Scotto: l’affare Metropol ci riporta al tema del finanziamento della politica

Politica e Primo piano

Intervento su Huffington Post

di Arturo Scotto

La Lega ha bisogno di soldi. Ce lo dicono i 49 milioni evaporati. Ce lo dice il “milieu” politico-affaristico che ha accompagnato Salvini in questi innumerevoli viaggi a Mosca.

Che i colloqui con gli amici russi non avessero come oggetto soltanto le manifestazioni di vicinanza con Putin è ormai un fatto acclarato. Questo non significa che la Lega abbia preso tangenti, ci sono indagini della magistratura in corso ed è probabile che quella partita di petrolio sia rimasta nient’altro che un semplice auspicio. Ma quel nastro dove Savoini delinea nei fatti un manifesto politico che non può essere derubricato a un episodio di gossip.

E il nuovo quadro di alleanze tra sovranisti e la grande madre Russia ci consegna un dettaglio da cui nessuno può sfuggire più: come si finanzia la politica. Perché non esiste alcuna democrazia che possa reggersi in piedi senza un rapporto trasparente con le risorse.

La politica costa. La democrazia costa. E se non vogliamo uscirne con meno democrazia e meno politica da questa crisi drammatica il tema del finanziamento pubblico ai partiti deve tornare prepotentemente all’ordine del giorno. O pensiamo che sia normale che una potenza straniera possa intervenire economicamente nella dinamica del consenso del nostro paese? Il problema c’è ed è enorme. D’altra parte, i mestatori di professione che in questi giorni hanno ritirato fuori la storia dei rubli del PCI hanno omesso di ricordare che Berlinguer recise i legami economici con i sovietici nel 1972. Con un atto coraggioso, unilaterale e gravido di conseguenze politiche. Persino sul piano personale.

Nel 1974 in Italia fu introdotta la prima forma di finanziamento pubblico ai partiti. Lo votarono tutti, perché non erano solo i comunisti ad avere sostenitori all’estero. I soldi li prendevano anche i partiti che stavano al Governo. Era la logica della Guerra Fredda e fu spezzata con un atto di autonomia della democrazia italiana.

Così venne la sovranità limitata imposta dal quadro geopolitico uscito da Yalta. Non è un caso che in quegli stessi anni fu avviata la discussione sul Compromesso storico. E non è ancora una volta un caso che né i sovietici né gli americani apprezzarono questo orientamento e lo combatterono senza esclusione di colpi, fino ai risvolti tragici che la storia ci consegna.

Per questo la vicenda Savoini non va banalizzata. Ne va dell’autonomia del nostro paese e l’autonomia passa anche per una politica forte. Che non dipende da nessuno per le risorse che le servono per funzionare, né’ dagli appalti, né dalle multinazionali, né dalle mafie, né dalle potenze straniere. La politica è più forte se non ha padroni. Se non ha cambiali da pagare.

Da quando la democrazia è diventata uno spreco, comprese improvvide riforme costituzionali che tagliano la rappresentanza e riducono gli spazi per le minoranze, la qualità del dibattito politico è peggiorata. Dilettanti, corrotti, improvvisatori, lobbisti, avventurieri l’hanno plasmato nell’ultimo ventennio. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Per questo è ora che si riapra senza tabù il tema del finanziamento pubblico ai partiti.

Le ipocrisie lasciamole fuori dalla porta.