Guerra: nessuno tocchi il catasto? Vediamo chi ha interesse a protestare

Politica e Primo piano

Pubblicato su Left

di Maria Cecilia Guerra

Qualche settimana fa il governo ha presentato una proposta di riforma del catasto a esclusivo scopo conoscitivo e di trasparenza ma prima ancora di avere il tempo di illustrare la norma e di definirne i contorni si sono alzate alte grida che paventano un infondato rischio di aumento generalizzato della tassazione sulla casa. Andiamo a capire perché, e soprattutto chi ha interesse a protestare.

La proposta, che è contenuta nel disegno di legge delega per la riforma fiscale, prevede la costruzione di un nuovo insieme di informazioni che riguardano l’attribuzione a ciascuna unità immobiliare di un valore patrimoniale e di una rendita aggiornata ai valori di mercato, e l’individuazione di meccanismi per l’adeguamento periodico di questi valori. Queste informazioni saranno rese disponibili solo dal gennaio 2026, e se ne esclude l’utilizzo a fini fiscali.

La precisazione si rende necessaria, perché il catasto, che fornisce una mappatura di tutti gli immobili del Paese, serve anche per finalità fiscali, e in special modo per l’applicazione dell’Imu. L’Imu è un’imposta patrimoniale che fornisce un gettito di circa 18 miliardi all’anno, e che non grava sulla prima casa, a meno che non si tratti di una casa di lusso (villa, castello o palazzo).

Il valore degli immobili a cui è commisurata l’imposta non è attualmente indicato in catasto, ma si ricava moltiplicando la rendita catastale per un apposito coefficiente. Il valore degli immobili residenziali cui si applica l’Imu, ad esempio, è pari a 160 volte il valore della rendita.

Poiché le rendite catastali per i fabbricati sono state stimate da ultimo più di 30 anni fa, nel 1990, il coefficiente è stato via via aumentato (passando in particolare da 100 a 160 dal 2012) per avere una base imponibile dell’Imu più vicina al valore di mercato. Ciononostante la base imponibile così calcolata è, in media, secondo le stime del Dipartimento delle finanze, circa la metà del valore di mercato effettivo.

Qual è allora il problema? Il problema non è tanto che le rendite non sono aggiornate. Se lo scostamento fra la base imponibile e il valore di mercato del bene fosse lo stesso per tutti gli immobili, sarebbe infatti indifferente raddoppiare il valore della stima (colmando quindi, in media, lo scostamento fra la stima e il valore vero di mercato), dimezzando al tempo stesso le aliquote dell’imposta. Si otterrebbe lo stesso gettito e il gettito sarebbe distribuito fra i contribuenti allo stesso modo. Nulla cambierebbe rispetto alla situazione attuale.

Il problema sta nella forte diversità dello scostamento tra il valore stimato e quello di mercato che si registra fra immobile e immobile. In altri termini, rispetto al 1990, ci sono immobili che hanno aumentato di molto il loro valore, e altri che invece lo hanno aumentato di poco, o lo hanno addirittura visto diminuire. Gli studi compiuti dall’Agenzia del territorio ci forniscono un chiaro quadro di questa situazione: la sottovalutazione della base imponibile dell’Imu rispetto al suo valore di mercato è molto più forte nel Nord ovest rispetto al Sud, nei centri urbani rispetto alle periferie. La sottovalutazione tende inoltre a favorire quella parte della popolazione che ha una maggiore quota della ricchezza abitativa. Se si aggiornasse la base imponibile dell’Imu, riducendo contemporaneamente le aliquote in modo da mantenerne, nell’aggregato, invariato il gettito, avremmo una significativa redistribuzione del prelievo. È ragionevole attendersi che sarebbero molti di più i contribuenti che ci guadagnerebbero (vedendo ridurre il peso dell’imposta) rispetto a quelli che dovrebbero affrontare un inasprimento di onere.

Ecco che allora appare chiaro perché una norma di buon senso, che chiede semplicemente di commisurare un’imposta sul patrimonio al suo valore aggiornato e non a valori obsoleti, che non tengono conto né dello spopolamento delle aree interne, né della forte riqualificazione dei centri urbani, né dell’effetto positivo cha ha avuto sul valore delle case il miglioramento della rete dei trasporti (si pensi alle metropolitane nelle grandi città) o la vicinanza di servizi pubblici (ospedali, asili nido, scuole, ma anche verde pubblico), incontri una tale violenta resistenza.

Eppure si tratterebbe di un intervento di banale equità del prelievo. A chi sembrerebbe logico pagare l’Irpef sul reddito percepito anni fa e non su quello corrente, o l’Iva sui consumi dell’anno scorso e non su quelli di quest’anno, o l’imposta di bollo sul patrimonio finanziario di dieci anni fa e non su quello attuale? Perché per gli immobili si deve seguire una regola diversa? Chi ha paura di perdere i propri privilegi ha anche più forza per fare sentire la propria voce, e lo fa puntando su argomenti tendenziosi in quanto infondati, facendo crescere la paura che l’aggiornamento delle rendite sia il pretesto per fare aumentare per tutti il prelievo fiscale sugli immobili. A causa di questa interessata opposizione, tutte le proposte di aggiornamento del catasto, compresa quella votata all’unanimità dal Parlamento nell’ultima legislatura, non sono riuscite sino ad ora a trovare attuazione.

Per questo, la proposta avanzata dal governo prova, come si è detto, a seguire una via diversa: quella di fornire una informazione, in piena trasparenza, sui valori di mercato degli immobili, senza implicazioni fiscali. Ma la paura è che quando i dati fossero disponibili la verità della sperequazione diventerebbe visibile ai più, e chi ha oggi il privilegio di pagare un’Imu fortemente sottovalutata farebbe fatica a difendere questo privilegio. Da qui il clamore sollevato anche contro questa proposta: un clamore che alla resa dei conti sarà di pochi privilegiati contro i molti penalizzati.