Documenti: il testo della mozione Conte sull’autonomia differenziata

Politica e Primo piano

“L’autonomia chiesta dalle regioni ricche del nord è un raggiro costituzionale, a scapito dell’unità del Paese e del Sud”. Lo dichiara Federico Conte, che oggi a Roma, presso la Camera dei deputati, ha presentato una mozione parlamentare sul tema dell’autonomia differenziata. “A chi dice – prosegue Conte – che il regionalismo differenziato andrebbe a vantaggio del Mezzogiorno rispondo che alle condizioni date sarebbe come la corda per l’impiccato. Le indiscrezioni che si leggono su queste fantomatiche intese, peraltro condotte al buio, in un clima sospetto, mostrano un evidente disegno secessionista delle regioni ricche. Vogliono cambiare il sistema costituzionale per imporre il sovranismo regionale caro alla Lega di Bossi. Si vuole dividere ancora di più l’Italia in due, con la parte ricca che vuole esserlo sempre di più, a discapito della parte più povera. Non può esserci autonomia differenziata senza fissare con legge i livelli essenziali delle prestazioni, da garantire su tutto il territorio nazionale. E per mettere in condizione il Sud di erogare prestazioni e servizi come il Nord, serve un prima un Piano straordinario di investimenti al Sud. Poi si può parlare di autonomia differenziata”.

La Camera dei deputati

PREMESSO CHE:

La possibilità di conferire con legge “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni che ne facciano richiesta, introdotta nella Costituzione (art. 116, comma terzo) nel 2001, è volta a rafforzare il principio di sussidiarietà tra le Regioni e lo Stato, secondo una logica di efficienza e prossimità, tenendo conto delle peculiarità e specificità delle singole Regioni;

L’applicazione del terzo comma del 116 della Costituzione non può in nessun modo introdurre una via surrettizia per dare vita a nuove Regioni a statuto speciale né prefigurare una via alla secessione rispetto ai principi costituzionali fondamentali che devono essere garantiti in tutto il Paese e che sono a fondamenta dell’unità nazionale e nulla ha a che fare con il cosiddetto residuo fiscale;

Le materie che possono essere delegate “a condizioni particolari” sono le 23 elencate all’art. 117 della Costituzione, di cui venti di potestà legislativa concorrente e tre di competenza esclusiva dello Stato, che toccano parti vitali della vita istituzionale e sociale (quali l’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali);

Il regionalismo differenziato è volto a rafforzare l’ispirazione autonomistica dei territori, entro un quadro di integrazione nazionale che ne è un presupposto. È un’articolazione che lo Stato può attuare solo dopo avere determinato direttamente e in via prioritaria le condizioni di parità e i Lep (Livelli Essenziali di Prestazione), nel segno del principio di sussidiarietà. È indispensabile legiferare sui principi fondamentali e i limiti entro cui la legislazione regionale può essere interpretata; senza questo quadro di riferimento essenziale è evidente il rischio di un caos istituzionale. Non si possono lasciare alla interpretazione delle singole Regioni l’esercizio di competenze essenziali come per esempio sanità, istruzione e ambiente perché ciò significherebbe nei fatti istituzionalizzare il conflitto di competenza e la messa in discussione dei diritti fondamentali dei cittadini;

La possibilità di conferire con legge “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni che ne facciano richiesta, introdotta nella Costituzione nel 2001 è infatti volta a rafforzare il principio di complementarietà tra le Regioni e lo Stato, non a differenziarne la portata e l’omogeneità rispetto ai cittadini, introducendo, forme di separatezza o di secessionismo mascherate;

La solidarietà nazionale non è un dono tra le “regioni” ma, come recita la Costituzione all’art. 5, l’Italia è una e indivisibile territorialmente e socialmente;

Il regionalismo differenziato, previsto dalla Costituzione, disciplina materie che incidono sostanzialmente sul diritto di cittadinanza, uno dei doveri fondamentali dello Stato, il patto su cui si basa l’Unità nazionale; interpretare correttamente l’autonomia differenziata significa al contempo dare la giusta responsabilità al governo del territorio e assicurarsi che questa si realizzi tenendo fermi i principi di uguaglianza e unità evitando prima di tutto una divisione del Paese per censo, in particolare tra il Nord e il Sud;

