“Non si può più aspettare”. #Restart, il testo della relazione di Speranza

Politica e Primo piano

Approvata all’unanimità dopo un lungo dibattito la relazione di Roberto Speranza a #Restart. Ecco il testo integrale. (Sul sito di Radio radicale, la registrazione video di tutti gli interventi della giornata)

La nostra assemblea nazionale arriva proprio nei giorni in cui il voto del 4 marzo produce il suo sbocco politico, con la probabile nascita di un governo Salvini-Di Maio con il beneplacito di Berlusconi. Sono ancora prudente, ma se le cose andassero avanti e si uscisse dal cortocircuito istituzionale in cui siamo, si tratterebbe di un governo inedito nella storia repubblicana, con l’intesa tra due forze politiche che hanno ottenuto un’ampia legittimazione popolare sulla base di una domanda di capovolgimento dello status quo. Sono forze che nulla hanno a che fare con le categorie classiche con cui abbiamo interpretato la politica negli ultimi due secoli. Probabilmente nascerà un governo con lo sguardo rivolto a destra come mai si era visto prima. Lo scenario preoccupante che si apre non era inevitabile. Ci sono responsabilità chiare e precise di chi poteva costruire un equilibrio più avanzato evitando la saldatura tra la Lega e i 5 Stelle e non ha avuto il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. Invece si è tifato per questo sbocco, giocando sulla pelle del Paese, pensando di poter lucrare qualche vantaggio. Ma su questo tornerò. A noi tocca una fase di opposizione, ma anche di sfida in Parlamento e nel Paese a partire da temi fondamentali come la lotta alla precarietà, la difesa della sanità pubblica, l’affermazione del principio costituzionale della progressività fiscale.

Il voto del 4 marzo ha cambiato il volto del sistema politico italiano. Noi siamo stati travolti, come tutte le altre forze del campo democratico e progressista, che nel suo complesso non ha superato un voto su quattro, comprese le proposte più radicali. Una sconfitta cocente per tutti: Sinistra di governo e sinistra radicale, usando categorie che dobbiamo rinnovare perché ormai parlano pochissimo fuori dai nostri circuiti. Si è chiuso definitivamente il ciclo politico italiano iniziato negli anni 90, che si era basato sul bipolarismo centrodestra/centrosinistra. Il centrodestra di Berlusconi, che esce sconfitto dalle urne (meno 2.800.000) ed è sempre più marginale nella nuova dinamica politica. Il centrosinistra classico nelle sue varianti Ulivo, Unione, Pd (meno 2.600.000) viene ridimensionato in modo impressionante.

Le ultime elezioni locali, in linea con le indicazioni del voto politico, iniziano a prefigurare quello che è sembrato un nuovo bipolarismo senza sinistra. Mi ha colpito il voto in Molise. 43% centrodestra, 38% Grillo. Sono dati inquietanti che ci riguardano e devono indurci ad una profonda riflessione per capire qual è la risposta politica che la sinistra nel suo complesso deve provare a costruire.

Il voto è sempre uno specchio della società. E in questo passaggio elettorale è emersa con drammatica chiarezza l’immagine riflessa di un Paese diviso, frammentato e stratificato. Si accentuano le linee di frattura, Nord/Sud, Centro/periferia, giovani/anziani, ricchi/poveri, istruiti/non istruiti.

Si torna a votare per classe. Dove sei nato, di chi sei figlio, che lavoro fai sono elementi essenziali della collocazione politico/elettorale dei cittadini. Questo rende il Paese più chiuso e più debole e la nostra democrazia più fragile. Ci fa tornare indietro di parecchio. La crisi economica e sociale iniziata nel 2007/2008 ha ancora un peso nelle dinamiche elettorali del nostro Paese, in termini di rigetto nei confronti dell’establishment e di richiesta di radicale cambiamento.

Dentro questo quadro c’è la crisi della Sinistra. Si è rotto qualcosa di profondo in questi anni tra Sinistra e popolo. Siamo scomparsi tra i ceti popolari, che invece diciamo di voler rappresentare e difendere. Nella faglia tutelati e benestanti da una parte e non tutelati e disagiati dall’altra, noi prendiamo i voti solo dei primi. Quando dico “noi” penso ad un noi largo, non ad una sigla. A un universo che supera le nostre distinzioni di gruppo dirigente. Quando vanno al voto in 33 milioni, come è avvenuto il 4 marzo, le persone danno un giudizio su quello che tu hai fatto, su quello che tu hai rappresentato, sulle idee di fondo che hanno caratterizzato un campo e un ciclo politico. È così che si spiega come mai il voto a LeU, quello al Pd  e persino quello a Potere al Popolo hanno una simile composizione sociale e una marcata proporzionalità tra loro. Siamo ben messi tutti al Vomero, ai Parioli, nel centro delle grandi città e scompariamo quasi a Scampia, nelle periferie e nelle aree di maggiore disagio. Non è un fenomeno nuovo ma è sempre più forte e diffuso, e noi non abbiamo saputo ancora trovare risposte all’altezza.

