Guerra: quella doppia violenza contro le donne tra le mura di casa

Politica e Primo piano

Pubblicato su Left

di Maria Cecilia Guerra

C’è una violenza strisciante, subdola e invisibile che attenta alla vita di donne e bambini. Una violenza che assomiglia a un paradosso kafkiano, una trappola infernale che scatta a suon di carte bollate e perizie psicologiche, nell’ambito dei procedimenti giudiziari, quando le madri trovano il coraggio di denunciare i compagni o i mariti che le hanno maltrattate nell’ambito delle relazioni familiari, sotto gli occhi di quei minori che lo Stato dovrebbe proteggere. I tecnici la chiamano “vittimizzazione secondaria” e si verifica nel procedimento per la custodia dei figli quando gli abusi nei confronti di donne e bambini non vengono “letti” e quindi non vengono tenuti in alcuna considerazione, e i tentativi di protezione delle madri nei confronti dei bambini vengono annoverati come disturbi psichiatrici da indagare.

Quando i piccoli rifiutano il genitore violento intorno a loro scatta, quasi in automatico, la “molla” dell’indagine psichiatrica o psicologica. Perché la bigenitorialità non ammette rifiuti. Le madri vengono considerate ostative, maligne, narcisiste, simbiotiche. È questa la teoria della alienazione parentale, Pas, ormai sconfessata in tutte le possibili sedi scientifiche e anche, ripetutamente, dalla nostra Cassazione, ma che tende a risorgere, con altre denominazioni, nelle aule dei tribunali.
Il rischio grande per la donna che si ribella alla violenza, anche denunciandola, è allora mquella di essere punita con una violenza atroce: la perdita della custodia dei figli, a volte irreversibile, cui si dà sempre più spesso attuazione con l’intervento, traumatizzante e drammatico, della forza pubblica.

Questo meccanismo crudele è al centro di una relazione, corredata di analisi condotte su un numero rilevante di casi giudiziari, che la Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio guidata dalla senatrice Valeria Valente ha presentato nei giorni scorsi (v. Left del 20 maggio, ndr). Un documento fondamentale che ha avuto il merito di squarciare il velo su questo fenomeno ancora relegato in un angolo del dibattito pubblico e totalmente assente dalla consapevolezza collettiva. 

Dalla relazione emergono anche altri dati rilevanti: nella maggior parte dei casi di affidamento e responsabilità genitoriale, i minori – che per legge devono essere sempre consultati, se capaci di discernimento – non sono stati convocati dai giudici. Inoltre, molto spesso, nei procedimenti in cui si riscontra violenza domestica i Tribunali ordinari decidono sull’affidamento dei figli senza tenerne conto. I Tribunali dei minorenni dal canto loro, anche quando affidano i bambini alla sola madre, prevedono incontri liberi con il padre violento. 

Cosa fare per porre rimedio a questa sottovalutazione del fenomeno della violenza domestica? Come proteggere le donne e i loro bambini? La risposta non è semplice perché attiene alle complessità del sistema giuridico, che ha ovviamente la necessità di tutelare anche la persona denunciata, fino a che non ne sia provata la responsabilità. Ma occorre che giustizia civile e penale si parlino, che gli episodi di violenza non siano trascurati, che non si dia per scontato che un padre violento con la sua compagna possa essere un buon padre, che non si carichi la responsabilità delle paure dei figli sulla madre che li protegge. Quel che è certo è che bisogna intervenire in fretta. Prima che altre ingiustizie si consumino sulla pelle dei più deboli. Prima che le donne smettano di denunciare la violenza.