Guerra: reddito alle imprese, meno soldi ai poveri. I pasticci del governo sul Rdc

Politica e Primo piano

Intervento su Il fatto quotidiano

di Maria Cecilia Guerra

Il Reddito di cittadinanza sta assumendo una fisionomia meglio definita. Le bozze di questi giorni, ancora in via di elaborazione, ci spiegano come con questa unica misura si intendano perseguire contemporaneamente tre finalità: contrasto alla povertà, inserimento lavorativo, sussidio per l’affitto. Si tratta di finalità meritevoli, cui vengono destinate risorse, e questo è positivo.

Non va però neppure trascurata la difficoltà di tenere insieme le dichiarazioni improvvide lanciate durante e dopo la campagna elettorale con i tempi, i costi e le modalità dell’attuazione concreta. Ne emerge un quadro incerto, in cui le finalità sociali, di contrasto alla povertà e di sostegno alle famiglie con elevati costi dell’abitare, rischiano di essere meno tutelate rispetto all’incentivo garantito all’impresa che assume un beneficiario del Rdc. Una scelta di priorità che, dato il vincolo complessivo delle risorse, appare discutibile.

Il Rdc ha una durata di 18 mesi, All’impresa che assume verrebbe riconosciuto il Rdc non ancora goduto da “il beneficiario” per i mesi successivi all’assunzione fino al diciottesimo. Ma il Rdc non è una misura individuale, è una misura rivolta a un nucleo familiare definito in povertà sulla base di indicatori reddituali e patrimoniali di tipo familiare. Un solo Rdc ha quindi più “beneficiari”: tutti i membri del nucleo. Tanto che, coerentemente con un cavallo di battaglia del M5s, si prevede che, dal 2020, con decreto del ministro del Lavoro il Rdc possa venire suddiviso ed erogato separatamente a ogni singolo componente il nucleo familiare. Sarà questo Rdc individualizzato ad essere ceduto all’impresa dopo il 2020? Nelle more del decreto, quale quota del Rdc viene considerata del “beneficiario” che ha trovato lavoro e quindi devoluta all’impresa? Di questo problema l’articolato non mostra consapevolezza. Eppure può avere importanti conseguenze, anche in termini di uso complessivo delle risorse. Ciò è particolarmente vero nel caso in cui neppure con il nuovo lavoro il nucleo esca dalla povertà. In questo caso infatti, se tutto il Rdc viene devoluto all’impresa, alla famiglia deve poi essere riconosciuto un nuovo Rdc, sia pure di importo minore, che ridurrà ulteriormente le risorse complessive del Fondo che alimenta la misura. Dato il vincolo rappresentato dall’ammontare, dato, di questo Fondo, alla fine sarà l’insieme delle famiglie povere a rischiare di perdere di più.

Il Rdc si articola in due componenti: la prima integra il reddito del nucleo familiare in povertà per far sì che esso raggiunga 500 euro al mese (da moltiplicarsi per un coefficiente maggiore di uno che tiene conto della numerosità dei componenti), la seconda serve a pagare il canone d’affitto della famiglia entro un massimo di 280 euro al mese (moltiplicato per lo stesso coefficiente). Se uno dei beneficiari trova lavoro viene devoluta all’impresa anche la quota di Rdc che ha a che fare con l’affitto. Perché deve essere così, visto che questa quota risponde al criterio specifico di contrastare la povertà abitativa? Il tema diventa particolarmente serio quando scatta per il beneficiario l’obbligo di accettare un lavoro fino a 250 km di distanza (come sempre avviene, fosse anche la prima offerta che si riceve, dopo i primi 12 mesi di fruizione del beneficio). In questo caso, infatti, il neo lavoratore sarà costretto, data la situazione dei trasporti in larga parte dell’Italia, a provvedere a costi di abitazione/soggiorno aggiuntivi, per sé, nella sede in cui troverà lavoro (a meno di non trasferire tutto il nucleo familiare, cosa non semplice, specie in presenza di figli minori) senza che di questi costi si tenga in alcun modo conto.

Nel caso in cui in corso d’anno le risorse impegnate, per quello stesso anno, per i Rdc già assegnati esauriscano le disponibilità del Fondo e diventi quindi impossibile soddisfare nuove richieste, con decreto del ministro del Lavoro e di quello dell’Economia, deve essere ristabilita la compatibilità finanziaria attraverso la rimodulazione dell’ammontare delle erogazioni successive. Questa rimodulazione, di per sé discutibile per una misura di questa entità e di questa natura, riguarderà solo le erogazioni a favore dei nuclei poveri, non quelle il cui diritto è stato trasferito alle imprese. Un prevedibile esaurimento delle risorse in corso d’anno si trasformerà quindi in un taglio delle risorse che colpirà principalmente le famiglie, e in particolare quelle in cui non ci sono persone occupabili, che sono anche quelle con un maggior disagio sociale. Queste problematiche meriterebbero approfondimenti seri prima del varo definitivo della misura per ridurre quelle incertezze nella applicazione che potrebbero renderla di minore interesse anche per le imprese.