Io credo che la Sinistra, nel suo complesso, deve riflettere su questo, deve provare a ripensarsi a partire dalle sue fondamenta. Credo che ci sia bisogno di ripiegarsi e di studiare. Proverò ad offrire alcune prime tracce, sicuramente parziali, del lavoro politico e culturale che ci aspetta.  È chiaro che si tratta di sfide che riguardano la Sinistra in tutta Europa. Non sono problemi solo nazionali. Ci sono poi specificità italiane, ma il quadro è molto più largo.

1) Penso che sia necessaria una nuova lettura critica del capitalismo di oggi in occidente. Esso negli ultimi decenni ha oggettivamente prodotto effetti distorsivi insostenibili a partire dalla sconnessione tra economia reale ed economia finanziaria, con conseguenze dannose sulla qualità della vita reale delle persone; la bassa crescita con livelli alti di disoccupazione, la precarietà e la svalutazione del lavoro, le diseguaglianze crescenti e non da ultimo l’impennata dell’inquinamento ambientale oltre ogni soglia di controllo. Per usare le parole di un bel lavoro della Mazzucato e di Jacobs, va ripensato il capitalismo. O, più politicamente, dobbiamo porci una domanda di fondo: è venuto il tempo di recuperare il significato originale della parola socialismo come chiave per ripensare un modello di sviluppo che così come è non regge più? Io credo di sì. Se si continua così tra poco non riusciremo a difendere più beni e servizi pubblici fondamentali. Penso al nostro welfare e in modo particolare al sistema sanitario universale. Nei prossimi 5 anni vanno in pensione 45.000 medici di base. Senza nuovi investimenti non sarà possibile sostituirli. O ancora penso al nostro sistema formativo, leva insostituibile per la mobilità sociale che però oggi appare avvitato, indebolito e umiliato dalle ultime riforme e dalla scarsità delle risorse. O ancora penso alla necessità di nuovi investimenti pubblici come leva per lo sviluppo in modo particolare in un mezzogiorno a cui il voto del 4 marzo ha disvelato un volto di drammatica sfiducia nei confronti di istituzioni giudicate incapaci di dare risposte alla sua crisi sociale. In sostanza la questione che si pone è questa: è venuto o no il momento di ripensare a un ruolo attivo dello stato come soggetto fondamentale regolatore del rapporto uomo, società, ambiente? Io credo proprio di sì. E non è questo un terreno di confronto naturale tra la cultura cattolica e popolare e quella della sinistra? Se non ora quando, mi verrebbe da dire.

2) Penso sia necessario proporre una nuova lettura critica della globalizzazione dopo quella troppo ottimista che abbiamo dato e che ci ha portato a non fare i conti con tutte le conseguenze regressive che entravano nelle case e nelle vite delle persone; ancora la precarietà del lavoro, l’aumento delle diseguaglianze, l’impoverimento dei ceti medi e di quelli più deboli. La stessa rivoluzione informatica ha costituito un pezzo fondamentale della globalizzazione. È stato sicuramente uno strumento di libertà e di emancipazione. Eppure oggi attorno a essa si pongono quesiti enormi che riguardano la proprietà e l’utilizzo dei dati da parte di pochi centri di potere economico e finanziario fuori da ogni controllo democratico.

3) Dobbiamo ripensare l’attuale impianto europeo che, per come si è sviluppato, è figlio della duplice visione acritica del capitalismo e della globalizzazione che ho provato velocemente a descrivere. Io sono cresciuto con la tessera in tasca del Movimento federalista europeo. Lo rivendico e ho sempre considerato l’Europa come l’unico vero tentativo di portare il potere politico a un livello sovranazionale dove continuano a dominare la potenza dell’economia e della finanza. Vale la pena battersi per riaffermare il sogno europeo, ma su basi radicalmente nuove. È sempre più evidente che questo impianto germanocentrico, costruito sulla cultura del rigore e dell’austerità, sta producendo risultati insufficienti in termini di sviluppo e di sostenibilità sociale e sta allontanando il sogno europeo dalle masse popolari. Oggi la realtà è che tra le persone che noi vorremmo rappresentare è sempre più diffusa la percezione che i loro interessi si difendono meglio sotto la bandiera nazionale che sotto la bandiera europea. È un grande problema che ci riguarda. Alla loro legittima domanda di protezione noi siamo apparsi spesso non solo come incapaci di offrire una risposta rassicurante, ma addirittura non in grado di capire che la loro domanda fosse legittima e avesse un fondamento. E un’Europa vera e solida servirebbe oggi più che mai, dinanzi al rischio di un nuovo conflitto globale a partire da un Medio Oriente mai così instabile e conteso, dentro una guerra per procura, ormai non solo minacciata, dagli esiti imprevedibili e spaventosi. Le ultime scelte sulla Siria, sul nucleare e l’apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme sono errori storici che accentueranno ulteriormente le tensioni e daranno ancora più forza agli opposti estremismi. Noi chiediamo anche da qui che l’Italia si faccia sentire rivendicando il suo ruolo storico di Paese cerniera, equivicino alle parti in causa.

