Documenti: l’intervento alla Camera sul Def di Guglielmo Epifani

Politica e Primo piano

Il quadro contenuto nel Documento di economia e finanza, così come tratteggiato anche dai relatori di maggioranza e di minoranza è un quadro sufficientemente chiaro dei problemi che il nostro Paese attraversa. Naturalmente, dopo anni, il PIL ha ripreso a crescere, e cresce anche l’occupazione; resta la sostanza, però, di un Paese che da sedici anni ha, sostanzialmente, un ritmo di crescita medio dello 0,2 per cento e di un’occupazione che riprende su basi fortemente precarie. Da questo punto di vista e rispetto, anche, alle difficoltà di quadro che stanno aumentando – penso soprattutto alla guerra commerciale che ha effetti, se non altro, sulla dinamica degli investimenti e sulle prospettive del sistema industriale, penso alla questione della fine della Quantitative easing che determinerà per il Paese un rischio, il costo del nostro debito pubblico più alto -, è evidente che si tratta, a questo punto, di intervenire secondo un ordine di priorità che abbia un senso politico e logico.

Se il nostro problema è la crescita scarsa, è sulla crescita che bisogna investire risorse, mezzi e
attenzione. Da questo punto di vista non c’è niente da fare, perché mentre l’export di una parte del nostro sistema industriale sta andando bene, fino ad arrivare a saldi commerciali mai avuti nel passato, se è vero che la domanda interna di consumi, negli ultimi due anni, è leggermente
aumentata ed è aumentata anche la quota degli investimenti privati, quello che tuttora continua a mancare è la componente degli investimenti pubblici nel determinare un assetto più equilibrato della nostra economia.

Prima della crisi, questo Paese spendeva 90 miliardi l’anno di investimenti pubblici; con la crisi si sono ridotti a 60 miliardi; negli ultimi due anni gli investimenti pubblici sono rimasti al palo. Ci mancano, anno dopo anno, 30 miliardi di investimenti pubblici. E perché? Qui sta il tema. Non solo, perché l’investimento pubblico è un moltiplicatore di investimenti, di risorse e di occupazione, non solo perché gli investimenti pubblici sono l’unica vera leva di equilibrio dei divari territoriali – e penso soprattutto al rapporto tra città, campagna, Nord e Mezzogiorno -, ma perché, attorno agli investimenti pubblici, si gioca il grande problema del degrado o meno del nostro sistema di infrastrutturazione civile e sociale. Ci lamentiamo della sicurezza delle case, della sicurezza delle scuole, della sicurezza degli edifici pubblici, della sicurezza delle nostre campagne e delle nostre colline, dell’insufficienza del nostro sistema idrogeologico, dell’offerta di acqua. Ci lamentiamo, cioè, di beni essenziali per la collettività, per non parlare del decoro urbano e dello stato delle nostre strade. Ebbene, tutto questo deriva dal fatto che manca, anno dopo anno, una componente così rilevante come quella degli investimenti pubblici. Se continuasse questa tendenza noi avremmo un Paese in cui il degrado dell’infrastrutturazione civile tenderà a crescere e avremmo l’assenza di una componente essenziale dello sviluppo e della crescita.

La stessa cosa avviene per l’occupazione; crescono i dati, ma la qualità della nostra occupazione non regge, lo ripeto, non regge. Tempi indeterminati sempre meno, tempi precari sempre di più, e dentro i tempi precari c’è di tutto, c’è chi lavora un giorno al mese, c’è chi lavora una settimana all’anno; c’è una situazione di precarietà che non fa onore al nostro Paese. È la stessa cosa dell’aumento dell’occupazione, se noi la trasformassimo in ore equivalenti di lavoro ci renderemo conto che rispetto al pre-crisi, non ci mancano solo saldi occupazionali netti, ma
anche ore di lavoro: mezzo milione di part-time involontario in più vuol dire mezzo milione di
persone che hanno un reddito dimezzato rispetto all’avvio della crisi. E da questo punto di vista, mi permetto di segnalare due problemi; in primo luogo, il bisogno di una lotta alla precarietà più forte; e, in secondo luogo, tema di cui nessuno parla, la riapertura dei turnover nelle pubbliche amministrazioni. Dieci anni di blocco del turnover hanno fatto scendere di 400 mila unità gli occupati nelle pubbliche amministrazioni, e questo può essere anche un fatto positivo se si pensa che c’era esagerazione in qualche collocazione, ma c’è un punto da cui non si
scappa; che se tu non assumi, l’età media di chi lavora nelle pubbliche amministrazioni tende ad aumentare; in sanità, 600 mila occupati, l’età media di chi lavora è di 54 anni, per questo poi
leggiamo che c’è il fenomeno dei medici di famiglia che, a un certo punto, andranno tutti in
pensione. Se continuiamo a non assumere, oltre ai danni per gli utenti, per i pazienti, per i
cittadini, avremo un problema drammatico. Nella sanità abbiamo l’età media più alta d’Europa, i nostri professori hanno l’età media più alta d’Europa, i professori universitari hanno l’età media più alta d’Europa, i nostri ricercatori hanno l’età media più alta d’Europa. Dove vogliamo andare?

Se non risolviamo per tempo questo problema, l’età media tende naturalmente ad aumentare ed è anche per questo che un sistema più flessibile di pensionamento si rende necessario: non solo per questo, ma anche per questo. E, da questo punto di vista, avverto solo un tema anche qui, di cui non si parla: prima di mettere mano al reddito di inserimento e/o di cittadinanza, prima di mettere mano alla riforma Fornero, c’è un problema di collegare a queste riforme una revisione dei nostri ammortizzatori sociali, perché nella passata legislatura si sono fatti i problemi con figli e figliastri, che non vanno bene. Abbiamo imprese che hanno diritto ad ammortizzatori sociali di rango «A», imprese che hanno diritto ad ammortizzatori sociali di rango «B» e abbiamo situazioni tra i lavoratori e le imprese che non reggono. Lo abbiamo visto nella discussione che abbiamo fatto la settimana scorsa.

Infine, il fisco. Sento parlare di tutto. Si può parlare di evasione? Si può parlare di lotta all’evasione? Ancora oggi, tutti gli studi ci dicono che è oltre 100 miliardi l’evasione di questo
Paese. Non è che la pace fiscale e un condono aiutano la lotta all’evasione; aiutano a fare emergere l’imponibile, ma contemporaneamente spingono a evadere, perché se noi facciamo un ciclo molto breve di condoni fiscali, è evidente che la tendenza a non dichiarare al fisco diventa ovviamente più forte.

Infine, ultima cosa, dobbiamo aprire un confronto con l’Europa. Benissimo, io mi raccomando per le cose che ho detto: sui margini di flessibilità, capisco quelli che possono servire a evitare
l’aumento dell’IVA, che se aumentasse finirebbe per gravare sulla povera gente, sui cittadini. Però attenzione: ogni margine di flessibilità non deve andare a spesa corrente, per le cose che ho detto e se vogliamo essere seri, ogni margine di flessibilità deve andare a investimento e a investimento pubblico in particolare.