CONSIDERATO CHE

Veneto e Lombardia richiedono la prima tutte e 23 e la seconda 20 delle materie sulle quali sono attivabili le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, mentre l’Emilia Romagna limita la sua richiesta a 15. Come è evidente vi è una differenza sostanziale tra le diverse proposte nella stessa interpretazione dell’autonomia differenziata;

Hanno dichiarato interesse a ulteriori forme di autonomia anche altre sette regioni: Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria;

Molti pronunciamenti di costituzionalisti hanno sollevato rilevanti perplessità sulla legittimità dell’attribuzione di ulteriori forme di autonomia su tutte le materie previste dall’articolo 116 terzo comma della Costituzione e sul fatto che ciò determinerebbe attraverso una legge ordinaria una revisione sostanziale degli assetti istituzionali definiti dalla Costituzione senza che ciò avvenga attraverso un quadro organico e definito che assicuri un assetto istituzionale equilibrato e ordinato;

Secondo le intese sottoscritte dal Governo il 28 febbraio 2018, le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per attuare i protocolli tra  Stato, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, fatta salvo il criterio della “spesa storica” per altri cinque anni, vanno determinate con riferimento ai “fabbisogni standard” individuati in relazione alla popolazione residente, al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale (Irpef, Ires, Iva, imposta di bollo, imposte speciali, fondi rotativi) e ai rispettivi valori nazionali, a quella data, con la conseguenza, nel caso ciò non avvenga con un conseguente  meccanismo alternativo di definizione delle risorse finanziarie, di un aumento dei trasferimenti dal centro alla periferia ricca del Paese;

Alcuni sostenitori della proposta eccepiscono che il loro “residuo fiscale” abbia saldo negativo: ricevono dallo Stato, in termini di spesa pubblica ricevuta meno di quello che danno in termini di imposte, differenziale che, secondo i loro calcoli, ammonterebbe per la Lombardia a oltre 40 miliardi e per il Veneto a 12. Un calcolo statistico che non considera, volutamente, la spesa pubblica nella sua interezza, di cui fa parte, ad esempio, anche quella per gli interessi sul debito pubblico. Una differenza che, da sola, riduce il residuo fiscale (rectius: residuo fiscale finanziario) a 13 miliardi per la Lombardia, a 2 miliardi per il Veneto.

Un dato statistico non attendibile, dunque, che in ogni caso – si ribadisce – non ha nulla a che fare con l’art. 116, c.3 Cost.

Il quadro generale della finanza pubblica si regge sul principio che il gettito proveniente dalla fiscalità è espressione unitaria del sistema e garantisce la spesa pubblica su tutto il territorio. Dal che discende che non è neppure ipotizzabile che ci sia un “residuo fiscale regionale”;

Delle intese tra lo Stato e le Regioni richiedenti è stata acquisita in bozza dal Consiglio dei Ministri una seconda versione, addirittura peggiorativa della precedente, secondo la quale se entro un anno non venissero determinati i costi standard per singole materie, ed è nota a tutti la complessità di questo compito, il parametro di riferimento per il trasferimento delle risorse per l’attuazione delle nuove competenze alle regioni si passerebbe al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle funzioni interessate e, comunque, non inferiore alla spesa storica. È chiaro che ciò sarebbe del tutto insostenibile perché produrrebbe effetti o di aumento significativo della spesa pubblica senza alcun equilibrio tra i diversi territori o, tenendo fermo il principio dell’equilibrio di bilancio, di redistribuzione delle risorse a discapito delle regioni che non hanno attivato il meccanismo dell’autonomia differenziata producendo un’insostenibile sperequazione tra i cittadini delle diverse regioni, e in particolare nei confronti dei cittadini del sud;

Va inoltre sottolineato che nelle bozze di intesa non vi è di fatto nessun aggancio all’articolo 119 della Costituzione e alla legge 41 del 2009 (federalismo fiscale), ciò produrrebbe dunque un ulteriore percorso di distribuzione delle risorse lasciando così indeterminato e frammentario un tema centrale ed essenziale per la tenuta dell’unità del Paese. Non si può lasciare in tale indeterminatezza questo elemento fondamentale tanto più a fronte di posizioni che nulla hanno a che fare col 116 Cost. quali la richiesta di trattenere nei territori il cosiddetto residuo fiscale che spingerebbe il Paese verso un sistema di fatto confederale, cristallizzando diritti diversi a seconda della residenza: avremo tante cittadinanze quante sono le Regioni, con contenuti incomparabili e discriminatori;

