente pacchetto di risorse. Il reddito di cittadinanza, in modo particolare, è fatto male ma comunque prova ad offrire una risposta al pezzo di società italiana che ha pagato il prezzo più alto dentro la crisi. Ha scritto bene Chiara Saraceno. È incomprensibile come chi si richiama alla sinistra possa banalizzare o addirittura ridicolizzare un tentativo di ridurre le diseguaglianze nel nostro Paese.

Questa stagione di governo verrà ricordata per le polemiche interne crescenti e per la rincorsa alla propaganda elettorale permanente. L’immigrazione e la sicurezza hanno rappresentato il terreno più facile di questa offensiva. Salvini è riuscito a connettere  l’enorme questione sociale che c’è nel Paese con il delicatissimo tema dell’immigrazione. Ha semplificato il messaggio in modo rozzo, ma efficace: gli italiani stanno male, ci sono troppi immigrati, dobbiamo mandarli a casa. E sul piano politico: noi siamo quelli che difendono gli italiani con i loro problemi di tutti i giorni, la sinistra è quella che se ne frega degli italiani e difende solo gli immigrati.  È un marchingegno fatto di falsità e illusioni, ma che ha prodotto un effetto reale nell’Italia più profonda. E noi non possiamo non vederlo o sottovalutarne la portata. Noi dobbiamo, da Sinistra, dare una risposta alle paure che ci sono, se non vogliamo essere travolti. I giochi inaccettabili di disumanità attorno ai barconi nel mediterraneo servono proprio ad alimentare questo disegno lucido e freddo.   Poche decine di migranti tenuti ostaggio in mare con trattative estenuanti con gli altri Paesi europei per distribuire alla fine poche unità e scaricare la colpa sulle Ong che in mare le vite invece le salvano. Sono ricatti inaccettabili sulla pelle di poveri cristi, montati ad arte per produrre effetti politici ed elettorali. A questo gioco al massacro dobbiamo dire no con tutta la forza che abbiamo. Saremo più forti nel farlo se sapremo dimostrare di essere in grado di dare una risposta da Sinistra alle paure che ci sono e che non possiamo non vedere e se sapremo offrire una proposta concreta di governo del fenomeno dell’immigrazione. La battaglia sullo “Ius Soli” è parte di questa strategia. Io sono orgoglioso di essere relatore del provvedimento in discussione alla Camera. Siamo stati noi i primi a riportare la proposta in Parlamento. È una legge giusta che darebbe finalmente la cittadinanza a 800.000 minori nati in Italia da genitori stranieri che vanno a scuola con i nostri figli e che smetterebbero di essere cittadini di serie b. Su questo io chiederò una accelerazione della discussione in commissione. E sfidiamo tutti. In primis il Movimento 5 Stelle che nella passata legislatura  si è astenuto sul provvedimento e che in queste ore, attraverso il premier Conte, ha dato qualche segnale di distinguo dalla linea di Salvini. Mi auguro che, almeno su un tema, così delicato la finiscano di fare il servo sciocco della peggiore destra europea.

Non so quanto potrà andare avanti questo governo, così disunito sugli interessi reali da rappresentare, eppure così legato dalla gestione del potere che è diventato il vero cemento capace di tenere assieme traiettorie apparentemente inconciliabili. Quello che è certo è che serve costruire finalmente un’alternativa. È questo il nostro obiettivo principale.

Ecco, la scelta di fondo del nostro percorso congressuale credo sia questa. Noi ci mettiamo convintamente dal lato della costruzione dell’alternativa. Lo facciamo con umiltà, generosità e al tempo stesso con coraggio e determinazione. Serve rimettere insieme un campo di forze fuori e dentro i partiti che condividano un’altra idea dell’Italia. La centralità del lavoro come valore irrinunciabile della cittadinanza e come motore dello sviluppo. La questione sociale e la lotta contro le diseguaglianze come primo obiettivo strategico. La sanità e la scuola pubblica come leve insostituibili per la costruzione di una società di giusta. La progressività e la fedeltà fiscale come assi per la redistribuzione della ricchezza. L’economia circolare e lo sviluppo sostenibile come lenti attraverso cui immaginare un nuovo modello di sviluppo. L’Unità del Paese e un virtuoso rapporto tra Nord e Sud come premessa di ogni riforma istituzionale, soprattutto in un tempo in cui avanzano proposte scellerate e divisive che rischiano di spezzare l’Italia.

È questa la nostra agenda fondamentale per i prossimi mesi.