4) Dobbiamo riflettere attorno all’immigrazione. Altro grande tema di questa campagna elettorale. Ho nelle orecchie la voce di Filippo Fossati che mi dice che nelle case popolari di Firenze costruite dal Pci negli anni Sessanta non ci si può andare a fare la campagna elettorale. In quelle case vivono in gran parte migranti extracomunitari, e i pochi italiani che restano votano per la Lega e ci ritengono i massimi responsabili delle loro paure e difficoltà. E ancora, ho negli occhi il volto di un mio vecchio compagno di Potenza, la mia città, dove pure abbiamo preso il 10 per cento. Questo compagno che oggi ha settanta anni mi dice che conosce l’immigrazione perché ha lavorato da  ragazzo per anni in Svizzera in un cantiere chimico. Doveva reggere per ore un tubo con un liquido così freddo che gli si bloccavano gli arti superiori e per sbloccarli aveva bisogno di alcuni minuti sotto l’acqua calda. Lui mi dice: “Io so cosa è l’immigrazione. Ma quando vedo questi ragazzi immigrati per strada con le scarpette luccicanti e le cuffiette alle orecchie e ho mio figlio senza lavoro sono io che ti dico basta”. Sono domande da far tremare i polsi. A noi che non vogliamo rinunciare ai nostri valori di integrazione, inclusione e solidarietà e che però dobbiamo necessariamente trovare risposte nuove alle domande di protezione che arrivano dalla nostra gente.

 

Questi sono solo alcuni dei temi fondamentali attorno a cui ripensare la sinistra e interpretare l’enorme questione democratica, sociale e del lavoro che c’è nel nostro Paese. Ci vorrà tempo, umiltà e ci vorrà molto studio. Abbiamo il coraggio di farla fino in fondo questa discussione? E in quale luogo? Con quali interlocutori? Possiamo pensare di farcela da soli? Io credo di no. Può farlo LeU? Può farlo il Pd? Possono farlo altri? Io credo che non basti neanche solo la politica. Dobbiamo interloquire col mondo della cultura, con gli intellettuali, col sindacato, con il civismo e l’associazionismo laico e cattolico. Continuo a pensare che il contributo della cultura cattolico democratica sia fondamentale nella ricerca che dobbiamo compiere. Quello che penso è che davanti alla più grande sconfitta della storia repubblicana delle forze democratiche bisognerebbe avere il coraggio di mettersi tutti fino in fondo in discussione. Io da parte mia voglio farlo. Credo che i progetti in campo non siano più sufficienti e che ci sia bisogno di ricostruire tutto su basi politiche nuove. Ne avremo la forza? Io sono per lanciare la sfida qui e ora e per provarci con il massimo del coraggio. Serve una svolta per rinnovare profondamente la nostra agenda politica a partire dalla difesa dei principi della Democrazia costituzionale e dalla dignità del lavoro come fattore fondamentale. Su queste basi può rinascere un orizzonte democratico e progressista nel nostro Paese. Io credo che il nostro sforzo dentro LeU debba avere questo spirito e questa impostazione.

