Guerra: gli stipendi devono salire. Il salario minimo aiuterà la contrattazione

Politica e Primo piano

Intervista a Il Fatto quotidiano

di Carlo Di Foggia

“In Italia quella salariale è la principale emergenza economica, le retribuzioni devono salire e l’introduzione di un salario minimo legale non sarebbe un ostacolo anzi, sarebbe d’aiuto”. Maria Cecilia Guerra (LeU), economista e sottosegretaria al Tesoro, spiega così la sua posizione favorevole alla misura già adottata da 21 Paesi Ue.

I sindacati temono che possa indebolire la contrattazione.

Alcune preoccupazioni le capisco, salario e contrattazione sono legati e la retribuzione è solo una parte del negoziato, poi ci sono le altre tutele: sicurezza, ferie, maternità eccetera. L’Italia è tra i Paesi con la più alta quota di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva, ma questa va rafforzata perché spesso non basta. Per prima cosa, e in questo concordo con i sindacati, i Cenl vanno estesi erga omnes a tutti i lavoratori, ma per evitare che i contratti “pirata” sottoscritti da organizzazioni di comodo finiscano per legittimare salari da fame serve una legge sulla rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali.

Basterebbe?

Sarebbe il primo passo da fare. L’altro è appunto introdurre un minimo legale per legge che andrebbe a coprire quei settori che hanno oggi una bassissima sindacalizzazione: partite Iva mono committenti, parasubordinati eccetera. il caso più noto, anche se non il più diffuso, sono i rider. Lì un salario minimo per legge darebbe attuazione all’articolo 36 della Costituzione, che parla di retribuzione in grado di consentire una vita libera e dignitosa, definizione su cui si misura anche la soglia di povertà. In Italia c’è un enorme problema di lavoro povero, condizione che riguarda un lavoratore su quattro e una lavoratrice su tre.

Altra obiezione: il salario minimo metterebbe pressione al ribasso alla contrattazione.

L’idea che questi strumenti si facciano concorrenza negativa è sbagliata. Il salario minimo servirà a fissare una retribuzione giusta e la sua soglia va definita in base a parametri concordati con i sindacati, che in questo ambito potrebbero far pesare il loro ruolo.

C’è anche un tema inflazione, che erode il potere d’acquisto dei lavoratori.

Certo, l’idea che i rinnovi contrattuali non debbano tenere conto dei rincari energetici è insensata. Detto questo, però, anche se non ci fosse l’inflazione, i salari italiani andrebbero alzati comunque perché sono trent’anni che ristagnano e sono gli unici, tra i Paesi Ocse, che in termini reali sono calati dagli anni 90. Abbiamo costruito un sistema in cui la competitività del Paese si basa sulla compressione del costo del lavoro, favorito dalla flessibilità estrema dei contratti. In questo il centrosinistra ha delle responsabilità: ha accettato l’idea che nelle fasi di crisi non si potessero chiedere sacrifici alle imprese, ma solo ai lavoratori. I dati Istat mostrano che la domanda di lavoratori con alto grado di istruzione e formazione in Italia è correlata al livello di istruzione degli imprenditori: le nostre aziende non domandano lavoro di qualità e i giovani laureati vanno all’estero.

Confindustria chiede di intervenire solo sul cuneo fiscale.

Il cuneo fiscale va diminuito, redistribuendo su tutti i redditi il peso del finanziamento del welfare che ora grava tutto sul mondo del lavoro, ma questa non può essere una scusa per non aumentare i salari.