Guerra: altro che taglio del cuneo per sei mesi, bisogna aumentare i salari

Politica e Primo piano

Intervista a Fanpage.it

di Luca Pons

Il governo Meloni ha approvato il nuovo decreto Lavoro, nella riunione del Consiglio dei ministri del primo maggio. Tra le misure previste c’è un taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti – molto pubblicizzato dall’esecutivo – ma anche una modifica della norma sui contratti a tempo determinato e un ampliamento dell’uso dei voucher.

Maria Cecilia Guerra, economista e deputata del Pd, è responsabile del Lavoro nella segreteria del partito di Schlein. È stata sottosegretaria all’Economia nei governi Conte II e Draghi. A Fanpage.it ha spiegato perché le opposizioni hanno attaccato il nuovo decreto come un intervento che danneggia lavoratrici e lavoratori.

Con il decreto Lavoro diventa più semplice per le aziende rinnovare i contratti a termine. La ministra Calderone ha detto che con questo intervento si “rende più agevole l’interpretazione della norma che aveva avuto difficoltà di applicazione”. È così?

Sì, si rende più agevole l’applicazione della norma, ma non è un dato positivo come lo presenta la ministra. Le causali per il rinnovo dei contratti a tempo determinato, che erano state inserite per mettere un argine all’uso prolungato dei contratti a termine, vengono abbattute. La legge era fatta per rendere il rinnovo del contratto a termine un’eccezione, invece della norma.

Adesso i contratti a tempo determinato potranno essere rinnovati se lo prevede il contratto collettivo, oppure anche il contratto aziendale, o in ultimo la contrattazione individuale. Perché è un problema?

A mettere dei paletti non sarà più la legge, che tutela tutti. E si guarda al contratto aziendale, quello in cui la contrattazione è più complicata e la ricattabilità è più alta. Nelle aziende i sindacati sono spesso piccoli, la possibilità di dire “prendi così il lavoro oppure non ti do niente” è molto forte. La cosa più grave è che se non subentra un contratto aziendale, allora si può andare anche al contratto uno a uno, tra datore di lavoro e lavoratore.

Quindi ogni azienda potrà trattare direttamente con il proprio dipendente per decidere se si può rinnovare il contratto a termine, invece di passare a un altro tipo di contratto più stabile?

Sì. È la situazione in cui la debolezza del lavoratore è massima, per forza: non si contratta alla pari tra datore di lavoro e singolo lavoratore. Complessivamente, nel decreto c’è una liberalizzazione dei contratti a termine, per il rinnovo oltre i 12 mesi. Purtroppo fino a 12 mesi è già liberalizzato, quindi diventerà una forma di lavoro ancora più diffusa.

Oggi quanti contratti a tempo determinato ci sono in Italia?

Interessano tre milioni di persone, quasi il 16% della forza lavoro. E soprattutto giovani, che hanno tantissime altre forme di precarietà. Da una parte il governo interviene con un po’ d’aiuto con il taglio temporaneo del cuneo, dall’altro si dà la bastonata rendendo i lavoratori ancora più deboli nella contrattazione. Sia con i contratti a termine che con i voucher, che vengono estesi. Così è sempre più complicato costruirsi una prospettiva di vita.

Si dà uno svantaggio ingiusto ai dipendenti, e un vantaggio alle imprese?

In generale, bisognerebbe abbandonare la logica che i profitti aziendali vengono dalla compressione dei salari. I profitti devono venire dalla capacità di innovare, usare nuove tecnologie, penetrare nuovi mercati… e il lavoro può dare una grande mano in questo, se gestito meglio.

Invece lei dice che il governo cerca di tutelare in ogni caso tutte le aziende, anche a costo di ‘sacrificare’ i lavoratori?

Si mette in pratica la visione del mercato del lavoro del governo Meloni: il lavoratore è sempre l’ultima ruota del carro, quella su cui si scarica tutto. È lo stesso con le decontribuzioni, ad esempio per le aziende che assumeranno chi percepirà l’assegno di inclusione: non si lega l’incentivo fiscale al fatto che l’assunzione sia a tempo indeterminato, e così si foraggia il lavoro precario anche con le detrazioni. È tutto il sistema che va rivisto.

Come ha menzionato, nel decreto si estende anche l’uso dei voucher. Si potranno usare per pagare fino a 15mila euro l’anno, e anche nel settore turistico.

Questo è un caso particolarmente grave secondo me. Il turismo è un settore con una forte stagionalità. Ma in Italia esistono già i contratti stagionali. Abbiamo anche formule che permettono di assumere le persone per picchi di domanda, anche solo per un fine settimana. Non c’è bisogno di arrivare ad una forma di acquisto del lavoro equiparabile all’acquisto di una bottiglia d’acqua al supermercato.

Come funzionano i voucher e perché svantaggiano la persona assunta?

