Oggionni: è arrivato il tempo di mettere gli scarponi nel fango

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Simone Oggionni

Stiamo gestendo una sconfitta politica e sbaglia chi non se ne è accorto. Chi ha fatto cadere il governo Conte II lo ha fatto con l’obiettivo di spaccare l’alleanza tra Leu, Pd e Cinque Stelle e di spostare più a destra l’asse del governo.

A partire da questa consapevolezza occorre muoversi, conciliando gli interessi del Paese e gli interessi della sinistra, che deve mantenere un profilo giusto, coerente, comprensibile e spiegabile.

In questo senso non penso che le due strade di fronte alle quali siamo (un governo politico che allarghi e non stravolga la maggioranza che già c’è e un governo istituzionale e di larghissime intese) siano la stessa cosa. Noi dobbiamo lavorare, insieme al Pd e al Movimento Cinque Stelle, per scongiurare la seconda ipotesi e perché si realizzino le condizioni per la prima.

Ciò che serve è un governo politico, che declini in chiave europeista la ineludibile necessità di un allargamento della maggioranza, rispondendo così a una parte, per me essenziale, del ragionamento svolto nei giorni scorsi dal presidente Mattarella. Ciò che è preferibile, in questa fase, è mettere insieme quelle forze che con una certa coerenza hanno scommesso sulle (e lavorato per le) scelte strategiche compiute a livello europeo, dalla Commissione alla Banca Centrale, nell’ultimo anno.

Ma non esistono governi senza un programma. Noi dobbiamo rivendicare e ottenere – anche giocando di sponda con le forze sociali, a partire dal sindacato – un programma che contenga le cose buone fatte e sulle quali non bisogna arretrare (la proroga del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione; l’avvio del tavolo per la riforma degli ammortizzatori sociali; la centralità assoluta della sanità pubblica anche oltre l’emergenza Covid) e altre su cui dobbiamo impegnarci segnalando in positivo una linea di demarcazione invalicabile con e contro la destra sovranista: riconversione ambientale contro grandi opere inutili; progressività contro flat tax; evasione fiscale contro condoni e anno bianco fiscale, ius soli contro decreti sicurezza, legge elettorale proporzionale contro maggioritario.

Questo approccio a me sembra molto più efficace e molto più corretto rispetto all’indicazione di un puro veto contro un partito ma anche rispetto a quello proposto da chi, pure a sinistra, preferisce la nascita di un governo aperto a tutti, compreso Fratelli d’Italia. Qualcuno parla di governo di scopo, ma non mi risulta che la Costituzione lo preveda. Attenzione a piegare la Costituzione alla vulgata giornalistica. Sarebbe patetico. Occorre sapere che esistono soltanto governi che nascono in Parlamento e ottengono la fiducia del Parlamento e che sono sempre – qualunque sia la composizione del Consiglio dei ministri – espressione delle forze politiche.

Quindi occorre un governo con un perimetro politico più ristretto e omogeneo e un profilo programmatico alto e penso sia persino nell’interesse di Draghi poter contare su di un governo in grado di non saltare alla prima curva o al primo imprevisto sotto il peso delle contraddizioni di forze troppo diverse tra loro.

Ma se malgrado la nostra preferenza dovesse prevalere in Draghi la necessità di allargare ulteriormente la base parlamentare e di varare un governo più largo, mi permetto due osservazioni.

La prima. Il governo Draghi non sarebbe il governo Monti. Il mandato internazionale con cui nacque quel governo – come altri nel decennio precedente – era un altro: ridurre il debito pubblico, contenere salari e inflazione in una condizione disperata per le finanze pubbliche.

In questo caso invece il mandato – se esiste un mandato e se Mattarella ne è in qualche modo garante – è assicurarsi che le risorse del Recovery non solo non vadano sprecate, ma si traducano in crescita economica e punti stabili di Pil. Oggi, al contrario di allora, esistono oggettivamente i margini per tradurre il debito “buono” in politiche espansive anche a beneficio delle classi popolari, proseguendo quella politica di investimenti, crescita della spesa sociale, innovazione, transizione ecologica e digitale che abbiamo provato a impostare nell’ultimo anno e mezzo.

La seconda. Se è un governo europeista, dubito che ignori le raccomandazioni specifiche inviate all’Italia dalla Commissione Europea nel maggio scorso, che chiedono di sostenere l’economia reale, di promuovere gli investimenti per favorire la transizione verde e digitale, di spostare il carico fiscale dal lavoro alla rendita, di riformare il sistema catastale, di combattere l’evasione e il lavoro sommerso, di sostenere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, di sostenere infine il reddito e l’accesso alla protezione sociale, in particolare per i lavoratori atipici. Direi che occorre evitare di fasciarsi la testa prima di averla rotta: a trovarsi in difficoltà potrebbe essere la Lega più che la sinistra.

Infine una considerazione su di noi. Mi pare evidente che siamo alla vigilia di scomposizioni e ricomposizioni del quadro politico. Un piccolo grande terremoto di cui senz’altro vedremo gli effetti nei prossimi anni, ma dentro il quale non possiamo essere soltanto spettatori.

Per questo serve più politica, non meno politica. Più responsabilità, non soltanto nei confronti del Paese ma anche nei confronti della nostra parte, che chiede un salto di qualità, di pensiero e anche di organizzazione, ormai ineludibile. E qui c’è il nostro ruolo. A prescindere dal governo, dobbiamo riprendere in mano – con chi ci sta – il grande obiettivo di una rifondazione di un partito democratico e socialista (Prospero ha scritto nei giorni scorsi: del lavoro) che torni a rappresentare un punto di riferimento per molti. È arrivato il tempo di farlo. Occorre, per molte ragioni, mettere gli scarponi nel fango.