Scotto: l’Italia è Vlady e Filippo, tuteliamo la loro libertà e il loro futuro

Politica e Primo piano

Pubblicato su Left

di Arturo Scotto

Mi è sembrato giusto fare il mio dovere di cittadino, non di militante politico. L’aggressione che abbiamo subito a Venezia intorno alla mezzanotte del 1 gennaio ha avuto una eco superiore a quanto lontanamente immaginassi. Segno che c’è una coscienza diffusa di quanto sia cresciuto in questi ultimi anni un pericoloso rigurgito di estrema destra che miete consensi e recluta giovani.

Non è dunque un episodio isolato, ma l’ultimo di una catena lunghissima che ha attraversato piazze, stadi, mass media. Il neofascismo in Italia è una realtà. Si compone di simboli e di divise, di cori e di riti, di luoghi fisici e di luoghi virtuali. E’ animato da vecchi e nuovi maestri, ma ha un potente ascendente su frange non marginali di una nuova generazione che va incontro alla politica dei prossimi venti anni con l’armamentario del ventennio del secolo scorso.

Ne hanno scritto in tanti, dal capolavoro di Scurati a tantissimi storici, intellettuali e giornalisti che si sono cimentati con la materia, ma non c’è ombra di dubbio che trasformare la paura della perdita di reddito e di lavoro in odio revanscista è il principale mestiere che questa destra sta facendo. Quella extraparlamentare e quella istituzionale, legati insieme da un indissolubile destino. E che talvolta non esitano a mescolare le piazze, come dimostra Piazza San Giovanni della Lega Nord il 19 ottobre scorso con la presenza esplicita di Casapound e Forza Nuova.

Ma di cosa è figlia questa escrescenza fascistoide? Diciamolo chiaramente: di due fattori precisi, uno contingente, un altro di più lungo periodo. Il primo è figlio della crisi economica, dei passaggi a vuoto della sinistra, trasformatasi talvolta in maniera consapevole in una corrente esterna del neoliberismo. Abbiamo smobilitato, siamo diventati o siamo stati percepiti come una variante del sistema, siamo stati incapaci di affermare un altro modello di società. Dobbiamo fare i conti con i nostri errori senza sconti.

La seconda sta dentro la storia profonda del nostro paese, una democrazia irrisolta. In questo paese anche dopo il ventennio i neofascisti hanno messo bombe, cercato di promuovere golpe, controllato larghi stati della burocrazia e delle forze armate. Una Costituzione materiale anticomunista – come scrive Miguel Gotor nel suo volume “L’Italia del Novecento” – che collideva con la Costituzione sostanziale scritta dalle forze che avevano liberato il Paese con la Resistenza.

Averne seppellito e sopito la memoria, aver archiviato questo passato recente con un tratto di penna, magari per non scoperchiare responsabilità molto altolocate ha liberato la parola. Quella bestiale, che si condensa in un razzismo riemergente in forme nuove.

“Prima gli italiani” porta inevitabilmente all’affermazione di una discriminazione fondata sul sangue. E – si sa – quando ci si incammina su questa strada si arriva sempre lì, agli ebrei che vanno ricacciati in un angolo.

Quella notte non mi hanno colpito i cori cretini sul duce, ma le parole violente e gratuite su Anna Frank. Quelle mi hanno fatto male più di mille cazzotti. Quelle mi dicono che la pena massima che questi fascistelli dovrebbero avere è l’obbligo di leggere e imparare quelle parole scritte in un diario da una ragazza adolescente condannata a morte solo perché ebrea. L’antisemitismo è sempre lo stadio ultimo delle manifestazioni di xenofobia che a un certo punto si radicano e prendono piede in una comunità che scivola nel sonno della ragione. E da qui dobbiamo partire perché siamo il paese della vergogna delle leggi razziali. Non dimentichiamolo mai.

Ma a Venezia ho imparato – insieme a mia moglie Elsa e mio figlio Enrico – che c’è anche una generazione che ha il coraggio di denunciare, che non sta zitta, che si assume i propri rischi. Vlady e Filippo, i due ragazzi che mi hanno soccorso, sono le facce di un sentimento pre politico, quello che ti porta a difendere chi sta subendo un’ingiustizia senza porsi troppe domande. L’uno – Vlady – ha ventidue anni ed è un cittadino moldavo che ha rimediato un brutto occhio nero. Vive in Italia da 18 anni, è laureato alla Ca’ Foscari, paga le tasse, ma non ha la cittadinanza. L’ennesima traccia di un paese irrisolto che ancora non riesce a fare una legge sullo Ius Soli. L’altro – Filippo – ha appena venti anni, è alla ricerca di lavoro stabile e non precario, come tanti della sua generazione, è andato in TV a denunciare i fatti e si sta battendo come un leone per la verità.

Questa Italia c’è. E’ maggioranza nel paese. Facciamola emergere, raccontiamola, incontriamola, riattiviamola. Non facciamoli sentire soli. Loro restano lì, sul territorio, quando si abbasserà inevitabilmente la tensione mediatica. E sono oggettivamente più esposti di chi ha un ruolo pubblico o vive altrove.

Il mio pensiero va a questi due ragazzi, alla tutela della loro libertà e della loro agibilità di giovani cittadini. Perché solo così non ritorneranno i mostri del passato.