Non è neanche un contratto di lavoro, quando ti lascio non hai neanche un ammortizzatore sociale. Ti prendo se mi servi, ti lascio lì se non mi servi, due ore di qua, cinque ore di là… In più pago lo stesso ammontare a prescindere dalla qualifica della persona che assumo. Si favorisce anche il lavoro nero. Ad esempio, quando assumo una persona con un voucher dico: “Nei prossimi dieci giorni farà trenta ore presso di me”. Ma non è che dico “lunedì lavorerà dalle 8 alle 12, martedì dalle 15 alle 17” e così via. Dico solo il numero di ore. Quindi se anche arriva un controllo, come fa il controllore a sapere se quell’ora è la prima, la seconda o la cinquantesima?

Passiamo al taglio del cuneo fiscale, una delle misure più discusse e anticipate. Il taglio dovrebbe arrivare a 7 punti per i dipendenti che prendono fino a 25mila euro, e a 6 punti fino a 35mila euro. È un intervento positivo?

Il problema è che serve un intervento strutturale, non una cosa una tantum. Peraltro, invece che da maggio l’hanno fatto partire da luglio così l’importo suona meglio, si avvicina a cento euro… Quindi c’è un elemento di propaganda un po’ fastidioso. Insomma, un po’ di soldi ci sono. Ma è una misura senza un futuro, se non ci sarà una riforma fiscale più equa. Bisogna far pagare la stessa imposta a parità di reddito. Questo è il contrario di quello che sta facendo il governo, a forza di regimi speciali per alcune categorie.

L’aumento in busta paga che viene con il taglio del cuneo basterà a contrastare l’aumento dei prezzi?

I salari hanno già subito una tartassata molto forte, sono diminuiti di quasi il 15% a causa dell’inflazione. Questo non si può riequilibrare per via fiscale. Bisogna prendere atto che c’è una perdita di potere d’acquisto della nazione intera. È una specie di tassa, e bisogna capire come distribuirla, perché adesso è tutta addosso ai lavoratori.

Come bisognerebbe intervenire?

Bisogna rimettere in piedi la contrattazione collettiva, rinnovare i contratti scaduti – che riguardano il 75% dei lavoratori privati – e riconoscere aumenti salariali. Il lavoro si paga. Non è che si prende a gratis e poi arriva lo Stato e, mettendo il peso sulla collettività, sistema i conti. E invece il governo dà il cattivo esempio: nel Def non ha messo neanche un euro per il rinnovo dei contratti pubblici.

Aumentando i salari non c’è il rischio di iniziare una spirale che porta anche l’inflazione a salire sempre di più? Questo è il timore di cui ha parlato il governo.

Questo è il tema dei temi. Ma in Europa, e anche negli Stati Uniti, sta emergendo che l’inflazione non è spinta dai salari. Piuttosto, in alcuni settori, quello che la spinge sono i profitti. Perché le aziende recuperano i margini aumentando i prezzi più di quanto non crescano i costi. Qui c’è un problema di distribuzione dei costi, tra salari e profitti, che va affrontato.

Pensa che il taglio del cuneo, che scadrà a dicembre, poi sarà rinnovato nel 2024?

Vedremo. Per ora, registro che c’è il Def, il documento in cui il governo dovrebbe a grosse linee dire quali sono le sue priorità. Quella del cuneo fiscale non è la sua priorità. Per il 2024, i soldi che sa che avrà a disposizione li ha messi sulla riforma fiscale, guidata da una legge delega che ha altre priorità: tra queste un rafforzamento dei sistemi di tassazione flat che per adesso hanno avvantaggiato solo alcuni, sicuramente non i lavoratori dipendenti.

C’è un aspetto di questo decreto che secondo lei è passato sottotraccia?

Non si è messa abbastanza in evidenza l’assurdità dell’intervento che detassa i fringe benefit fino a 3mila euro per i dipendenti con figli a carico.

Perché?

Quali sono i datori di lavoro che danno fino a 3mila euro di benefici ai loro dipendenti, a loro piena discrezione? Intanto si parla solo di settori alti della produzione, per gli altri niente. Ma a parte quello: viene fatta passare come una politica per i figli perché si applica solo ai dipendenti con figli a carico. Quegli stessi soldi si potevano usare per rafforzare l’assegno unico e universale, che arriva davvero a tutti. Così, invece, anche tutte le famiglie di lavoratori autonomi che hanno figli a carico non ricevono niente.

Il governo l’ha fatto per poter dire di aver dato un bonus ai dipendenti con figli, ma spendendo poco?

Se io come governo voglio fare uno strumento per i lavoratori con figli, mi occupo io di fargli arrivare i soldi. Non aspetto che ci sia un datore di lavoro illuminato che gli dà qualche euro, poi vado a vedere quali hanno figli e quali no, e li detasso. È una cosa che non sta né in cielo né in terra. Così si raggiungono poche persone, e per giunta in modo casuale e sperequato. Non si fa un intervento così, non si può vedere.