D’Alema: Conte è progressista. Il Pd deve dialogare con il M5S

Politica e Primo piano

Intervista a Repubblica

di Concetto Vecchio

Massimo D’Alema, com’è nato il suo libro su Enrico Berlinguer?

«Nel febbraio1984 lo accompagnai a Mosca. Mi portai dietro un quaderno, che riempii di osservazioni».

Un diario?

«Sì, ho sempre preso appunti. I quaderni più divertenti sono quelli sul ’68. Mia moglie, Linda Giuva, che è archivista, un giorno lo trovò. Nel libro ho trascritto i passaggi buttati giù durante il viaggio».

Perché Berlinguer ci parla ancora?

«È ancora capace di trasmettere qualcosa, anche alle giovani generazioni che non lo hanno conosciuto. Per la critica al capitalismo, la fedeltà agli ideali della giovinezza, la dirittura morale. E poi emoziona il fatto che sia caduto in battaglia».

Ma oggi il mondo non è molto diverso?

«Sì, ma in giro c’è un rinnovato interesse verso la Prima Repubblica, come un rimpianto. E Berlinguer rappresentò, insieme a Moro, la parte più nobile di quel tempo in cui i partiti erano forti e selezionavano la classe dirigente».

I partiti erano in crisi già allora, Berlinguer lo denunciò.

«Sì, ma negli ultimi anni la sbornia antipolitica ha illuso che se ne potesse fare proprio a meno. Oggi ci si rende conto che il Paese così è più povero. Non è un caso che ha vinto Giorgia Meloni, a capo del partito più novecentesco in circolazione».

In che senso?

«Un partito ideologico che esprime un’idea di società e indica una prospettiva diversa dalla pura gestione dell’esistente. In riferimento alla nazione, alla sovranità, alla identità e alla religione è appunto un messaggio ideologico e non un programma, ma rappresenta un ancoraggio seducente nell’incertezza dell’oggi».

Non vale anche per il Pd?

«Il Pd è un partito dalla identità fragile, che non riesce a comunicare un progetto per il futuro, un modello di società. D’altro canto la scelta di un partito soltanto programmatico è stato uno degli elementi costitutivi del Pd».

Che destra affiora in queste prime mosse al governo?

«Gran parte delle promesse economiche fatte in campagna elettorale sono di difficile realizzazione e quindi temo che prevarrà il programma repressivo e reazionario: contro gli immigrati e i ragazzi che fanno casino nei rave».

Giorgia Meloni durerà?

«Non lo so. Molto dipenderà dalla capacità dell’opposizione di offrire a medio termine una prospettiva alternativa di governo».

Lei l’ha fatta scrivere per “Italianieuropei”.

«Sì, più un anno fa, la nostra rivista si occupò della destra. Meloni scrisse un articolo rivendicando l’eredità del trumpismo. Collaborò anche Lorenzo Fontana, sulla visione strategica della Lega: molto interessante».

Lei continua a ripetere che il centrosinistra ha preso più voti della destra.

«Un milione e 600mila, per l’esattezza. La destra ha preso dodici milioni di voti, gli stessi del 2018. Noi nel 2006 ne prendemmo 19 milioni. Semplicemente la destra ha saputo interpretare la legge elettorale voluta dal Pd, fondata sulle coalizioni elettorali».

Dimentica che Conte ha fatto cadere Draghi.

«A parte il fatto che Meloni ha fatto l’opposizione a Draghi, e non mi pare che questo l’abbia danneggiata elettoralmente, né ha impedito a diversi ministri di Draghi di schierarsi con lei. Conte non aveva tutti i torti a sollevare i problemi che sollevò, ma anche considerando quel passo un errore non credo che avrebbe dovuto impedire a partiti che avevano governato insieme, e bene, di allearsi».

Dicono che lei sia il consigliere di Conte.

«Non sono il consigliere dí nessuno. Mi pare che Conte si consigli molto bene da solo».

Vi sentite spesso?

«Mi capita di sentire molti esponenti politici, prevalentemente i miei compagni di Articolo Uno, o dirigenti del Pd, ma anche esponenti del centrodestra. Sento anche Conte, e quindi?».

Conte è di sinistra?

«Che fosse il punto di riferimento dei progressisti l’ha detto l’ex segretario del Pd, non io».

E l’M5S lo è?

«È votato dagli operai e dalle persone in difficoltà economica molto più del Pd. Una parte dei progressisti ha scelto Conte».

Ma cosa bisognerebbe fare ora?

«Ricostruire un dialogo e una prospettiva, se ne discute anche nel Pd. E va creato un rapporto unitario tra le forze politiche, del resto il Pd aveva investito molte risorse per fare entrare I’M55 nell’alveo del centrosinistra».

Un nuovo partito unitario?

«Con questa legge elettorale non è necessario».

Lei però un tempo era per la terza via.

«Era venticinque anni fa e sono successe molte cose nel frattempo. Ma già quando lasciai palazzo Chigi, nel 2000, dissi che il riformismo dall’alto così come noi lo abbiamo concepito non funziona».

Nel Pd in tanti pensano che lei trami contro di loro.

«Sono sospetti che non meriterebbero neanche un briciolo di attenzione. Se uno in questo Paese dice qualcosa di buonsenso passa subito per complottista».

Cosa fa adesso?

«Sto partendo per il Messico, dove a Guadalajara terrò una conferenza sul nuovo ordine mondiale, poi andrò a salutare Lula in Brasile».

Dopo quel viaggio nel 1984 la sua vita cambiò?

«A giugno Berlinguer morì. E il mese dopo, iI 20 luglio, se ne andò in un incidente stradale in Puglia la mia compagna, Giusi Del Mugnaio, giornalista dell’Unità. Ero a Torino, per un incontro sulle donne alla festa dell’Unità. A notte fonda mi telefonò Giacomo Princigalli, un caro compagno: “C’è stato un incidente. Giusi è morta”. Poi Fassino mi raggiunse in albergo».

Un trauma doppio.

«Direi che fu la fine della mia giovinezza».