Scotto: messaggio alla sinistra, chi sta alla finestra morirà salviniano

Politica e Primo piano

Intervento su Il Fatto quotidiano

di Arturo Scotto

Caro direttore, la politica dei due forni è un retaggio della Prima Repubblica, della sua fase declinante e consociativa. Oggi, con attori e modi diversi, si ripropone. I forni li alimenta con astuzia Salvini che sulla Diciotti compie tre mosse da manuale: ricompatta il centrodestra, schiaccia il governo sulla sua posizione processuale, mette in crisi M5S sul principio dell’uno vale uno. E quando arriverà il momento, la Lega darà le carte per decidere il destino della legislatura. Di Maio, paralizzato dalla prima prova di governo, prova a rispolverare qualche bandiera identitaria, ma non ha la forza di staccare e di promuovere una svolta.

In questo scenario – condivido la profezia di Travaglio – il quadro politico rischia di scivolare più a destra, o per via parlamentare – una ricomposizione trasformistica con Berlusconi – o per via elettorale. Con il risultato di una democrazia bloccata per molti anni: Salvini al comando di un centrodestra nazionalsovranista, M5S troppo grandi per scomparire ma troppo piccoli per governare da soli, e un centrosinistra out.

L’opposizione non può oscillare tra la critica ai congiuntivi di Di Maio e l’appello alla santa alleanza contro i populisti. Come se il blocco dei populisti fosse monolitico, mentre è evidente che il contratto frana su interessi divergenti (reddito e Tav). Questi interessi non sono componibili, si scontreranno innanzitutto lungo l’asse nord-sud, con il Mezzogiorno vittima sacrificale di un’idea eversiva di federalismo. Ignorarlo è miope, non sfruttare le contraddizioni è irresponsabile.

Dire “mai con i M5S” può conquistare applausi ma non basta a costruire un’alternativa. È soltanto la certificazione di una preoccupante vocazione minoritaria. Una scelta che lascia entrambi i forni nelle mani di Salvini e congela la sinistra all’opposizione.

Intendiamoci, si può stare in minoranza per decenni e incidere sul tessuto democratico, come insegna il Pci. Ma fare politica obbliga a distinguere tra avversari, a evitare che si saldino e concentrino troppo potere. Il M5S è una forza immatura, che fatica a riconoscere il valore della democrazia dei contrappesi, che ignora la centralità dei corpi intermedi, che nasconde i propri limiti fabbricando nemici spesso immaginari.

Ciò accade anche perché per la prima volta nessuna delle culture costituenti è al governo. Riportare una quota di populismo dentro un quadro di compatibilità democratiche rappresenta oggi una delle funzioni della sinistra. Lungi da me pensare che si possa civilizzare il populismo, ma non lo si argina senza interrogarsi sul nucleo di verità che l’ha aiutato a crescere.

Il tempo non è molto e Salvini corre veloce. L’autorizzazione a procedere sarà una deadline. Se Di Maio si accoda, finisce la stagione della verginità. Ma augurarselo è infantile. Serve un’iniziativa perché quella possibile rottura non produca una stabilizzazione definitiva a destra. Mettendo i grillini davanti alle proprie responsabilità e inaugurando su pochi grandi nodi un compromesso più avanzato: investimenti pubblici contro la recessione, lavoro stabile per contrastare la povertà, welfare nazionale contro la secessione dei ricchi.

Un’agenda diversa che metta la Lega fuori dal Palazzo già in questa legislatura e rinnovi lo spazio di una dialettica democratica, nel tempo del proporzionale, più sana. Aprire il forno col M55 è un rischio vero, ma stare alla finestra e spalancare le porte di Palazzo Chigi a Salvini significa perdere l’anima. E anche i pochi voti che ci sono rimasti.