Speranza: Covid e guerra, sulla crisi sociale è il tempo della sinistra

Politica e Primo piano

Intervista a Huffington Post

di Alessandro De Angelis

Roberto Speranza, ministro della Salute, domani inizia il Congresso che la ri-eleggerà segretario di Articolo Uno, forza nata per costruire una sinistra alternativa al Pd. Sarà il Congresso per rientrare nel Pd? Mi dia il titolo.

Il titolo è quello della mozione: “È il tempo della sinistra”. Non è un Congresso né sul Pd, sebbene sia un nostro interlocutore fondamentale, né tantomeno su un nostro scioglimento. Ma sul mondo che cambia e, all’interno delle nuove domande che si pongono, su come costruire una grande e unitaria sinistra democratica.

Il tempo della sinistra si misura col tempo dei populismi, che forse frettolosamente si sono considerati sconfitti dalla pandemia, senza la quale Trump sarebbe ancora lì.

Problematizzerei la riflessione. Io penso che il Covid abbia reso più attuali alcuni valori fondamentali del nostro campo, come i beni e i diritti pubblici essenziali, che non possono essere delegati al mercato: lo Stato, un nuovo welfare, le reti di solidarietà. Ha cioè contribuito a sviluppare un nuovo contesto e una nuova domanda che ha portato alla vittoria di Biden, di Costa, di Scholz. Se prima della pandemia la domanda di protezione, cavalcata dalla destra, era declinata in termini di sicurezza e immigrazione, quando è diventata sociale è apparsa più credibile la sinistra.

Parliamoci chiaro, il paese è stanco, sfibrato da due anni di pandemia. Dietro una certa indifferenza verso la causa ucraina, e anche dietro un certo pacifismo ipocrita, c’è il tema del “costo”. Insomma l’anelito libertario si ferma al benzinaio, o quando uno vede la bolletta.

Non sono d’accordo, anzi vedo una chiara e schietta solidarietà verso l’Ucraina. Dell’Occidente, dell’Europa, dell’Italia, intesa come Governo e come opinione pubblica. Poi, è chiaro, la preoccupazione per le conseguenze economiche è oggettiva e sacrosanta. Il cuore dei prossimi mesi è la questione sociale, che rischia di essere la più seria degli ultimi tempi, anche perché è la terza crisi in poco più di un decennio, dopo quella finanziaria del 2008 e quella del Covid. L’inflazione da aumento del costo delle materie prime, la perdita del potere d’acquisto dei salari, che coinvolgono famiglie e imprese, può creare una spirale di licenziamenti. E pone, sin da ora, all’ordine del giorno interventi anti-crisi.

La frase di Draghi sui climatizzatori è giusta. Ha voluto dire: non c’è punto di Pil che valga la libertà, perché è la nostra libertà. Non pensa che manchi il secondo corno e cioè “per questo non c’è vincolo di bilancio che tenga di fronte all’esigenza di compensare i sacrifici degli italiani”?

L’obiettivo del Governo è quello di mettere in campo tutti gli strumenti necessari per fronteggiare la crisi. Abbiamo già iniziato, ma bisognerà sicuramente fare di più. Per me la questione sociale connessa a quella dei redditi deve essere il fulcro dell’azione delle prossime settimane.

È un tabù lo scostamento?

Prima dello scostamento c’è la necessità di una risposta europea. Anche per questo speriamo che domenica vinca Macron, per rilanciare l’idea di un Recovery 2 per il dopoguerra. Durante il Covid, dopo una fase di smarrimento iniziale, si è risposto con la sospensione del Patto di Stabilità e con il Next Generation Eu. Adesso serve un’iniziativa analoga e sono certo che Draghi abbia l’autorevolezza e la forza per promuovere, in Europa, una nuova operazione di politica economica espansiva. E c’è la necessità di iniziative di perequazione come quelle sugli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche. Detto questo lo scostamento non è un tabù: se la situazione lo dovesse richiedere, dovremo essere pronti ad agire di nostro.

Il Governo sull’Ucraina ha avuto un posizionamento corretto, ma è apparso un alleato riluttante. “Seguiremo ciò che l’Europa deciderà” è la frase che ha usato il premier più volte. Non pensa che ci vuole maggior protagonismo?

Non sono d’accordo. Penso che Draghi ha tenuto egregiamente la barra, senza ambiguità dalla parte dell’aggredito e contro l’aggressore. E credo anche che l’Italia possa svolgere una funzione di dialogo. Mi rifiuto di pensare che prima si deve aspettare chi vince sul campo per poi prendere una iniziativa politica e diplomatica. Al giusto sostegno della resistenza ucraina, su cui non si devono avere ambiguità, va accompagnata una prospettiva politica.

È appena caduta Mariupol, la guerra continua e mi pare che Putin abbia respinto ogni tentativo di dialogo. Non vedo spazi per tavoli, anzi vedo la prospettiva di una guerra di attrito, a bassa intensità, in cui magari a un certo punto ci sarà un cessate il fuoco, ma non un assetto di pace.

Chiariamoci: per me non ci sono zone grigie, e il cuore della questione è che c’è un aggressore, un aggredito, e un’aggressione senza alcuna giustificazione. Punto. Detto questo manca un pezzo che io non vedo. E cioè una iniziativa più forte dell’Europa per costruire prima il “cessate il fuoco” e poi un equilibrio di pace, l’idea di una nuova Helsinki. Non mi rassegno alla esclusiva militarizzazione della prospettiva delle prossime settimane.

Lei è stato da subito favorevole all’invio di armi. So che ogni paese ha una sua storia, e non voglio fare paragoni. Ma, anche in relazione al dibattito sollevato dall’Anpi, definirebbe quella ucraina una “resistenza”?

