Fornaro: per le comunali niente spartizioni, primarie a rischio col Covid

Politica e Primo piano

Intervista a Lo Spiffero

di Stefano Rizzi

“I nodi politici di costruzione di alleanze e di capacità di attrarre oltre i confini delle alleanze stesse non passano dalle primarie in quanto strumento di selezione della leadership. La politica deve riprendersi il suo ruolo e i gruppi dirigenti non possono fare Ponzio Pilato dicendo: ci pensano gli elettori”. Mentre c’è già chi è pronto a segnare sul calendario la data e più di un candidato si dice pronto alla corsa per selezionare chi far scendere in campo per il centrosinistra alle elezioni comunali di Torino, Federico Fornaro squaderna l’agenda e mette in discussione ciò che molti nel Pd danno ormai per scontato. Scorre all’indietro le pagine il deputato di Articolo Uno e capogruppo di LeU, e dagli appunti della storia cava fuori precedenti su cui fare conto per non stupirsi troppo delle probabili coalizioni giallorosse, mancate alle ultime regionali, per il voto nelle grandi città della primavera prossima.

Onorevole Fornaro, eccetto in Liguria dove il risultato non è stato certo esaltante, nelle Regioni in cui si è votato il mese scorso l’alleanza di governo non c’è stata. Le comunali nelle grandi città, da Napoli a Milano, da Bologna a Torino, saranno l’occasione per riprovarci?  

“Le elezioni comunali in alcune grandi città saranno per molti versi ancor più importanti delle recenti regionali. Il tema della riproposizione nei territori di alleanze in sintonia con quella nazionale sarà ancora più forte. La storia ci insegna che c’è una tendenza naturale in tale senso. Nei primi anni Sessanta quando si aprì la stagione del centrosinistra la trasposizione nei Comuni non fu immediata, ma nel giro di qualche anno si andò verso un’omogeneizzazione con i socialisti che abbandonarono le giunte di sinistra e si acconciarono a farne di centrosinistra”.

L’ipotesi molto concreta che per Torino si decida a un tavolo nazionale, al di là della ferma posizione del Pd locale e le rassicurazioni dei vertici del Nazareno, persiste. Anche lei esclude che possa andare così?

“Non credo che sarà un tavolo nazionale a decidere le candidature nelle grandi città. Non ci sono più partiti di una volta e non è più tempo per un centralismo spinto. Molto dipenderà dai posizionamenti attuali”.

Alleanze possibili in alcune città e in altre no? A Torino?
Un conto è avere il centrosinistra e i Cinquestelle all’opposizione per cinque anni di un sindaco di centrodestra, altro è il caso di Torino. È del tutto evidente che un’alleanza è più facile laddove si è condivisa un’esperienza di opposizione, molto più difficile nella seconda circostanza. Tornando al tavolo nazionale, ci può essere ed è giusto che ci sia un confronto tra i partiti che governano il Paese di fronte a una scadenza elettorale molto importante, ma non vedo né le condizioni organizzative e politiche né sarei favorevole a una spartizione romana. Ogni città è una storia a sé. Però il dialogo tra le forze di governo deve esserci anche sui territori, questo non necessariamente comporta dar corpo ad alleanze. Sia in funzione del ballottaggio sia del governo futuro della città il dialogo ci deve essere”.

Insomma nessuna alleanza al primo turno, ma al ballottaggio come si dice si giocherà non il secondo tempo, ma un’altra partita. Molto dipenderà dal candidato. Di nomi ormai ne girano parecchi, qualcuno sostiene anche troppi. È d’accordo?

“Prima di parlare di nomi sarebbe opportuno riflettere su un progetto di città e un profilo di candidato in cui si possa riconoscere tutto il centrosinistra, ma che abbia anche una sua capacità attrattiva al secondo turno verso l’elettorato grillino, ma non solo. Per questa ragione, per la forte probabilità di un ballottaggio, il centrosinistra deve avere una tattica e una strategia mirate ad affrontarlo con una proposta politica e una candidatura a sindaco adeguati”.

Inevitabilmente un candidato civico?

“Resta difficile pensare che un candidato che per cinque anni abbia detto peste e corna dell’amministrazione di Chiara Appendino sia in grado di attrarre l’elettorato grillino. Poi in linea teorica potrebbe essere un candidato tanto forte da vincere al primo turno”.

Una figura attrattiva, facile a dirsi. Basta il timbro del civismo?
“L’attrattività è un concetto diverso dall’accordo tra partiti. Una candidatura civica non di per sé è più attrattiva, ma ha il vantaggio di poter guardare avanti e non necessariamente dare giudizi sul passato. Il limite di un candidato targato è il rischio del déjà vu”.

Dopo la sconfitta del 2016 nel Pd c’è voglia di riscatto anche se la rivincita passa dalla via stretta dell’alleanza di governo con tutto quel che ne consegue.

“L’elezione di Torino non può essere interpretata come una rivincita. Sarebbe un errore. Serve un progetto per rilanciare la città e fare quello che il centrosinistra è stato capace di fare quando ha trasformato l’immagine di Torino da one company town in una città che sorprendeva chi ci tornava dopo tanti anni. Questo non vuol dire che non ci siano le fratture tra il centro e le periferie che hanno perso le loro identità e molti altri gravi problemi irrisolti”.

Tornando ai possibili candidati, ancora troppo presto per mettere in campo nomi?

“Più che nomi bisogna mettere in campo progetti e offerta politica. Ho apprezzato il ragionamento del segretario provinciale Mimmo Carretta, vi ho colto molti segnali di realismo e soprattutto l’invito a uscire da una logica di nomi, invitando proprio quei nomi a presentare un progetto di città. Ecco, in questo caso anche le primarie cambierebbero profilo: se ogni candidato porta un progetto, nel centrosinistra non possono esserci, cinque, sei sette candidati perché non ci possono essere altrettanti progetti alternativi per la città. Quelle, con i progetti, sarebbero primarie delle idee altro rispetto a una conta interna”.

Lei teme che potrebbero ridursi a questo, una battaglia tra capibastone e correnti?

“Faccio una premessa, su un aspetto che ritengo molto importante. Qualcuno sta facendo una serie di ragionamenti senza tenere conto che siamo in emergenza sanitaria che sarà prorogata fino al 31 gennaio. Credo sia necessario valutare seriamente questa circostanza, la possibile partecipazione. Se si vogliono fare a tutti i costi il rischio è che finiscano per essere una conta interna e chiunque vinca non è sicuro sia il migliore per la vittoria finale. Ricordiamo che le primarie che hanno selezionato candidati rivelatisi vincenti non erano solo la sommatoria dei partiti della coalizione, ma intercettavano una domanda più larga di partecipazione. È pensabile nella situazione che il quadro sanitario ci prospetta?”.

Mai come nella prossima tornata elettorale il centrodestra si sente vicino alla mai raggiunta vittoria a Torino. Quanto deve preoccupare il centrosinistra?

“Guai a commettere l’errore fatto in altre circostanze: non sottovalutare il centrodestra. Ha una base di voto politico che è cresciuta in città e se aggiunge una candidatura in qualche modo speculare a quella del centrosinistra, non organica e in grado anch’essa di essere attrattiva nei confronti dell’elettorato Cinquestelle, la partita diventa molto, molto dura”.