Guerra: sul reddito di cittadinanza un intervento vergognoso

Politica e Primo piano

Intervista a Il manifesto

di Roberto Ciccarelli

Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al ministero dell’Economia, cosa pensa dell’emendamento proposto da Fratelli d’Italia, approvato da una parte della maggioranza e passato nel «Decreto Aiuti» che attribuisce ai datori di lavoro privati il potere di segnalare i percettori del «reddito di cittadinanza» che rifiutano un’«offerta di lavoro congrua»?
Sono contrarissima per il suo significato politico e filosofico. Nella mozione iniziale presentata da Fratelli d’Italia si parla anche di un obbligo da parte dei beneficiari a coprire i posti vacanti in agricoltura o in altri settori attraverso i «Progetti utili per la comunità» (Puc). In pratica è molto simile alla coscrizione o alla schiavitù. Io non metto in discussione il principio della congruità dell’offerta, ma non può essere il datore di lavoro a decidere se un’offerta di lavoro è congrua o se un rifiuto comporta la perdita di un sussidio. Dal punto di vista formale questa norma, che a mio avviso è vergognosa, è oltretutto inapplicabile perché la lista dei percettori non è e non deve essere di dominio pubblico. La povertà è una responsabilità sociale non individuale e non deve tradursi in un marchio di infamia.
Perché vergognosa?
È lo specchio dell’idea infondata che le persone che percepiscono il «reddito di cittadinanza» non hanno voglia di lavorare, e che le imprese non trovano lavoratori perché c’è troppa gente che ha il reddito e non vuole perderlo. Non c’è nessuna evidenza empirica che questo stia avvenendo in generale, e in particolare nei settori del turismo o della ristorazione. Il 50% dei percettori non può essere attivato al lavoro per età, disabilità e altre ragioni sociali complesse, quali l’impegno nel lavoro di cura. Il 20% sono lavoratori poveri che non guadagnano abbastanza per una vita dignitosa. Gli altri hanno un rapporto labile con il mercato del lavoro perché hanno titoli di studio bassi o disoccupazioni di lunga durata. Senza contare che nel milione e 555 mila famiglie che lo percepiscono ci sono 1,2 milioni di minori, sui quali si getta discredito. Dire che il problema è il «reddito di cittadinanza» è una bugia e impedisce di fare un’analisi vera e trovare una vera risposta.
Come si può rimediare?
Si può cambiare la norma con un altro provvedimento. Bisogna provarci ma non sarà facile. Il centrodestra è molto compatto a sostegno.
Il bonus 200 euro rivolto a più di 31 milioni di persone ha escluso molte categorie di lavoratori precari e autonomi. Riuscirete a estenderlo?
Questo bonus non è un intervento strutturale ma dà un sostegno ai percettori di reddito fisso. Sicuramente sono stati fatti degli errori, a mio avviso, ad esempio sui soggetti con disabilità che fruiscono di decontribuzione e sono stati esclusi. In un momento in cui l’inflazione continua a crescere è chiaro che bisogna valutare una possibile espansione della misura. Queste istanze vanno prese in considerazione.
Il segretario del Pd Enrico Letta ha parlato di un «taglio choc» del cuneo fiscale. E sono in molti a condividere questa idea. Cosa farà il governo?
Più che di «choc», si tratta di riflettere su come rendere strutturali misure economiche di giustizia sociale. Il taglio del cuneo è necessario per riequilibrare l’onere fiscale in un sistema profondamente ingiusto dove il peso più grande è sostenuto, in proporzione, dal lavoro dipendente e dai pensionati. Non si può pensare di ridurre il cuneo ricorrendo al debito pubblico. I bassi salari, fermi da decenni, non sono responsabilità del sistema fiscale, se non in piccola parte. Il problema è semmai di un sistema industriale che non punta sulla qualità del lavoro, ma sul contenimento del suo costo e ciò crea un circolo vizioso con la bassa produttività.
Come si potrebbe finanziare il taglio al cuneo?
Con i proventi dell’evasione fiscale ad esempio. L’anno scorso il governo ha usato poco più di 4 miliardi nella rimodulazione dell’Irpef. Allora sostenni che l’intera cifra avrebbe dovuto essere impiegata per il taglio del cuneo, ma sono rimasta abbastanza sola. Servirebbero tra i 6 e gli 8 miliardi.
Non le sembra poco?
Se sono insufficienti le risorse, si possono ipotizzare interventi fiscali per redistribuire il prelievo a favore di questi redditi, e migliorare quindi l’equità complessiva del sistema.
Sarà mai approvato un salario minimo in questa legislatura?
Si può fare la legge sulla rappresentanza per evitare i contratti pirata. È un tema difficile anche perché non tutti i sindacati sono d’accordo . Con questa legge e la validità erga omnes dei contratti il campo di azione del salario minimo si ridurrebbe ai settori in cui non ci sono coperture contrattuali e al supporto legale nelle cause. E’ comunque sbagliato ritenere che un salario minimo legale porti ad abbassare i salari esistenti. Poi bisogna evitare il lavoro povero, che dipende anche dai lavori a termine molto brevi e dal part-time involontario, disboscando il numero dei contratti precari, e ricordando che i salari bassi non sono solo quelli all’accesso, ma persistono negli anni e si riflettono nelle basse pensioni.