Tutti gli eventi storici vanno letti autonomamente e i parallelismi tra epoche storiche diverse non mi convincono. Ma non c’è dubbio che in Ucraina c’è la lotta di un popolo che una mattina si è svegliato e ha trovato i carri armati sul proprio territorio. È una lotta di difesa e di liberazione. Per questo è giusto sostenerla.

Un giudizio su questo dibattito, a sinistra, sul 25 aprile.

Per me, che vado in piazza da quando sono ragazzo, il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani, anzi la festa più bella, il giorno che si celebra la liberazione dal nazifascismo e il riscatto morale degli italiani. Non vorrei nessuna polemica e auspico che sia davvero la festa di tutti.

Lei da ragazzo leggeva Berlinguer. Diciamo che sulla Nato il dibattito lo ha chiuso lui?

Sì, per carità. Rileggiamoci Berlinguer e non entriamo in questa gazzarra da talk show.

Speranza, se si votasse domani, né il cosiddetto campo largo né il centrodestra avrebbero la coesione necessaria per dare un Governo decente al paese. È così?

Non mi sottraggo, anzi sarò più severo di lei. Siamo di fronte allo spappolamento del sistema politico italiano: partiti fragili, spesso solo comitati elettorali personali, coalizioni che si mettono insieme per vincere i collegi, ma che il minuto dopo rischiano di iniziare a litigare. Lo abbiamo visto nell’elezione del presidente della Repubblica. Dico, menomale che si è arrivati a Mattarella, vera garanzia per il nostro Paese, ma le modalità con cui ci si è arrivati rivelano una crisi conclamata.

Bene, viva la franchezza. Dunque?

Dunque è urgente, e dal nostro Congresso partirà un forte appello in tal senso, affrontare la questione della legge elettorale, cioè della ristrutturazione del sistema politico. Non è più rinviabile. E io credo che solo una legge proporzionale possa essere l’antidoto per ricostruire forti soggettività politiche con identità chiare e rinnovati legami sociali e territoriali.

Di fatto, si può dire, una dinamica proporzionale è già in atto. Conte col Pd o Meloni con Salvini, si muovono secondo questa logica.

Vedremo se, dopo le amministrative, si aprirà una discussione vera in Parlamento. Nel frattempo però Pd e 5 stelle sono entrambi al governo. Mentre Salvini e Meloni sono divisi anche su questo.

Pensa che il dossier lo dovrebbe prendere in mano il governo? Dubito che i partiti concluderanno qualcosa. In fondo fa parte di una messa in sicurezza dell’Italia. L’alternativa è lasciare in eredità il sistema politico con le sue convulsioni che hanno portato all’arrivo di Draghi.

No guardi, sta parlando con uno che, da capogruppo del Pd, si è dimesso quando il governo Renzi mise la fiducia sulla legge elettorale. Credo che queste siano materie squisitamente parlamentari e che il Governo debba restarne fuori. È materia su cui devono confrontarsi partiti e gruppi parlamentari.

Torniamo al punto, se si votasse domani, il campo largo non c’è. Pensi alla politica estera. Da far rimpiangere l’Unione di Prodi

Va costruito. Al nostro Congresso ci saranno tutti, dalla sinistra a Calenda, da Conte e Di Maio a Letta, Orlando e Provenzano. Poi certo il punto non può essere solo fermare la destra. Serve un’idea di Paese. Per me il fulcro è la difesa di beni e diritti fondamentali. Aggiungo inoltre che dentro il campo serve poi una architrave della coalizione capace di dare forza e credibilità all’intero impianto. In ciò sta il senso del lavoro che abbiamo avviato con le agorà.

Lei è stato tra i più convinti sostenitori dell’alleanza con i Cinque stelle. Le faccio l’elenco: Conte sul Quirinale gioca d’intesa con Salvini, non si pronuncia su chi sostiene tra Macron e Le Pen, ritorna d’attualità il famoso incontro Barr-Vecchione, cioè il favore che fece a Trump sul Russia gate, e poi le spese militari. Lo considera ancora un pezzo della sinistra o una variante del populismo italiano.

Conte ha assunto la guida dei 5 stelle in un momento non facile della loro vita. Va rispettato per il lavoro che svolge. Spero possa portare quella comunità dentro il campo progressista. Vedo un diffuso accanimento contro di lui. Forse sperano sia meglio avere i 5 stelle alleati con la destra…

C’è anche la questione della missione Dalla Russia con amore, e lei ai tempi era ministro della Salute. Lei era informato della missione? Come fu organizzata in così poche ore?

Gli aiuti provenienti da Paesi stranieri non erano organizzati dal Ministero della Salute. Ma voglio ricordare che in quelle ore drammatiche l’Italia ricevette sostegno e aiuti da moltissimi Paesi del mondo. Sostegno che poi abbiamo ricambiato con il nostro supporto ai paesi in maggiore difficoltà.

Ancora non sono state fornite spiegazioni. Come mai, trattandosi di una missione sanitaria, c’erano più militari che medici?

Mi risulta che l’allora presidente del Consiglio abbia fornito tutte le informazioni al Copasir.

Per la prima volta da due anni, non abbiamo parlato di Covid. Dal punto di vista mediatico la guerra ha proso il posto della pandemia. È così anche nella realtà o rischiamo una sottovalutazione?

Nella comunicazione mediatica la guerra ha sostituito la pandemia. Nella realtà no. Nella realtà la guerra si è aggiunta alla pandemia che è ancora in corso. Per questo serve ancora mantenere alto il livello di guardia. Non pensare sia tutto finito. E soprattutto dobbiamo insistere ancora con le vaccinazioni che hanno rappresentato il vero game changer.