Scotto: non rinnego l’era giallorossa. In politica è un errore dire mai più

Politica e Primo piano

Intervista a Il Riformista

di Umberto De Giovannangeli

Arturo Scotto, Coordinatore politico nazionale di Articolo Uno, non è uso al “politichese” e con Il Riformista lo dimostra.

Che campagna sarà quella che ci porterà al 25 settembre?

Siamo precipitati nella campagna elettorale più pazza della storia in una situazione di oggettiva emergenza. Guerra, ripresa pandemica, inflazione che sfiora le due cifre: l’appello alla stabilità di governo, che non è un valore in sé, ha incrociato una domanda di protezione diffusa. Questo combinato disposto è generato dall’eccezionalità di questi eventi esterni, che ha creato disappunto tra le persone. Una politica che è apparsa impegnata nelle beghe di palazzo, un sentimento analogo a quello che scattò quando Renzi buttò giù Conte nel 2021. Paradossale che la vittima di quella manovra di allora non abbia calcolato le conseguenze del passaggio di oggi. Perché ci è passato innanzitutto lui e allora il paese si schierò al suo fianco. Bisognava evitare il voto anticipato e affrontare le priorità sociali, finalmente all’ordine del giorno del tavolo convocato con i sindacati: rivalutazione del potere d’acquisto dei lavoratori, salario minimo, disboscamento dei contratti precari. Non è un caso che sia venuto proprio dai sindacati e dal mondo dell’associazionismo laico e cattolico l’appello più forte a non interrompere prematuramente la legislatura e fermare un percorso di riforme appena abbozzato. Ora davanti a noi c’è una destra che si presenta “in purezza”, senza complessi di inferiorità né ansia di legittimazione. Riparte il refrain sugli sbarchi, l’assalto a qualsiasi forma di sussidio per i poveri, l’attacco allo stato sociale. Non basta l’appello alle radici antifasciste della Repubblica. Serve una proposta socialmente connotata, direi un impianto socialista ed ecologista che metta al centro il lavoro e i cambiamenti climatici.

E l'”Agenda Draghi”?

Agende Draghi non esistono se non nella testa di qualche editorialista salottiero. D’altra parte, un Governo nato “senza formula politica”, come Mattarella ha spiegato sin dall’inizio, non può diventare una linea utile per le elezioni. Non puoi andare dagli elettori dicendo che non hai una formula politica. Sarebbe come ammettere che sei invisibile. Chiudiamo rapidamente questo tormentone politologico, come ha ribadito pure Enrico Letta, e concentriamoci sulle cose da fare.

Dopo la rottura “irreversibile”, stando al segretario dem, cosa resta del “campo largo” del centrosinistra?

Oggi il campo progressista è diviso: una battuta d’arresto per l’ipotesi politica a cui abbiamo lavorato da anni. Conte non si è reso conto che accelerando la crisi del Governo Draghi avrebbe scavato un solco con il centrosinistra, azzerando persino l’efficacia dell’iniziativa dei 9 punti. Spero non prevalga l’impulso di tornare al mito fondativo delle origini, al trasversalismo culturale e al ripudio di una politica di alleanze. Da noi non arriveranno attacchi, ma continuo a pensare che abbiamo fatto bene a provarci: l’esperienza giallorossa la rivendichiamo come nostra, non abbiamo nulla di cui pentirci. Il limite di quella stagione è non aver avuto il tempo né la lucidità di trasformare quell’asse in un progetto politico con radici nel paese. I campi politici non si determinano partendo solo dai governi. Oggi un accordo programmatico appare difficile, se non impossibile. Altra cosa è un accordo tecnico. In politica dire “mai più” è sbagliato almeno quanto dire “per sempre”. La legge elettorale peggiore della storia repubblicana per la quota uninominale consente apparentamenti. Eviterei che la destra faccia cappotto e cambi la Costituzione in senso presidenzialista. Resta un tema ineludibile: quella domanda di rottura che fu intercettata dai Cinque Stelle dove va a finire? Possiamo immagina re che oggi sia appollaiata nel mare magnum dell’astensione, ma chi la va a recuperare vince le elezioni politiche. Non è vero che la partita sia perduta, bisogna però giocarla fino in fondo e con un messaggio dritto su tutti i temi. Serve una sinistra di governo e di combattimento: con meno di questo la vedo in salita.

Letta ha annunciato il varo della lista Democratici e Progressisti, confermato dalla Direzione del Pd. Voi di Articolo Uno ne farete parte. Fare di necessità virtù?

Noi abbiamo scelto, non abbiamo inseguito lo stato di necessità. La lista “Italia democratica e progressista” proposta da Letta è nel solco di quanto abbiamo dichiarato nel congresso di aprile di Articolo Uno: unire e rinnovare la sinistra, a partire dalla comune appartenenza al socialismo europeo. Certo, allora immaginavamo la nascita di una proposta che si sarebbe dispiegata in un tempo più lungo, un vero processo costituente della sinistra democratica e non solo una lista elettorale. Ma la precipitazione ha accelerato tutto. Ciò che conta è la direzione di marcia: archiviare la subalternità al pensiero unico, ribadire la centralità dei beni comuni da sottrarre al mercato, avviare la revisione delle leggi che hanno precarizzato il lavoro. La Consulta pochi giorni fa ha smontato definitivamente il Jobs Act. Insomma, ha fallito “il riformismo delle controriforme”. Non pretendo che qualcuno chieda scusa, ma che almeno abbassi il livello di arroganza. Prosegue invece la campagna contro i poveri proponendo di abolire il reddito di cittadinanza: consiglierei una tregua con le provocazioni. La questione sociale non è mai stata monopolio del MSS, ma la ragione fondativa di qualsiasi forma di vita a sinistra in Europa. E se abbiamo trasmesso questa idea, se abbiamo dato l’impressione di subappaltare a loro i territori della sofferenza sociale e il corpo a corpo nelle periferie con l’estrema destra, la colpa è solo nostra. Occorre tirare una riga, provare a unire gli “impoveriti” con gli “ultimi”, sottraendo questa saldatura alla destra xenofoba che lavora sulle paure.