Gli altri che faranno? Lo misureremo. Il bipolarismo senza sinistra si può evitare solo se si ripensa complessivamente il nostro campo, se si riconoscono gli errori del passato e si costruiscono risposte radicalmente innovative rispetto ai problemi che abbiamo dinanzi a noi a partire dai temi che ho provato a toccare. Non vedo ad oggi nessuna maturità o consapevolezza nel Pd. Tutt’altro. E non ne sono contento. Ma questo conferma le ragioni profonde della decisione che tanti di noi hanno assunto. Il Pd e Renzi in modo particolare portano anche pesanti responsabilità per l’assetto di governo in cui oggi l’Italia si trova. Il Movimento 5 Stelle ha scelto la Lega facendo prevalere la sua anima di centrodestra. Spero che i nostri elettori che li hanno votati si interrogheranno seriamente. Ma il Pd e Renzi in modo particolare hanno la responsabilità storica di aver favorito la saldatura tra la Lega e 5 Stelle tifando irresponsabilmente per questo sbocco politico che poteva essere evitato nell’interesse dell’Italia. Non vorrei che il seguito di questo film e della traiettoria naturale del renzismo fosse immaginare un bipolarismo nuovo basato sulla frattura sistema/antisistema con la conseguenza di provare a unificare sotto l’ombrello macroniano quel che resta del Pd con quel che resta di Forza Italia. Sarebbe un errore clamoroso su una direzione di marcia opposta a quell’orizzonte progressista a cui credo noi dobbiamo lavorare.

 

Noi intanto iniziamo a fare  da subito la nostra parte.

Voglio essere netto e chiaro. Il risultato del 4 marzo è stato deludente. Ma ancora peggiore è apparsa la gestione di questi sessanta giorni da parte nostra. Di questo credo che dobbiamo tutti chiedere scusa ai nostri elettori. Lo faccio io, forse impropriamente a nome di tutto il gruppo dirigente di LeU, ai tanti militanti che pure hanno animato una campagna elettorale difficile come poche altre consentendoci di raccogliere comunque un milione e centomila voti. È un patrimonio prezioso che non si può disperdere e da cui abbiamo l’obbligo di ripartire. Si è già perso troppo tempo. Non possiamo permetterci di indugiare oltre in un silenzio ingiustificabile e incomprensibile.

La mia opinione è che al più presto si convochi l’assemblea nazionale di Liberi e Uguali, una data su cui mi pare siamo d’accordo è il 26 maggio. La mia proposta è che da quel giorno si faccia partire un percorso costituente con un obiettivo preciso: trasformare quella che è stata una lista elettorale in un partito politico come previsto dall’articolo 49 della Costituzione. Serve un percorso democratico, realmente aperto e inclusivo, che consenta una discussione vera sui nodi di fondo, ma che poi porti alla nascita di una nuova LeU con una proposta e una linea politica coraggiosa e un gruppo dirigente rinnovato che sappia interpretarla. Basta aspettare e traccheggiare. E questa volta, lo dico con affetto ed amicizia a Piero, Nicola, Luca, non può bastare il colloquio e il dialogo sempre cordiale e piacevole tra gruppi dirigenti. Io non sono disponibile a sostenere alcuna operazione verticistica. Abbiamo già dato. Con risultati molto modesti.

Serve un percorso democratico autentico, una testa un voto, per trasformare LeU in un partito e superare definitivamente i tre soggetti di provenienza che alla fine del percorso costituente di LeU dovranno sciogliersi. Verificheremo in assemblea se queste condizioni  sono realizzabili. Non basta un accrocchio, non sarebbe sufficiente una federazione o forse anche meno, una semplice associazione culturale, serve un partito vero e proprio. Una forza autonoma della Sinistra e per me del Lavoro che sia la prima mattonella per costruire un campo più largo. Con una linea politica chiara e un gruppo dirigente rinnovato scelto democraticamente dalla nostra gente. Su questa base siamo disponili ad investire tutte le nostre energie nel progetto di Liberi e Uguali.

Se all’assemblea nazionale di Liberi e Uguali ci sarà chiesto più tempo o se ancora prevarranno i tentennamenti o le ambiguità, noi faremo partire comunque entro l’estate il congresso di Mdp Articolo Uno. Non è la nostra prima scelta. Prova ne sia il fatto siamo stati gli unici a non aver avviato il tesseramento 2018. Ma ora non ci possiamo più permettere di restare a guardare. E non possiamo più stare senza una compiuta legittimazione dei nostri gruppi dirigenti nazionali e territoriali. Io per primo non sono più disponibile a questo stato delle cose.

Ora compagni dobbiamo ripartire. La botta è stata tosta, ma dobbiamo rialzarci e ricominciare a camminare per difendere i nostri valori e le nostre idee. Dobbiamo metterci tutta la forza possibile. È passato da poco il 9 maggio, giorno dell’anniversario di Aldo Moro e Peppino Impastato. Due simboli straordinari dell’Italia migliore. Voglio chiudere il mio intervento con una frase bellissima che mi ritorna, di tanto in tanto, in testa. Una frase pronunciata proprio da Aldo Moro in occasione del suo ultimo intervento alla riunione dei gruppi della Democrazia Cristiana poco prima di essere rapito dalle Brigate rosse:

Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente al domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.

Grazie e buon lavoro a tutti.