Il campo dell’alternativa e per la costruzione di una nuova sinistra è più ricco di quello che appare. Ci sono tante energie fuori dai partiti e fuori dal parlamento che dobbiamo provare a mettere assieme. Penso al movimento ecologista che attorno alla battaglia di Greta Thunberg ha scosso le coscienze di tutto il mondo e ha mandato un messaggio forte di speranza. Penso degli studenti che tornano in strada contro le politiche sbagliate del governo gialloverde.  Penso alle donne che si sono mobilitate in modo straordinario anche contro ipotesi neomedievali di riscrittura del diritto di famiglia, da ultimo nella bella manifestazione di Verona, e poi ancora la piazza colorata di Milano contro il razzismo o quelle antifasciste di Prato e di Padova. Sarà un bel 25 aprile ne sono sicuro. E noi ci saremo perché l’antifascismo è il cardine della nostra Costituzione e oggi più che mai vanno alzate le nostre bandiere a difesa della democrazia e della libertà.

C’è un Italia che chiede un’alternativa, a testa alta. Un Paese migliore di chi ci governa. Energie e passioni di mondi e culture politiche diverse, realtà laiche e cattoliche. Su queste ultime incide il magistero di Papa Francesco che sta accompagnando il mondo cattolico a rivendicare con coraggio i propri valori originari di accoglienza, di solidarietà, di integrazione, ma anche di dialogo e di Pace come avvenuto durante l’ultimo importante incontro con Mohamed VI in Marocco.

La manifestazione sociale più importante è stata per noi quella del 9 febbraio quando Cgil, Cisl e Uil hanno riempito le strade di Roma dando al tempo stesso un messaggio prezioso di unità sindacale e di opposizione alle politiche sbagliate del governo. Nel percorso di ricostruzione sarà sempre più rilevante il rapporto con i soggetti sociali su cui noi più di tutti dobbiamo investire con grande forza. Anche da questo punto di vista credo vada rilanciata la nostra proposta di legge sulla sicurezza sul lavoro, grande tema ignorato dai gialloverdi, proprio mentre muoiono tre persone al giorno e mentre il governo taglia scandalosamente, come se si trattasse di una semplice tassa, i premi assicurativi dell’Inail.

La sconfitta del 4 marzo è stata drammatica. Ad un anno di distanza le macerie attorno a noi sono ancora tante. Ma per la prima volta si vede la luce in fondo al tunnel. Il percorso sarà duro e tutt’altro che scontato ma è su questo che dobbiamo investire. E per me i prossimi appuntamenti elettorali vanno visti in questa ottica.

Si parla tanto di europee. Ma le amministrative sono almeno altrettanto rilevanti. Non voglio apparire provinciale, ma credo sinceramente che il voto in quasi la metà dei comuni italiani possa cambiare la pelle reale del Paese. Ovunque possibile dobbiamo provare ad arrestare l’avanzata della destra costruendo coalizioni civiche, progressiste, ambientaliste e del lavoro. Non sempre questo è facile ed è evidente che ogni territorio nella sua autonomia valuterà la situazione locale. Ma il messaggio di fondo e la linea politica devono essere chiare. Noi siamo in campo per fermare la destra. Non siamo nati per fare testimonianza, ma per migliorare le condizioni di vita delle persone attraverso l’azione di governo. Questa è la nostra cultura e la nostra vocazione politica. Costruire un nuovo centrosinistra del cambiamento che sia argine a Salvini e company. Ci abbiamo provato in Abruzzo, in Sardegna e in Basilicata. Non è stata facile, ma abbiamo almeno ricostruito un campo dell’alternativa. E non è poco. L’ultimo voto in Basilicata merita una riflessione in più perché si tratta di una regione in cui negli ultimi 25 anni aveva sempre vinto il centrosinistra. C’è stato uno sfondamento della Lega anche nei luoghi classici di insediamento della sinistra. Questo significa che non ci sono più rendite di posizione del passato e che tutto è rimesso in discussione. Proprio per questo servirà un impegno molto forte nelle prossime settimane.