Non si può far passare come un contributo di solidarietà delle regioni del Nord verso quelle del Sud una parte della fiscalità da esse prodotta, come se fosse di sua pertinenza, perché la solidarietà costituzionale è un dovere dello Stato verso le Regioni e tra le Regioni, che non si possono dividere tra donanti e beneficiarie;

La funzione redistributiva delle ricchezze, svolta dallo Stato attraverso la tassazione (art. 53 Costituzione) verrebbe definitivamente soppiantata da un sistema in cui i ricchi di ciascuna Regione garantirebbero solo i diritti dei poveri del proprio territorio, in violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui deve farsi garante attivo lo Stato (art. 3, secondo comma, Costituzione);

La proposta in discussione, comunque la si consideri, sconvolge i rapporti tra Stato e Regioni, basati sul federalismo cooperativo e unitario, condiziona l’autonomia impositiva dei Comuni e il processo di fiscalizzazione dei trasferimenti erariali in loro favore, non garantisce il “finanziamento integrale” delle funzioni concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione, mobilità) per tutti i cittadini, non tiene conto dell’esigenza, ormai ineludibile, del riordino dei rapporti fra Stato e Regioni ispirato ad un federalismo cooperativo e unitario. E interdice una rivendicazione fondante delle autonomie locali: il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello che prevede la perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, necessari a garantire il soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni in tutto il territorio nazionale, che, attualmente, sono definite solo per alcune funzioni (istruzione e asilo nido), ma in base a parametri che stabilizzano i divari, rafforzano e migliorano i livelli dei servizi pubblici locali, là dove sono presenti, non dove mancano o sono inadeguati;

Lo Stato, negli ultimi 25 anni, si è progressivamente ritratto , specie nel Mezzogiorno, nei confronti del lavoro, dei servizi sociali e ha determinato, subendo la logica del mercato e del liberismo, una diffusione delle disuguaglianze ai più alti livelli d’Europa: non è un caso che il coefficiente di Gini, utilizzato per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza collochi l’Italia al penultimo posto in Europa, proprio a causa dei dati del Sud, che a sua volta è ultimo, con una percentuale del 33,8 di persone a rischio povertà e un reddito pro capite che è solo  il 56 per cento di quello del Nord;

La crisi sociale ed economica in cui versa il Sud rappresenta la principale diseguaglianza del Paese e rende doveroso un intervento dello Stato che realizzi appieno il diritto all’uguaglianza sancito all’art.3, secondo comma, della Costituzione. Allo stesso tempo il Sud rappresenta per il Paese una grande opportunità di crescita per l’economia nazionale e di sostegno alla domanda interna di beni e servizi: basti pensare che per ogni 100 euro spesi al Sud 40 ritornano al Nord mentre non è vero il contrario, visto che per 100 euro spesi al Nord solo 5 vanno a beneficio delle regioni del Sud. La questione meridionale rappresenta dunque una questione nazionale;

Le ricadute di questa forma di autonomia, senza aver definito prima i principi e i LEP, sarebbero gravi e pregiudizievoli, in particolare in tre settori:

  1. il Servizio Sanitario Nazionale che, dopo anni di consistenti tagli al finanziamento e mancata programmazione che ha portato ad una carenza oramai strutturale di personale medico e infermieristico, tagli ai trasferimenti alle regioni, rischierebbe di perdere i caratteri irrinunciabili di universalità e uguaglianza per tutti i cittadini, e consoliderebbe un sistema di accesso alle cure a doppia velocità e l’aumento della mobilità sanitaria con il conseguente incremento dei costi per le regioni più deboli;
  2. il sistema dell’istruzione pubblica, dove la rottura dell’unità di indirizzo e di gestione metterebbe in discussione la libertà di insegnamento e il diritto di apprendimento;
  3. in campo ambientale la situazione diventerebbe caotica comportando conseguenze potenzialmente drammatiche per ciò che riguarda la gestione in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche, di gestione dei rifiuti, di bonifica dei siti inquinati, per la tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera ed infine per la prevenzione e ripristino ambientale, trivellazioni e in materia di aree protette; anche in campo dei rifiuti ed energia vengono trasferite competenze alle regioni su materie importanti quali ad esempio consorzi, fanghi di depurazione, end of waste, compostaggio, produzione, trasporto e distribuzione energia; le imprese infatti potrebbero confrontarsi con venti legislazioni regionali diverse. Tra l’altro, la tutela delle matrici ambientali è tanto più efficace quanto più è estesa e uniforme; in nessun campo come quello ambientale è chiaro che “salvarsi” da soli, oppure a diverse velocità, non si può, né a livello nazionale né a maggior ragione a livello locale;

