Guerra: autonomia differenziata, il testo esca dalle segrete stanze

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Intervento su Huffington Post

di Maria Cecilia Guerra

“Dall’autonomia differenziata non vogliamo un euro in più di quello che già oggi lo Stato spende sul nostro territorio”. Questo ribadiscono con forza i presidenti di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. È legittimo dubitarne, perché negli unici documenti ufficiali di cui sino ad ora si dispone c’è scritto ben altro.

Nel pre-accordo del febbraio 2018, firmato con il governo Gentiloni, si scriveva chiaramente che il fabbisogno standard cui commisurare la devoluzione delle risorse alle regioni che godono dell’autonomia differenziata, doveva essere più alto laddove il gettito pro capite dei tributi maturato sul territorio regionale era più alto, e cioè nelle regioni più ricche.

Nelle bozze di intesa del febbraio 2019, siglate con il governo Conte (pubblicate a suo tempo sul sito del Ministero degli Affari regionali), si prevede di partire con una devoluzione di risorse dello stesso ammontare della spesa storica dello Stato sui territori interessati (non un euro in più). Seguita però da un complesso meccanismo che fornisce alle regioni interessate una doppia garanzia, perché non si trovino mai a perdere risorse (non un euro di meno): se il gettito delle fonti individuate per il finanziamento dei fabbisogni si rivelasse insufficiente, o se il fabbisogno standard aumentasse. E si prevede che di una dinamica favorevole del gettito dei tributi attribuiti si avvantaggino le tre regioni (molti euro in più).

Nell’ultima versione di cui si è a conoscenza, le bozze di intesa del 15 maggio 2019, non ancora pubblicate su un sito ufficiale, si ritorna di fatto al progetto originario.

Vale la pena di spiegare in breve il procedimento, di cui ho parlato più a fondo nella mia audizione alla Commissione sull’attuazione del federalismo fiscale.

Come nell’intesa del febbraio 2019:
1) si trasferiscono inizialmente risorse pari alla spesa storica.
2) entro un anno le si aggiusta in relazione ai fabbisogni standard.
3) Se però, passati tre anni, i fabbisogni non sono stati definiti si prevede un finanziamento comunque non inferiore al valore medio pro capite della spesa storica.

Cosa vuol dire? Che alle regioni interessate si riconosce sempre il più alto fra i due: spesa storica o media nazionale. Sapendo peraltro che nel settore dove è più alta la devoluzione di risorse, l’istruzione, per svariate ragioni, (numero di ragazzi in età scolare, caratteristiche territoriali che incidono sull’ampiezza delle classi, carenza di servizi ausiliari offerti dagli enti decentrati, anzianità di servizi del corpo docente, ecc.) la spesa storica nelle tre regioni interessate è attualmente più bassa della media.

Si precisa che, se le risorse storiche trasferite risultassero insufficienti, quelle che mancano verranno prese dalle altre regioni. Lo dice chiaramente il comma 8 dell’articolo 5 “riduzione della spesa statale nelle materie riferite alle funzioni trasferite”. Più chiaro di così…

Fatto tutto questo ambaradan iniziale, la dinamica del finanziamento dovrebbe seguire unicamente quella delle basi imponibili delle tre regioni. Siccome si tratta delle regioni economicamente più avanzate del paese la scommessa è che la dinamica del gettito inizialmente attribuito sia superiore all’evoluzione della spesa statale nelle funzioni devolute, garantendo non uno ma molti euro in più.

Si torna all’origine: un finanziamento più alto alle regioni dove il gettito dei tributi statali è più alto. I “residui fiscali” (e cioè la differenza, negativa, fra la spesa pubblica che arriva sul territorio di una regione e il gettito fiscale prelevato sui residenti in quel medesimo territorio), bocciati dalla Corte costituzionale come criterio per il finanziamento regionale, escono dalla porta e rientrano dalla finestra.

Può darsi che il testo del 15 maggio sia già superato. Ma non sarebbe meglio potere discutere in modo trasparente di tutta questa questione, che rischia di minare l’unità del paese, invece di farne oggetto di proclami pubblici e contrattazioni private nelle segrete stanze dei rapporti fra esecutivi, per poi mettere Parlamento e paese di fronte al fatto compiuto?