D’Attorre: l’uscita di Renzi certifica l’inadeguatezza originaria del Pd

Politica e Primo piano

Intervento su strisciarossa.it

di Alfredo D’Attorre

La nascita del nuovo governo è stato un evento abbastanza imprevedibile, frutto dell’incastro fortunato di circostanze politiche interne e internazionali. Dobbiamo dirci con franchezza che il Pd e il centrosinistra, nei 14 mesi di opposizione successivi alla sconfitta del 4 marzo 2018, non avevano fatto molto per meritarsi l’improvvisa opportunità che la decisione agostana di Salvini di aprire la crisi ha loro offerto.

Attenti agli errori di analisi

Al di là dei calcoli di convenienza di Renzi e della comprensibile resistenza iniziale di Zingaretti, la decisione di provare a costruire un’alleanza con il M5S è stata giusta, per quanto densa di rischi. Il punto è che questa decisione è stata dettata da analisi e motivazioni molto diverse, che non hanno avuto la possibilità di confrontarsi apertamente prima della nascita del governo. Sarà ora lo sviluppo del confronto politico e la concreta esperienza di governo a decidere quale di queste motivazioni prevarrà e la conseguente riuscita o meno del tentativo.

Se il governo si rivelerà solo un modo per prendere tempo e rinviare l’appuntamento con le elezioni, nella speranza che basti mandare per un po’ Salvini all’opposizione per sgonfiare l’onda d’urto della nuova destra, il risveglio rischia di essere molto amaro. Allo stesso modo, è destinata a rivelarsi illusoria l’idea che sia sufficiente aver riportato al governo una coalizione che fa stare più tranquilli l’UE e i mercati: l’opzione ‘Orsola’ per intenderci, che considera il voto delle politiche e delle europee come una parentesi che può essere chiusa semplicemente riallineando l’Italia all’Europa, senza tanti cambiamenti rispetto ai precedenti governi di centrosinistra.

Queste posizioni si fondano su un errore di analisi molto serio: confondere la fragilità politica e la caduta del governo giallo-verde nato dal voto del 4 marzo con il superamento delle ragioni sociali della rivolta popolare che quel voto aveva espresso. Quella ragioni sono ancora tutte lì e il nuovo governo è destinato a un tonfo non meno fragoroso del precedente se farà finta di non vederle o non riuscirà ad affrontarle.

La necessità di un progetto nuovo

La riuscita del nuovo governo è affidata perciò alla capacità di costruire, nel fuoco dell’esperienza di governo, un progetto nuovo, che, a partire dal tema decisivo del rapporto con l’Europa, risulti chiaramente alternativo sia rispetto al disastroso isolamento nazionalistico e anti-europeo del governo Lega-M5S, sia rispetto al messaggio di subalternità e cedevolezza a ricette sbagliate che gli esecutivi precedenti di centrosinistra hanno talora trasmesso.

Un progetto in grado di affrontare la crescita delle disuguaglianze e la svalutazione del lavoro non a chiacchiere, ma con modello di politica economica e fiscale profondamente rinnovato rispetto alle suggestioni reaganiane della Lega e al liberismo soft degli ultimi governi di centrosinistra. Un progetto in grado di affrontare la questione ambientale non con singole misure spot, ma con una strategia coerente di politica industriale, energetica, della ricerca, fondata inevitabilmente su nuove forme programmazione economica ed economia mista, incompatibili con il dogma dell’autosufficienza del mercato. Un progetto che sfidi la destra anche sul terreno dell’immigrazione, con un disegno capace di tenere insieme principi umanitari, regolazione dei flussi e controllo delle frontiere con un deciso investimento economico e culturale sulle politiche di integrazione, a partire dal superamento della Bossi-Fini e dallo ius culturae.

Pd – M5s: serve una trasformazione reciproca

Per realizzare questo progetto, le forze politiche che hanno dato vita al nuovo governo non possono restare come sono. Né sarebbe utile una semplice ‘normalizzazione’ del M5S, che regalerebbe alla destra la rappresentanza di un’ulteriore porzione del voto dei ceti popolari. La riuscita del governo è affidata a un processo di trasformazione reciproca fra centrosinistra e M5S che la nuova alleanza deve innescare.

