D’Attorre: cambiamo leader e linea, basta disprezzo per il populismo

Politica e Primo piano

Intervista a Il manifesto

di Daniela Preziosi

Alfredo D’Attorre (ex deputato non rieletto, ndr) l’assemblea di Mdp, il 12 maggio, è un oggetto misterioso. Cosa c’è all’ordine del giorno?

Dobbiamo uscire dallo stato catatonico in cui siamo precipitati dopo il voto. Tanto più perché siamo di fronte a un’accelerazione che impone di abbandonare tatticismi e cautele che ci hanno frenato fin qui. L’iniziativa è un’assemblea aperta in cui vogliamo interloquire con tutta la sinistra. Abbiamo invitato intellettuali, esponenti di Liberi e Uguali e della sinistra Pd, Orlando, Cuperlo, Zingaretti, e Provenzano, animatore di Sinistra Anno Zero.

A proposito di tatticismi: dovrete sciogliere il nodo del rapporto con il Pd. In LeU ci sono differenze profonde.

Abbiamo fatto una lista elettorale, l’esito è stato negativo ma dobbiamo uscire dalla depressione. Ci eravamo impegnati a costruire una forza politica. Ora dobbiamo farlo. Partendo da un fatto: LeU vive se cambia tutto. Deve essere rivoluzionata nel progetto, nel messaggio, nel gruppo dirigente e nella leadership. Un cambio di paradigma politico-culturale rispetto agli ultimi venticinque anni, non solo agli ultimi cinque, in conseguenza del quale è naturale che chi ha avuto primarie responsabilità politico-istituzionali non occupi più la prima fila. È impensabile anche riproporre cooptazioni o schemi pattizi fra gruppi dirigenti ammaccati, lo dico a partire da me. È tempo di rimettere tutto in gioco. Con un grande esperimento partecipativo: riconvochiamo l’assemblea di LeU, da lì deve partire la convocazione entro l’estate di appuntamento democratico vero, in cui chi partecipa possa scegliere fra diverse tesi politiche e leadership.

Un congresso è democratico se ci sono i delegati eletti da una base. O no?

Non siamo nelle condizioni di fare un congresso tradizionale, ammesso che abbia ancora senso. Bisogna immaginare una modalità più aperta in cui chi viene aderisce, discute e vota.

Torniamo al rapporto con il Pd.

C’è da cambiare l’impostazione. È evidente che la nostalgia ulivista non ha più senso. Ma è superata anche la rendita di posizione della sinistra radicale. Partiamo dal ridefinire radicalmente la nostra identità. A partire dal rapporto con l’Europa, dalla sovranità popolare, dall’intervento pubblico nell’economia, dalla protezione dei ceti deboli. Sono i temi di una moderna forza eco-socialista. È l’assenza di identità e di un gruppo dirigente credibile a rendere il rapporto con il Pd un’ossessione. Vediamo se c’è una nuova generazione in grado di produrre una cesura. Non c’è stato un solo elettore che non ha votato Lega perché era alleata con Berlusconi, e questo perché Salvini ha costruito un profilo netto. Non possiamo continuare a commentare il Pd o vagheggiare impossibili ritorni a casa.

Quindi il Pd, che resta il Pd di Renzi, può essere un alleato?

Nel Pd oggi non mi pare ci siano le condizioni per superare la stagione renziana. Ma il 4 marzo è finita una storia, per tutti. Dobbiamo ripensare tutto, anche le parole: anche noi abbiamo usato con disprezzo parole come populismo, la cui radice è quel popolo che vorremmo rappresentare; o sovranismo, la cui radice è quella sovranità popolare scolpita nella Costituzione; o protezionismo, a fronte di una enorme richiesta di protezione del mondo del lavoro.

Insomma una sinistra dovrebbe essere populista, sovranista e protezionista. Come la Lega?

Per contrastare la Lega dobbiamo cogliere il nucleo di verità che c’è in questa insorgenza populista, a cui la destra dà risposte e la sinistra no. Guardo con favore al documento di Podemos, Mélenchon e Izquerda portoghese in cui si parla di sovranità dei popoli come un bene da difendere dalla sovranità della finanza. O rompiamo la bolla del politicamente corretto o continuerà a votarci solo chi ha risolto i suoi problemi materiali e può fare una nobile testimonianza culturale.

E sul fronte italiano, Gentiloni a capo di un centrosinistra sarebbe potabile per voi?

Intanto gli italiani non la bevono più: dopo due mesi di stallo è evidente che non ci sono candidati premier. Non sono previsti dalla legge né dalla Costituzione. Una volta recuperata un’identità, alle tecnicalità del voto si potrà pensare con laicità. Si può fare o non fare un apparentamento. Ma annunciarlo o escluderlo a priori non ci restituisce la rappresentanza di un pezzo di società. Dopodiché è evidente che il voto ci dice che non solo non c’è il quarto polo, ma tra un po’ rischia di non esserci neanche il terzo. Rivoluzionare LeU è il primo passo per ricostruire un’area alternativa alla destra e al M5S su basi totalmente diverse rispetto al centrosinistra tradizionale.