Guerra: con il no del Cnel penalizzati 3,5 milioni di lavoratori

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Niccolò Carratelli

Il parere del Cnel sul salario minimo è un’occasione mancata», dice Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria Pd. Il documento è arrivato proprio alla fine del “firma day”, la giornata dedicata alla raccolta firme a sostegno della proposta di legge unitaria delle opposizioni, con banchetti di Pd e M5s in giro per l’Italia. Nessuna sorpresa sui contenuti, ma Guerra, tra i firmatari di quella proposta, non nasconde la delusione: «Potevano fare un lavoro istruttorio, fornire dati aggiuntivi, offrire un’analisi di tipo problematico – spiega l’ex sottosegretaria all’Economia – invece hanno prodotto un documento assertivo e molto orientato politicamente, in cui la nostra proposta viene liquidata come strumento di propaganda e l’ipotesi del salario minimo legale non viene nemmeno presa in considerazione».

Non serve, ribadiscono dal Cnel: per eliminare il lavoro povero bisogna puntare sulla contrattazione collettiva.

«È una scelta di campo, peraltro supportata da una lettura capziosa della direttiva europea, che non fa una scala di priorità tra contrattazione e salario minimo. In molti Paesi sono due strumenti sinergici, nella nostra proposta di legge non sono certo in contrapposizione. Poi si continua a sostenere, cito testualmente, che la soglia dei 9 euro lordi sia “inferiore alle tariffe orarie minime desumibili da quasi tutti i contratti collettivi, se letti nella loro totalità e complessità (non fermandosi cioè solo alla paga base o minimo tabellare)”. Un’affermazione senza senso».

Perché?

«Perché la nostra proposta riferisce i 9 euro lordi proprio al minimo tabellare. Con il nostro parametro sono molti di più i contratti che non rispettano la retribuzione minima ipotizzata e interessano, come abbiamo sempre detto, 3 milioni e mezzo di lavoratori».

Mentre per il Cnel sono molti meno, impiegati in settori deboli, ma marginali. 

«Per sostenere i quali suggerisce altre misure ad hoc, alcune anche utili, come quella per contrastare le gare al massimo ribasso, mentre altre poco correggono le storture del mercato del lavoro, come il sostegno al reddito delle famiglie. Ma stiamo parlando di interventi molto limitati, basta che non si parli di un salario minimo legale! Che poi, mi faccia dire, nessuno dice che il salario minimo risolva tutti i problemi, dall’eccesso di contratti a termine al part time involontario. Ma è un punto da cui partire, anche perché dà più forza al lavoratore per difendersi dallo sfruttamento».

Senza dover arrivare in tribunale?

«La recente sentenza della Cassazione ha fissato un principio rispetto all’attuazione dell’articolo 36 della Costituzione. Anche i contratti collettivi più rappresentativi possono prevedere una retribuzione inadeguata, cioè non “proporzionata” né “sufficiente”. Se non si interviene con una norma attuativa il dell’articolo 36, i lavoratori saranno sempre costretti a rivolgersi al giudice, mentre con la nostra legge basterebbe una procedura amministrativa».

Il Cnel tira dritto, il documento dovrebbe essere approvato giovedì, ma non all’unanimità. Questo ha un peso?

«Se un documento così importante, che affronta un tema essenziale per il mercato del lavoro italiano, viene approvato con il voto contrario di due dei tre più grandi sindacati del nostro Paese, fossi in Brunetta, ma anche in Meloni, un problema me lo porrei».

Poi, la prossima settimana, la vostra proposta di legge arriverà in Aula alla Camera. A questo punto, con quale prospettiva?

«Temo che la maggioranza approfitterà di questo parere del Cnel per chiedere un ritorno della legge in commissione: un modo per allungare ancora i tempi, visto che stiamo entrando nella sessione di bilancio. Insomma, butteranno ancora la palla in tribuna, perché non hanno il coraggio di dire un no chiaro in Parlamento al salario minimo. E questa per noi è già una vittoria».

Un intervento in legge di bilancio dovranno prevederlo.

«Cercheranno di aggirare il problema, puntando su qualche agevolazione fiscale, con le poche risorse a disposizione. Ma. sono due ambiti diversi, il punto è che la svalutazione dei salari impoverisce la nostra economia, lo vediamo nella Nadef: il Pil è devole anche perché soffre la domanda interna. In altri Paesi, il salario minimo ha portato un aumento della produttività».