Le stesse elezioni europee rappresentano un passaggio politico delicato. Per noi il più difficile da interpretare con un sistema proporzionale e con la soglia di sbarramento al 4 per cento. Ho sin da subito proposto l’idea di una lista che potesse tenere assieme quelli che a livello europeo si riconoscono nella famiglia del Pse. Voglio essere chiaro, per me il Pse, di cui mi sento parte, è dentro la crisi strutturale della sinistra di cui ho già parlato ed ha molte responsabilità sulla difficile stagione europea di questi anni.  Tuttavia,  esso resta l’argine politico più forte allo sfondamento della destra di Le Pen e Salvini nel parlamento europeo. I nostri europarlamentari, che ringrazio per il lavoro prezioso di questi anni, d’altronde non hanno mai lasciato il gruppo dei socialisti e democratici. Ho avuto modo di incontrare Timmermans e lui stesso ha espresso l’auspicio dell’unità, alle prossime elezioni, di chi è parte della famiglia socialista. Con queste premesse ho chiesto al nostro coordinamento nazionale un mandato a verificare le condizioni per una lista così costruita. Ora, con tutta sincerità, devo dirvi che l’obiettivo di una vera lista del Pes, fatta in Italia da noi, dal Psi e dal Pd non mi pare sia alla portata. L’idea di una accordo strutturato tra queste tre forze politiche per proporre, pur nel rispetto dell’autonomia di ciascuno, una lista del cambiamento dell’Europa e del rilancio e del rinnovamento della famiglia socialista, si scontra con divergenze di vedute ancora troppo profonde. Con la segreteria Zingaretti le distanze si sono accorciate, ma non si sono azzerate. Pur avendo apprezzato il messaggio di non autosufficienza e di riapertura del dialogo a sinistra, espresso dal nuovo segretario del Pd, le differenze restano significative.  Queste sono emerse con chiarezza il giorno della conferenza stampa di presentazione del simbolo che ha suscitato non poche perplessità nella nostra base. Nella mia idea il Pes è Pedro Sànchez, Antonino Costa, addirittura Jeremy Corbyn, soprattutto se alla fine la Gran Bretagna dovesse tornare al voto come dice la May. Mi pare, lo dico con rispetto per i principali protagonisti della lista che si sta costruendo, che siamo lontani da questa impostazione. Si poteva fare molto di più e molto meglio. Io non posso quindi dire, sinceramente, che il mandato che mi è stato affidato sia andato a buon fine.

Allora che fare? Ne discuteremo in questi due giorni e decideremo democraticamente alla fine, come è giusto che sia, senza alcuna drammatizzazione. Io vi dico come la penso. Credo che, preso atto della impossibilità di un vero accordo organico, noi potremmo comunque decidere unilateralmente, con responsabilità e generosità,  di non dividere la famiglia dei socialisti, come ci viene chiesto da Timmermans, e di non frammentare ulteriormente il campo del centrosinistra con la presentazione di un’altra lista, interpretando così anche una domanda di unità che è presente tra gli elettori del nostro campo e che non si può far finta di non vedere. A rafforzare questa ipotesi è anche il quadro molto frammentato delle liste del centrosinistra che oggi sono già 4. Quella di “Più Europa” con Pizzarotti che aderisce al gruppo dei liberali dell’Alde, quella della sinistra più radicale e antagonista che aderisce alla Gue e quella dei Verdi con Possibile che aderiscono alla famiglia dei Verdi europei.

Potremmo, quindi, semplicemente valutare un indicazione di voto per la lista che si richiama al Pes, verificando la possibilità di individuare candidature su cui esprimere il nostro diretto sostegno e rivendicando comunque la nostra piena autonomia e indipendenza sia di progetto politico che di programma per le europee. Sono consapevole che non si tratta di una proposta priva di elementi di contraddizione, ma credo che ogni altra strada alternativa presenti limiti ancora più significativi.

Nel frattempo dobbiamo concludere questa fase di riorganizzazione che riguarda Articolo Uno. Per troppo tempo siamo stati dentro una transizione che non ci ha fatto bene. Me ne assumo ogni responsabilità. In questi due giorni la fase di transizione si chiude. Con il lavoro della commissione statuto e con quello della commissione politica, portiamo a definizione il nostro percorso identitario anche valorizzando il lavoro del tavolo dei segretari regionali e di aree metropolitane e completando il confronto sui documenti politici discussi in questi mesi.

Noi ci siamo, con il nostro profilo e con la nostra agenda. Siamo un soggetto compiuto  con le sue regole ed i suoi organismi. Investiamo con coraggio su noi stessi e sulla nostra identità. Articolo uno significa la priorità del lavoro e la battaglia a difesa della Costituzione che noi rivendichiamo. Completeremo la direzione nazionale ed eleggeremo formalmente il tesoriere e la commissione di garanzia. In tempi brevi mi affiancherà una segreteria per funzioni e propongo sin da oggi di trasformare i forum tematici, che hanno fatto un buon lavoro di approfondimento in queste settimane, in veri e propri dipartimenti, come luogo fondamentale di confronto di merito tra gli iscritti e di interazione  con soggetti sociali e personalità esterne. Continueremo il nostro lavoro sul tesseramento 2019 e la indispensabile campagna per il due per mille. Abbiamo iniziato ad usare queste risorse non solo per l’esile struttura nazionale, ma anche per aiutare i territori, a partire da quelli coinvolti nelle elezioni regionali. Continueremo a farlo nella ricerca di un rapporto virtuoso tra centro e periferia.

Ora compagni concludo dicendovi ancora  grazie, dal profondo del cuore, per il lavoro di questi due anni, per la passione che ci avete messo. Sono stati anni di grande battaglia politica. È solo l’inizio del nostro percorso.  Ci sono stati errori e limiti sicuramente, ma sempre nella convinzione di fare la nostra parte per costruire un mondo migliore. E in fondo, come diceva Enrico Berlinguer, “la lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”.