Guerra: parità di genere, una rivoluzione delle coscienze

Politica e Primo piano

Intervista a Fortune Italia

di Morena Pivetti

O si va avanti oppure si torna indietro. Vie di mezzo non ce ne sono, la pandemia e i suoi effetti sulle donne, sulla loro partecipazione attiva al mercato del lavoro – quello retribuito, fuori casa, perché al lavoro di cura non ci si sottrae – segna un momento di frattura che rende indispensabili “cambiamenti radicali”. “L’aiuto monetario, i voucher, i bonus, gli sgravi contributivi e gli investimenti in infrastrutture sociali, che pure non saranno pochi, non bastano. Occorre aggredire l’organizzazione della società, cambiare nel profondo la cultura del Paese”.

Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Ministero dell’Economia e delle Finanze, torna a più riprese su questo concetto, a sottolineare l’urgenza di una rivoluzione delle coscienze. Con la stessa ferma consapevolezza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dice: “E’ un’occasione importante, va nella giusta direzione, ma è da costruire. L’aver adottato un asse trasversale di valutazione dell’impatto di genere sugli interventi è il primo passo. L’esito positivo è legato al monitoraggio e alla verifica costante della sua attuazione”. Che ricorda il celebre detto di Massimo D’Azeglio, all’indomani dell’Unità d’Italia, “fatta l’Italia, dobbiamo fare gli italiani”.

“Diversamente dalle crisi precedenti, penso al 2008, la recessione generata dal Covid-19 ha avuto effetti differenziati su uomini e donne – argomenta Guerra –, si è tradotta in una significativa perdita di posti di lavoro nei settori dominati dalla presenza femminile, sanità, ristorazione, commercio al dettaglio, turismo e anche lavoro domestico, e dove le condizioni contrattuali sono più precarie. Tanto che in inglese si è coniato un nuovo termine, she-session, invece di recession”.

Le percentuali che la sottosegretaria cita sono impressionanti: nella Ue la disoccupazione femminile è cresciuta del 20,4% (contro il 16,3% di quella maschile) ed è calato il numero di ore lavorate, in Italia il 70% della perdita occupazionale registrata a dicembre 2020 sul 2019, pari all’1,9%, è costituita da donne mentre il loro tasso di occupazione si attesta al 49%, 18,2 punti percentuali in meno degli uomini. Nel Mezzogiorno l’occupazione femminile persa nei primi tre trimestri del 2020 è superiore a quella creata negli ultimi 11 anni.

“Ancora, diversamente dalle altre crisi, le più colpite sono le madri lavoratrici, in particolare con figli piccoli – continua la sottosegretaria -, il cui tasso di occupazione è sceso dell’1,9% rispetto al -1,7% delle donne senza figli, i guadagni accumulati dalle prime fino al 2019 sono stati annullati dalla pandemia. Delle 249mila donne che nel 2020 hanno perso il lavoro per mancato rinnovo del contratto o abbandono, 96mila sono madri con figli minori, 4 su 5 con piccoli in età prescolare”.

A conferma di quanto la cura della famiglia, dei figli, dei disabili e degli anziani non autosufficienti resti tuttora, in Italia, a quasi totale carico delle donne. “Ecco perché insisto sulla necessità di una trasformazione culturale: se non redistribuiamo il lavoro sociale non retribuito, se non superiamo del tutto il modello fordista uomo al lavoro e donna a casa, in due parole se non cambiamo l’organizzazione sociale condividendo i carichi famigliari come in Nord Europa, dove non a caso si fanno più figli  – avverte Maria Cecilia Guerra – le politiche attive del lavoro, gli incentivi, la decontribuzione rischiano di non produrre gli effetti voluti”.

Non è questione di soldi, è questione di tempo. “I dati Eurofound mostrano che in Europa nella pandemia le donne hanno dedicato alla cura 53 ore a settimana contro le 37 degli uomini, che salgono nelle famiglie con figli a 85 ore contro 51. Contrariamente a quel che ci si augurava, lo smart working non ha cambiato i ruoli: si è preteso dalle donne, nella stessa unità di tempo, di fare la magia di lavorare via computer e di aiutare i figli nella didattica a distanza”.

Da quest’analisi discendono le due strategie che la sottosegretaria Guerra propone per contrastare l’abbandono – “Da vent’anni 1 donna su 5 lascia per i figli” i numeri citati dalla sociologa Chiara Saraceno – e la perdita del lavoro: “Primo, dobbiamo liberare il tempo delle donne, assumere come società la cura, quindi servizi per l’infanzia, asili nido e scuole a tempo pieno, e per gli anziani, e sul fronte aziende congedi parentali obbligatori per i padri. E insieme spingere gli uomini verso il percorso inverso, la condivisione attiva. Secondo, dobbiamo liberare il potere delle donne: solo una partecipazione attiva alla vita pubblica, ai centri dove si decide può far germogliare politiche per la perequazione di genere”.

Infine, veniamo al Pnrr punto di partenza e non di arrivo. “Rispetto alla prima stesura la prospettiva di genere ora è trasversale – sottolinea -, abbiamo costituito un gruppo al Ministero che sfruttando l’esperienza del bilancio di genere valuterà l’impatto degli investimenti usando come indicatori, tra gli altri, il tasso di occupazione, la partecipazione alla forza lavoro, l’accesso alla digitalizzazione, all’imprenditoria femminile e alla mobilità. In cima alla lista ci sono le infrastrutture sociali, 3,6 miliardi per nuovi asili nido, puntando al riequilibrio territoriale. Ma la scommessa sarà vinta se a questo affiancheremo la spesa corrente per la gestione: già con il sostegno del ministro Roberto Gualtieri ho ottenuto un fondo permanente di 100 milioni che arriverà a 300 a regime. Un primo passo. Poi servizi agli anziani, che garantiscano sia la qualità dell’assistenza che la qualità del lavoro nel settore, tra i più sfruttati”.

Oltre al sostegno all’imprenditoria femminile, Il Pnrr contiene altri due strumenti rilevanti per la parità di genere. “Il cosiddetto ‘gender procurement’, ovvero l’introduzione di condizionalità, di clausole di genere per accedere alle gare o di premialità addizionali per l’aggiudicazione – completa la sottosegretaria – e il sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con lo scopo di ridurre i divari sul lavoro, il gap salariale e gli avanzamenti. Le imprese sono chiamate a fare la loro parte: più trasparenza su politiche retributive e di carriera, maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, che va resa più amichevole, per esempio con fasce orarie di ingresso e uscita”.

Maria Cecilia Guerra chiude il cerchio: “Lo ripeto, siamo a un bivio, o si va avanti, verso il futuro o sprofonderemo in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro che nel passato”.