Fornaro: gli elettori intermittenti hanno reso il voto sempre più incerto

Politica e Primo piano

Pubblicato da Domani

di Federico Fornaro

Quando negli anni Ottanta il fenomeno della crescita degli astenuti iniziò ad essere maggiormente considerato nelle analisi elettorali e politologiche, l’astensionista in Italia era facilmente identificabile perché apparteneva alle fasce di popolazione più periferiche, aveva una scolarità medio-bassa e si sentiva orfano dei grandi partiti di massa.

Nel primo trentennio della Repubblica (1946-1976) la decisione di non votare rifletteva fondamentalmente estraneità e lontananza dalla politica, generata anche della mancanza delle risorse intellettuali e degli stimoli necessari a partecipare. La differenziazione più evidente tra il trentennio di alta partecipazione (1946-1976) e il ventennio successivo caratterizzato da un declino dei votanti (1979-1999) è, infatti, rappresentata proprio da questo differente grado di partecipazione e dalla capacità di mobilitazione sempre più declinante dei partiti.

I nuovi astenuti
All’inizio degli anni Duemila agli astensionisti «apatici» si aggiunsero elettori più consapevoli, scontenti delle decisioni e dell’operato della loro tradizionale parte politica, non marginali, ma al contrario convinti di esprimere la loro critica e il loro disagio con una scelta di «astensionismo punitivo».

Decidere di non votare per molti elettori non rappresentava più una scelta irreversibile di abbandono dell’area politica e neppure un tradimento definitivo, ma una scelta meditata, funzionale a mandare un segnale di dissenso sulle scelte della propria parte politica.

È in questo contesto che prende l’avvio e si consolida un comportamento elettorale intermittente impensabile nella precedente stagione delle «gabbie ideologiche» e dei «partiti chiesa». Ed è, quindi, nella complessa e contraddittoria fase di transizione tra prima e seconda Repubblica che in Italia il confine tra il voto e la variegata area del non voto diventa più sfumato e aumenta un comportamento di entrata e uscita dall’arena politica impensabile nella cosiddetta Prima Repubblica, anche in ragione del venir meno lentamente ma inesorabilmente del sentimento civico del «dovere» del voto.

Elettori intermittenti
La partecipazione elettorale è stata sempre meno stimolata da partiti in netto arretramento in termini di radicamento territoriale e sociale e penalizzata sia da un generale invecchiamento della popolazione sia da una crescita della mobilità lavorativa e di studio generatrice a sua volta di un significativo «astensionismo involontario». Astensionismo e partecipazione non sono stati quindi più vissuti come mondi separati, con la conseguenza di veder accrescere proprio la quota di «elettori intermittenti», definizione da preferire a quella di «astensionisti intermittenti» perché definisce meglio una categoria di elettori che decide di volta in volta se recarsi ai seggi e non quella di cittadini che hanno varcato definitivamente la frontiera del territorio del non voto.

Fatto 100 il numero degli elettori aventi diritto al voto, infatti, il corpo elettorale appare attualmente caratterizzato da tre fondamentali comportamenti elettorali: gli «elettori assidui» (40 per cento del totale), gli «astensionisti cronici» (20 per cento) e gli «elettori intermittenti» (40 per cento).

Gli ultimi dieci giorni
La riprova della bontà del modello è sinteticamente riassumibile nell’osservazione empirica che in nessuna elezione (politica, regionale, comunale), si scende oramai sotto il 40 per cento dei votanti (salvo rarissimi casi), ma non si supera più l’80 per cento di affluenza ai seggi.

Nelle ultime tornate amministrative (2020-2021) invece gli elettori intermittenti hanno scelto in massa il non voto, determinando il record negativo di votanti in tutte le grandi città chiamate al voto che hanno in molti casi sfondato il muro del 50 per cento di astensionismo.

Il risultato finale delle elezioni è, quindi, sempre più determinato dalla scelta di voto (o di astensione) degli elettori intermittenti che per di più decidono se votare e per chi votare negli ultimi dieci giorni, facendo impazzire i modelli matematici dei sondaggisti.

Proporre il cambiamento
L’ingresso degli intermittenti nell’arena del voto è inoltre avvenuto nelle più recenti elezioni con un comportamento a “sciame”, attaccandosi alla proposta di cambiamento più attraente per chi vive un rapporto difficile e rancoroso con la politica.

È stato così nel 2013 alle politiche con il Movimento 5 stelle, nel 2014 alle europee con il Pd di Renzi, nel 2018 alle politiche al sud nuovamente con il M5s (e parzialmente con la Lega di Salvini) e nel 2019 alle europee con la Lega di Salvini.

Come si può notare, partiti, movimenti e leader distanti tra loro, ma tutti interpreti in quella fase di una proposta forte di cambiamento dello status quo. Elettori intermittenti e infedeli per natura, pronti a togliere la fiducia senza farsi troppi problemi.

Sliding doors
Ad oggi si può prevedere una scomposizione dell’universo del 40 per cento di elettori intermittenti in un 15 per cento che non andrà a votare e un 25 per ceno che invece alla fine si recherà ai seggi. Premieranno la novità rappresentata da Giorgia Meloni, o, invece, determineranno un astensionismo record con una percentuale di votanti sotto il 65 per cento?

Oppure la paura di un ritorno indietro sul tema dei diritti e dell’ambiente spingerà i giovani e le donne intermittenti a votare in massa il centrosinistra a guida Pd Italia democratica e progressista? Pochi giorni e sapremo se e come gli intermittenti saranno stati nuovamente l’ago della bilancia delle elezioni.