I 5S devono liberarsi degli elementi di anti-politica, improvvisazione, propagandismo esasperato, che hanno segnato così negativamente la loro prima prova di governo. Ma nemmeno il Pd e il centrosinistra possono restare come sono, a partire dalla proposta economica e dal radicamento sociale. La collaborazione con il M5S deve essere l’occasione per tornare a parlare con un elettorato popolare che è progressivamente andato via, cambiando linguaggio, atteggiamento, proposte. Senza questo cambiamento reciproco, è molto difficile che il governo duri e riesca a fare cose utili per il Paese.

La decisione di Renzi e i problemi di identità del Pd

In questo quadro, la decisione di Renzi di uscire dal Pd e di costituire un proprio movimento politico, al di là delle motivazioni singolari con cui è stata presentata, è un elemento che nel medio periodo può accompagnare questa evoluzione del quadro politico. Renzi è convinto che un’offerta politica schiettamente liberal-liberista e dichiaratamente centrista abbia un notevole spazio elettorale. Dubito che abbia ragione, ma è meglio che questo tentativo si manifesti alla luce del sole e in autonomia piuttosto che continuare a fungere da elemento di blocco della dinamica interna del Pd.

Sbaglia però chi ritiene che l’uscita di Renzi e dei suoi risolva di per sé i problemi di identità e di linea del Partito Democratico, come peraltro testimonia la prima reazione del suo gruppo dirigente. L’idea che si possa affrontare la sfida di Renzi, che apertamente si propone di costruire una nuova egemonia politica e programmatica nel centrosinistra, semplicemente inglobando nel Pd spezzoni di ceto politico moderato o continuando a rimarcare ossessivamente il carattere “aperto e plurale” del Pd (come se questa formula dicesse qualcosa di concreto a qualsiasi italiano normale), si può giustificare con lo sbandamento delle prime ore, ma con tutta evidenza non porta da nessuna parte.

Un progetto inadeguato

L’uscita di Renzi, al di là delle sue ambizioni o illusioni, è semplicemente la certificazione finale dell’inadeguatezza del progetto originario del Pd nell’Italia e nell’Europa post-crisi. In un mondo in cui torna la politica e la necessità di idee e identità forti, la suggestione di un partito in grado di reggersi solo su presupposti metodologici – l’apertura, le primarie, il pluralismo -, senza una cultura politico-economica e una lettura della fase storica minimamente condivisa, mostra definitivamente la corda. Allo stesso tempo (e qui c’è un elemento di riflessione per chi come me e altri a un certo punto ha diviso il proprio percorso da quello del PD), esso rimane un giacimento grande e indispensabile di energie democratiche, nonostante gli errori e le sconfitte degli anni scorsi.

Si tratta allora di affrontare adesso assieme al Pd un duplice compito. Accettare in termini costruttivi la sfida egemonica di Renzi e far prevalere nel centrosinistra una cultura politica e un’agenda programmatica in grado di rispondere al bisogno di protezione, dignità del lavoro, riduzione delle disuguaglianze, ricostruzione dello Stato, che la società italiana ha espresso nel voto del 4 marzo. E fare in modo che questo nuovo indirizzo strategico del centrosinistra si traduca in una efficace azione di governo.

Un processo democratico

Un nuovo progetto ha bisogno di un nuovo soggetto. Il Pd è indispensabile, ma non basta come non bastano Articolo Uno e gli altri spezzoni del centrosinistra come sono oggi. Non è solo un problema di frammentazione: si tratta della necessità di trasmettere al Paese il messaggio che abbiamo capito gli errori del passato e che quindi serve una cosa nuova. Non tanto e non solo nel nome.

Su questo ha ragione Cacciari: la questione non è se il nuovo soggetto del centrosinistra si chiamerà nuovo Pd o Geppetto. Il punto è produrre questa novità con un processo democratico vero, che non si riduca alla scelta o alla conferma di una persona, ma che consenta quella discussione sui fondamentali in materia di economia, ambiente, democrazia, Europa, che finora è mancata.

Con meno di questo, il nuovo governo non avrà il motore del cambiamento che serve, la collaborazione con il M5S diventerà sempre più difficile, i calcoli tattici di Renzi conteranno di più e l’Italia perderà l’insperata opportunità che questa pazza crisi d’agosto ha offerto.