Rossi: avrei lavorato anche per un’intesa su Gori, ma gli è mancata l’umiltà

Politica e Primo piano

Intervista al Mattino

di Alberto Alfredo Tristano

«In una forza plurale come la nostra si discute e si rispetta il principio della maggioranza. Personalmente in Lombardia avrei lavorato per un’intesa col Pd su Gori». E ancora: «Il nostro lavoro più profondo comincia dopo il 4 marzo: perché ora siamo una confluenza di forze che dovrà presto diventare il partito nuovo della sinistra: il Partito del Lavoro». Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e cofondatore di Mdp, parla della sfida elettorale e del percorso politico che attende il soggetto oggi guidato da Pietro Grasso.

Presidente Rossi, Liberi e Uguali in Lombardia decide di andare da sola senza allearsi col Pd su Gori. Che ne pensa?

«Posto che siamo alternativi e competitivi sul piano nazionale rispetto a questo Pd guidato da Renzi, credo che sul livello locale occorra unire il campo del centrosinistra se possibile. Per cui io dico sì a Zingaretti nel Lazio e avrei detto sì a Gori in Lombardia. Al nostro interno la questione lombarda ha creato una spaccatura. Ritenevo che da parte nostra si potesse immaginare di non perdere una possibilità di vittoria che si era aperta dopo il ritiro di Maroni: non dico che la Lombardia fosse contendibile, ma ci si poteva provare. Tuttavia i nostri compagni hanno deciso di schierare Onorio Rosati e noi siamo con loro. Gori da parte sua avrebbe forse dovuto avere l’umiltà del confronto: non può dire che i nostri elettori sono già con lui. Peraltro fossi stato nel candidato democrat, avrei lanciato uno slogan diverso: “Fare meglio” significa muoversi nel solco dell’amministrazione uscente, pur migliorando la qualità dell’opera. Invece bisogna cambiare totalmente le politiche della destra».

Esclude qualsiasi convergenza col Pd di Renzi sul piano nazionale?

«Assolutamente sì. Ritengo che se saremo forti potremo far emergere meglio nel Pd sensibilità diverse da quella incarnata dall’attuale segretario, per costruire un nuovo centrosinistra».

Già vi accusano di fare il gioco della destra…

«La destra è ritornata da tempo, prendendosi città storicamente governate da noi. Ed è stato Renzi a rimettere in campo Berlusconi, deludendo il nostro elettorato e rimotivando il suo. Entrambi i leader, politicamente, sono dei falliti e possono avere una lingua comune nelle larghe intese. A questo gioco noi non ci prestiamo».

E con il Movimento 5 Stelle si può aprire un confronto?

«Sarà assai difficile una trattativa con i grillini, mi pare che ci siano pregiudiziali di tipo costituzionale e democratico che ce lo impediscono. Il loro carattere anti-istituzionale non può combinarsi col nostro. Peraltro Di Maio mi sembra uno Zelig che cambia opinione a seconda dell’interlocutore».

Insomma, vi avviate verso la solitudine parlamentare.

«Noi non dobbiamo avere paura di fare l’opposizione. Naturalmente ci sentiamo una sinistra di governo, ma non di un governo di destra. Il nostro lavoro, dopo le elezioni, sarà costruire un nuovo partito di sinistra».

Si discute della candidatura con LeU di Bassolino. Lei è favorevole?

«Io penso che Bassolino rappresenti la storia gloriosa della sinistra meridionale e dunque deve far parte del nostro progetto e delle nostre liste. Tra l’altro ricordo che quando dopo il crollo dell’Unione sovietica si discuteva dello scioglimento del Pci per aprire una stagione nuova, Bassolino lanciò la proposta di un Partito del Lavoro. Io credo che quell’idea sia più valida e moderna che mai: dà il senso di un’attività e di una presenza a sinistra».