Bisogna cambiare, ma non disgregando. Piuttosto immaginando nuove funzioni e sinergie che ci colleghino all’Europa e sappiano valorizzare anche il ruolo dei Comuni, sempre più frontiera strategica per la buona gestione della cosa pubblica;

Per affrontare le drammatiche differenze sociali ed economiche che caratterizzano oggi il Paese è indispensabile definire i principi fondamentali attraverso cui è possibile esercitare l’autonomia differenziata e individuare i LEP (sentenza n.282/2002 della Corte Costituzionale) a partire da una «elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze acquisite e delle evidenze sperimentali acquisite»;

La proposta di autonomia differenziata non inquadrata e raccordata ai principi sopra citati nei fatti rischierebbe di produrre una prevalenza degli interessi particolari su quello generale, mettendo così in discussione principi fondamentali alla base del nostro ordinamento costituzionale;

a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, la definizione e l’attuazione dei LEP dovrebbe avvenire con il supporto dell’Ufficio parlamentare di Bilancio e della Sose;

resta poi fermo, a parere dei firmatari del presente atto, il diritto delle Camere di correggere e modificare i progetti di legge di approvazione delle intese, tutelando il complesso di garanzie che poggia sui principi della rappresentanza e dell’autonomia dell’ordinamento parlamentare;

 

IMPEGNA IL GOVERNO

1) a proseguire nel percorso di realizzazione dell’autonomia differenziata solo a seguito della preventiva definizione, con legge:

  1. a) del quadro complessivo delle modalità di attuazione dell’art.116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento ai limiti costituzionalmente previsti all’esercizio della potestà legislativa e amministrativa delle regioni interessate;
  2. b) dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da garantire su tutto il territorio nazionale, come sancito dall’art.117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e dalla legge delega n. 42 del 2009;

2) a fornire ogni idoneo supporto alle iniziative delle Camere volte al monitoraggio, al controllo, alla segnalazione e all’intervento sull’attuazione dei LEP, dando seguito ai relativi indirizzi;

3) a presentare un progetto complessivo ed organico di riorganizzazione delle autonomie locali, che ripensi in termini sistematici il rapporto dello Stato centrale con le regioni, le città metropolitane, le provincie e i comuni, anche attraverso una definitiva razionalizzazione del quadro degli enti intermedi e di secondo livello;

4) a garantire, medio tempore, agli enti locali i mezzi necessari per “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite” (art.119, quarto comma, della Cost.), rimuovendo il target (legge di Bilancio 2017), secondo il quale “l’ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile dei comuni delle regioni a statuto ordinario è determinata in misura pari al 50 per cento dell’ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare”;

5) ad adottare un Piano straordinario di investimenti e di misure incentivanti, d’intesa con le Regioni e le autonomie locali interessate, per realizzare – con fondi del bilancio dello Stato, della Ue e della Cassa depositi e prestiti – al Sud infrastrutture, servizi e opportunità pari a quelli del Nord, al fine di recuperare il grave divario tra Nord e Sud del Paese in relazione anche a nuove forme di autonomia.

 

CONTE FEDERICO

 

SPERANZA ROBERTO

FORNARO FEDERICO

ROSTAN MICHELA

BOLDRINI LAURA

MURONI ROSANNA

OCCHIONERO GIUSEPPINA

BERSANI PIERLUIGI

EPIFANI GUGLIELMO

FRATOIANNI NICOLA

FASSINA STEFANO

STUMPO NICO

PASTORINO LUCA

PALAZZOTTO ERASMO