D’Attorre: la bussola europea è più importante di quella atlantica

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

Intendiamoci: in una situazione in cui la guerra rischia di prolungarsi ben oltre le poche settimane immaginate all’inizio e perfino di estendersi, con conseguenze economiche già adesso pesanti e inevitabilmente destinate ad amplificarsi, nessun governo europeo se la passa bene. Anche in Paesi più solidi del nostro e con maggioranze parlamentari più omogenee e fresche di legittimazione elettorale, come nel caso della Germania. E tuttavia la sensazione che la guerra stia determinando, in Italia più che altrove, un logoramento del governo e uno scompaginamento del quadro politico inizia a esserci tutta. Al punto che anche chi giudica strumentali i tentativi di smarcamento di varie componenti della maggioranza non può più ridurre solo all’inaffidabilità di alcuni partiti lo stallo politico e strategico in cui il governo rischia di entrare nelle prossime settimane.

Nell’ultimo anno, una larga maggioranza dell’opinione pubblica del Paese ha espresso fiducia nel governo e nella sua guida perché probabilmente ha capito che la presenza di Draghi poteva rappresentare un vantaggio importante per il nostro Paese. A maggior ragione, nel momento in cui avremmo dovuto, da un lato, iniziare a impiegare al meglio le risorse prese in prestito durante la pandemia (sia quelle del Pnrr di cui parlano tutti, sia quelle – ancora più vitali e immediatamente disponibili – a cui abbiamo potuto attingere con l’extra-deficit consentito dalla sospensione del Patto di Stabilità e dagli interventi della Bce), dall’altro, avviare una complicata e per noi decisiva trattativa con gli altri Paesi sulle revisione delle regole di bilancio e sul consolidamento del nuovo corso di politica economica a livello europeo.

La guerra sembra ora aver congelato questi temi. In realtà, essa rende ancora più necessaria per l’Italia una guida politica che riesca a incidere nel nuovo scenario, sia sul piano europeo e internazionale, sia all’interno sul terreno economico-sociale. E i due piani continuano a essere molto intrecciati. La scelta di schierarsi senza esitazioni dalla parte della nazione aggredita e di aiutare l’autodifesa dell’Ucraina – in un momento in cui peraltro è parsa a rischio non solo la sua integrità territoriale, ma la sua stessa esistenza come Paese sovrano – è stata sacrosanta. Ora stiamo entrando in una fase successiva, in cui all’interno dell’Occidente si apre inevitabilmente una discussione sullo sbocco e sulle finalità politiche da dare al sostegno agli ucraini. E qui diventa necessario che anche il Governo italiano assuma una posizione. Siamo d’accordo con chi, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ritiene che a questo punto la guerra debba essere condotta e “vinta” fino al rovesciamento del regime di Putin, mettendo nel conto il suo prolungamento senza limiti e il rischio di una escalation? Oppure con chi, specie in Germania e Francia, ritiene gli ucraini vadano aiutati a preservare il più possibile l’integrità del loro Paese, ma che l’obiettivo debba essere arrivare il prima possibile a un negoziato e a un cessate il fuoco, evitando l’allargamento del conflitto e giudicando avventuristico l’obiettivo di un cambio di regime in Russia prodotto dall’esterno?

Perfino al di là delle legittime preoccupazioni della nostra opinione pubblica, se il Governo Draghi è nato con l’obiettivo fondamentale di rafforzare il nostro legame con l’Europa e la nostra capacità di incidere al suo interno, non dovrebbero esserci dubbi su quali dovrebbero essere la collocazione e l’iniziativa dell’Italia. Siamo lealmente alleati degli Stati Uniti, ma in questa fase i nostri interlocutori fondamentali non possono che essere Scholz e Macron. Costruire in questo passaggio la compattezza e la comune capacità d’azione politico-diplomatica di un nucleo franco-tedesco-italiano è essenziale per tre obiettivi fondamentali: tentare di riaprire una via negoziale alla fine del conflitto, determinare una premessa indispensabile a successivi passi in avanti dell’integrazione europea, tutelare il nostro interesse nazionale. È molto difficile che la Germania sul terreno economico e la Francia su quello militare si rendano concretamente disponibili a compiere quei passi necessari per rafforzare il primo nucleo di un’Europa più integrata, se in questo passaggio cruciale ciascuno andasse per proprio conto e se un Paese come l’Italia trasmettesse la sensazione di essere più sensibile ai richiami d’oltreoceano che a costruire una posizione comune fra gli Stati decisivi dell’eurozona. Senza contare che anche gli sforzi negoziali di questi Paesi in direzione di una soluzione politica del conflitto, senza un vero coordinamento e un’unità d’intenti, risulterebbero assai meno efficaci. Un coordinamento che, peraltro, non è realisticamente raggiungibile nell’intera Unione europea a 27, in cui diversi Paesi, per storia e interesse nazionale, sembrano molto più allineati con la posizione oggi prevalente negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Insomma, oggi più che mai, il senso e il destino del governo Draghi si decide nel rapporto con i nostri partner europei fondamentali. E in questo passaggio la bussola europea è ancora più importante di quella atlantica. Senza questa consapevolezza, l’Italia difficilmente giocherà un ruolo di un qualche significato. E si troverà in difficoltà anche a chiedere a Germania e Francia un nuovo atto di solidarietà e lungimiranza per affrontare assieme le conseguenze economiche della guerra. Nel quadro di un forte rilancio sul progetto europeo, invece, la credibilità di Draghi ci può consentire di assumere quelle misure tempestive, a partire dallo scostamento di bilancio e dall’introduzione del tetto al prezzo del gas, che sono indispensabili per limitare l’impatto economico della guerra.

È ora il momento di indicare con chiarezza al Paese una prospettiva strategica, all’altezza delle grandi aspettative che hanno accompagnato la nascita di questo governo, e una visione d’insieme, in grado di chiamare le diverse forze sociali a una missione comune in un passaggio così difficile. È questo anche il modo per disinnescare i giochini elettoralistici delle forze che stanno in maggioranza come se fossero all’opposizione. Diversamente, in assenza di una forte iniziativa sul piano europeo e di decisioni incisive all’interno sul piano economico-sociale, anche i partiti che finora hanno sostenuto con responsabilità il governo non potranno che chiedersi presto quali siano diventati il senso e l’utilità di questa esperienza.