Scotto: Articolo Uno è nato per arare il campo, non per fare l’orto

Politica e Primo piano

Pubblicato su Il manifesto

di Arturo Scotto

Un brindisi è un brindisi. Non è un congresso né un’assemblea. Ma come in ogni famiglia le feste sono un momento di bilanci, di verità scomode, di affetti ritrovati. Da poco il cinema italiano ha riproposto la saga del teatro sperimentale napoletano. Da Scarpetta a De Filippo, grazie alla mano sapiente di due registi come Martone e Rubini. Il nostro non è stato “Natale in casa Articolo Uno”, eppure pare riaprirsi dopo le parole di Massimo D’Alema un dibattito attorno al presepe della sinistra italiana. Mi piace, non mi piace, questo pastore va messo lì, quest’altro aspetta il prossimo anno. Nel presepe napoletano d’altra parte c’è il mondo con le sue debolezze, la miseria e la nobiltà, chi dorme e chi è sveglio, chi si agita per sbarcare il lunario e chi è immobile a prescindere. Insomma, la vita con i suoi conflitti, ma anche uno specchio di quello che vorremmo essere.

Cosa vuole essere Articolo Uno, questa piccola navicella che in questi anni pur condannata al limbo, come scrive il manifesto, ha dato un tetto a migliaia di persone riportandole alla militanza, in un paese dove ormai vota un italiano su due? Non abbiamo mai pensato di essere la Linke italiana, ma un soggetto della sinistra socialista, insediato pienamente nel campo progressista. Persino nel 2017, nel punto più alto della polemica col Pd, lavorammo fino all’ultimo per l’unità, prospettiva impraticabile innanzitutto per la scelta di Renzi di costruirsi una legge elettorale su misura, calpestando il Parlamento a suon di colpi di fiducia.

Nati per tenere in vita un punto di vista, per arare il campo e non per coltivare l’orto, e per ricomporre una sinistra plurale, quando dal Pd e dal M5S ci prendevano per matti, tra un “senza di me” e un “sempre da soli”, nel 2013 come nel 2018, rimuovendo l’arrivo di una brutta destra. Se oggi nessuno mette in discussione l’ipotesi di una coalizione giallorossa forse è anche un merito di chi ci ha creduto dall’inizio, senza farlo per ansia di prestazione governista o per conservare una postazione ministeriale.

Per questo la definizione “sinistra sanitaria” è quantomeno forviante. Che ci sia stata una sinistra che, nel pieno della più tragica crisi dal dopoguerra in poi, ha tenuto la barra dritta sui beni pubblici, sulla prevalenza del diritto alla vita sulla logica del profitto non era scontato. Compreso tra i governi Conte e Draghi l’investimento più ingente sul Ssn, dopo lunghi anni di definanziamento. Abbiamo vinto? No, ma abbiamo stabilito un punto di resistenza, non tutti avrebbero retto in quella temperie. Forse sarebbe utile ricordare quando dal Presidente di Confindustria, passando per destre sociali ed economiche, salviniani no mask e renziani di complemento, tutti volevano riaprire tutto, senza vaccini e senza protezioni. Perché bisognava tornare a lavorare, a produrre, a consumare. A questa logica ci siamo ribellati. Dal governo, nel cuore del potere politico, non alzando una bandierina estetica di opposizione al sistema.

Lo facciamo persino ora con rapporti di forza molto più sfavorevoli. Esiste il governismo senz’anima, esiste anche il parassitismo della testimonianza che misura la propria identità sui centimetri di distanza dalla forza più grande, modellando la propria funzione quasi sempre in chiave elettoralistica. Questi anni ci hanno cambiato, ci hanno portato a fare i conti con tornanti della storia che nessuno aveva calcolato.

Se guardiamo tutto come immutabile, compreso il Pd, ha ragione chi ci dice che imbocchiamo la strada delle Agorà e di una possibile ricomposizione delle forze progressiste per disperazione e non per convinzione. Ma nulla è immobile, in Italia come in Europa.

Chi avrebbe mai immaginato che il cancelliere tedesco pronunciasse la parola patrimoniale o proponesse il salario minimo a 12 euro? Non so chi sia ancora ammalato di renzismo, non so se Letta parli di uscita a sinistra dalla pandemia solo per calcolo elettorale, so tuttavia che la società italiana guarda a soggetti grandi, capaci di attraversare la crisi economica e morale del paese con un punto di vista meno appiattito sul presente.

Oggi il Pd è già quel soggetto? Credo di no, sennò avrei già la tessera in tasca. Non è questione di nomi o come dice Bersani di parrocchiette. Ma di una linea politica che deve ancora dispiegarsi. Eppure questo è il terreno in cui vogliamo provare ad aprire una contesa politica, altro che limbo. Decidendo insieme nel congresso che faremo in primavera.

Sono convinto che anche da il manifesto arriverà una mano a far vivere questa discussione. Serve a tutta la sinistra italiana.