Intervista a Il Fatto quotidiano
di Salvatore Cannavò
Massimo D’Alema si descrive come un pensionato, ma continua ad avere un’intensa attività internazionale. L’altro ieri ha incontrato il ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif, segue attentamente le mosse di Joe Biden e ovviamente il conflitto israelo-palestinese sul quale esprime un giudizio nettissimo.
Lei ha detto di sentire nostalgia per una sinistra decente nel caso israelo-palestinese. La situazione è davvero così grave?
È grave la mancanza di memoria storica. L’Italia è un paese che ha avuto una politica di amicizia per i palestinesi, un patrimonio che non è stato solo della sinistra, ma di tutte le forze democratiche, da Enrico Berlinguer a Bettino Craxi, ad Aldo Moro e molti altri. Oggi i palestinesi sono stati abbandonati dall’Italia e dall’Europa e neppure le migliori forze della sinistra sembrano in grado di tornare a dire la verità.
E quale sarebbe la verità, Israele non ha diritto a difendersi?
Israele non ha il diritto di continuare a occupare i Territori palestinesi, non ha il diritto di annettere Gerusalemme e di colonizzare tanta parte della Cisgiordania. Non ha il diritto di cacciare i palestinesi dalle loro case e non ha il diritto di aggredire le persone riunite in preghiera nella grande spianata di Gerusalemme. È questa politica della destra israeliana, avallata dagli Usa e non contrastata dall’Europa, che ha finito per rafforzare Hamas. Quello che accade oggi è che la reazione agli inaccettabili razzi di Hamas finisce per colpire indiscriminatamente la popolazione palestinese seminando una strage fra civili, innocenti e bambini. Persino nel pudico linguaggio dell’Ue e degli Usa il governo di Israele viene invitato senza grande successo a una reazione non sproporzionata.
Quand’è che la sinistra ha abbandonato i palestinesi?
Il processo ha riguardato l’intera Europa, che pure formalmente non riconosce l’annessione di Gerusalemme. La solidarietà verso i palestinesi è stata erosa negli ultimi 15 anni, in cui è maturato un sentimento anti-arabo che ha assunto forme crescenti di islamofobia. Colpisce che in prima fila con Israele ci sia la destra nazionalista venata di razzismo. Una destra erede dell’antisemitismo oggi ha convertito quel sentimento in anti-islamismo. Questo dovrebbe far riflettere il mondo israeliano e le comunità ebraiche.
Non teme di ricevere l’accusa di antisemitismo?
Io non sono antisemita, mio padre ha combattuto contro i nazisti, mio nonno era un antifascista che, lavorando alle Poste, intercettava le lettere di denuncia per cercare di salvare le famiglie degli ebrei dalla deportazione. La sinistra italiana non è mai stata antisemita, ma ritengo la politica della destra israeliana una vergogna.
Da segretario Pd sarebbe andato a quella manifestazione al ghetto ebraico?
Ho già espresso la mia opinione, trovo drammatico il cedimento culturale. In questa vicenda è in gioco la credibilità dell’occidente: non possiamo criticare Cina e Russia sui diritti umani e accettare quello che accade a Gaza e in Cisgiordania.
Si riferisce agli Stati Uniti?
Credo che il rilancio di una sfida anche ideologica sul tema dei diritti umani nel mondo, quale quella che gli Usa muovono oggi alla Cina e ad altri attori, debba essere coerente. L’incoerenza non è ammissibile. Per fortuna negli Usa c’è un gruppo significativo di parlamentari democratici che cominciano a far circolare la parola d’ordine Palestinian lives matter, io spero in questo.
Rifarebbe quella passeggiata del 2006 a Beirut con il deputato di Hezbollah?
Ero in visita a un quartiere bombardato, tra le macerie delle case e le persone ferite o uccise, non definirei questa una passeggiata. In quel caso rappresentavo il governo italiano che intervenne per fermare la guerra. Quando si vuole la pace bisogna incontrare quelli che fanno la guerra. Riuscimmo a livello internazionale a fermare il conflitto e a dispiegare una forza Onu a guida italiana, che è ancora lì e ha garantito che in quel confine non ci siano state più guerre. Lo ritengo un grande risultato.
L’altro giorno ha incontrato Zarif, cosa vi siete detti?
Conosco bene Zarif, esponente illuminato del riformismo iraniano. L’Iran sta facendo due cose importanti: rilanciare l’accordo sul nucleare boicottato dagli Usa e che oggi i Dem vorrebbero far rivivere, ma anche la ripresa di un dialogo regionale, un dialogo diretto tra Iran e l’Arabia saudita che avrebbe conseguenze importanti e positive per il conflitto nello Yemen, dove occorre ricordare che muoiono migliaia di civili.
Che giudizio ha della politica estera italiana?
Non ho motivi di critica verso Luigi Di Maio. Ma purtroppo il ruolo dell’Italia si è ridotto negli ultimi dieci anni. Capisco che l’Italia, come l’Europa, sia interessata al nuovo corso americano però questo neo-atlantismo, che ha un’ispirazione forte e democratica, deve anche misurarsi con l’esigenza di una “coesistenza pacifica”.
Che intende?
Negli anni 90 ci siamo illusi che il mondo si uniformasse al modello occidentale, mentre il mondo di oggi è frammentato e multipolare. Oggi siamo in conflitto con la Cina, sul piano tecnologico, applichiamo sanzioni alla Russia, in conflitto con l’Iran e quindi con il mondo musulmano sciita, ma anche con la parte sunnita. Vogliamo essere in conflitto con tutti? O non dobbiamo trovare un modus vivendi e una convivenza con “gli altri da noi”? Su questo vedo uno spazio della politica estera italiana che è quello del dialogo, senza rinunciare ai nostri valori. L’unico grande leader occidentale consapevole di questo è il Papa. Il gesto compiuto da Francesco nell’incontro con il capo della comunità sciita irachena è stato un gesto di grande valore.