Speranza eletto all’unanimità coordinatore nazionale. La sua relazione

Politica e Primo piano

Roberto Speranza è stato eletto all’unanimità coordinatore nazionale di Articolo 1 Mdp dai cinquecento delegati della conferenza politica e organizzativa. La sua relazione

Credo che queste settimane di confronto e animazione territoriale ci abbiano fatto bene e ci preparino alle sfide dei prossimi mesi. Voglio ringraziarvi tutti. Uno per uno. Questa assemblea rappresenta i nostri oltre 20.000 iscritti. Si tratta di un numero significativo nel contesto molto complicato in cui siamo. Una fiammella accesa per ripartire. Conosco bene la fatica che si è fatta per organizzare le assemblee provinciali e rimobilitare la nostra gente dopo la durissima sconfitta del 4 marzo e delle elezioni amministrative. Ma ne è valsa la pena e già questa giornata e questo percorso sono un primo passo importante per ripartire.

Il messaggio fondamentale di questa nostra assemblea nazionale è chiaro e netto: noi non ci rassegniamo. Non ci arrendiamo ad un’idea dell’Italia irrecuperabile e consegnata ormai alla nuova egemonia della destra. Non arrendersi significa battersi e resistere e significa per me lavorare per costruire l’alternativa. Non sarà facile, non sarà scontato. Ci vorrà tempo, fatica, studio e lavoro. Ma questo è il nostro obiettivo. Costruire l’alternativa e spezzare il disegno  delle nuove destre.

Diciamoci la verità. Ad oggi un’alternativa forte e compiuta non si vede e non si percepisce nel Paese. Siamo ancora nel flusso post 4 marzo e le stesse drammatiche sconfitte di Pisa, Siena, Imola segnalano una tendenza che si consolida ed una mancanza di reazione da parte della sinistra. Ho usato la parola egemonia per raccontare l’avanzata della destra. Credo che su questo valga la pena ragionare. Le loro parole d’ordine stanno, a poco a poco, diventando senso comune e arrivano dove non avremmo mai immaginato potessero arrivare. Entrano nella testa della nostra gente con una semplicità sconvolgente. Penso al prevalere della dimensione e degli interessi individuali e privatistici rispetto alla dimensione dei beni e degli interessi pubblici. Penso all’affermarsi di una personalizzazione estrema della politica, al diffondersi di una forma nuova e strisciante di autoritarismo e di richiamo all’idea dell’uomo forte  invece che un consolidamento dei principi democratici su cui si è fondata la nostra cultura politica. Penso, ancora al rovesciamento degli ideali di solidarietà, di fratellanza e persino di umanità  che si consuma ogni giorno nelle acque del mediterraneo. Penso all’inaccettabile demonizzazione delle Ong cui va naturalmente il nostro convinto sostegno.   È una vera e propria deriva. Dobbiamo chiamare le cose con le parole giuste e batterci con ogni energia per cambiare la rotta. A questo serve la nostra iniziativa e il nostro lavoro. Dobbiamo combattere e  rialzare la testa.

Certo per capire dove si è arrivati bisogna riconoscere i nostri errori. Ne abbiamo parlato in altre occasioni. La Sinistra ha pesanti responsabilità su come sono andate le cose. Non penso solo all’Italia, dove la variante tardo Blairiana e pasticciona del Renzismo ha portato alla più clamorosa sconfitta della storia repubblicana dissolvendo sostanzialmente il Pd e quello che aveva rappresentato. Penso in generale a come le forze socialiste, progressiste e democratiche in giro per il mondo si siano rassegnate all’egemonia neoliberista rinunciando ad un punto di vista autonomo e coraggioso. E da lì che si dovrà ripartire se si vuol recuperare davvero il terreno perduto.

Sono sempre più convinto che sia necessaria una nuova lettura critica del capitalismo di oggi in occidente. Esso negli ultimi decenni ha prodotto effetti distorsivi insostenibili a partire dalla sconnessione tra economia reale ed economia finanziaria, con conseguenze dannose sulla qualità della vita reale delle persone; la bassa crescita con livelli alti di disoccupazione, la precarietà e la svalutazione del lavoro, le diseguaglianze crescenti e non da ultimo l’impennata dell’inquinamento ambientale oltre ogni soglia di controllo. Da Sinistra dobbiamo ripensare il capitalismo superando una subalternità al pensiero unico dominante che ha prodotto danni eclatanti. Il modo più efficace per farlo è per me recuperare il significato originale della parola socialismo come chiave per ripensare un modello di sviluppo che così come è non regge più. Non si riescono più a difendere beni e servizi pubblici fondamentali. Penso al nostro welfare e in modo particolare al sistema sanitario universale. O ancora penso al nostro sistema formativo, leva insostituibile per la mobilità sociale che però oggi appare avvitato, indebolito e umiliato dagli ultimi interventi normativi e dalla scarsità delle risorse. O ancora penso alla necessità di nuovi investimenti pubblici come leva per lo sviluppo in modo particolare in un mezzogiorno a cui il voto del 4 marzo ha disvelato un volto di drammatica sfiducia nei confronti di istituzioni giudicate incapaci di dare risposte alla sua crisi etica oltre che sociale. In sostanza la questione che si pone è questa: dobbiamo riscoprire un nuovo ruolo attivo dello stato come soggetto fondamentale regolatore del rapporto uomo, società, ambiente. È questo il vero discrimine  per un nuovo pensiero della sinistra. E questo credo sia è un terreno di confronto naturale tra la cultura cattolica e popolare e quella della sinistra.

Assieme al ripensamento del capitalismo di oggi dobbiamo proporre una nuova lettura critica della globalizzazione dopo quella troppo ottimista che abbiamo dato e che ci ha portato a non fare i conti con tutte le conseguenze regressive che entravano nelle case e nelle vite delle persone; ancora la precarietà del lavoro, l’aumento delle diseguaglianze, l’impoverimento dei ceti medi e di quelli più deboli. La stessa rivoluzione informatica ha costituito un pezzo fondamentale della globalizzazione. È stato sicuramente uno strumento di libertà e di emancipazione. Eppure oggi attorno ad essa si pongono quesiti enormi che riguardano la proprietà e l’utilizzo dei dati da parte di pochi centri di potere economico e finanziario fuori da ogni controllo democratico.

Con la stesa determinazione dobbiamo ripensare l’attuale impianto europeo che, per come si è sviluppato, è figlio della duplice visione acritica del capitalismo e della globalizzazione che ho provato velocemente a descrivere. l’Europa è e resta per me l’unico vero tentativo di portare il potere politico ad un livello sovranazionale dove continuano a dominare la potenza dell’economia e della finanza. Vale la pena battersi per riaffermare il sogno europeo, ma su basi radicalmente nuove.  È sempre più evidente che questo impianto, costruito sulla cultura del rigore e dell’austerità, sta producendo risultati insufficienti in termini di sviluppo e di sostenibilità sociale e sta allontanando il sogno europeo dalle masse popolari. Oggi è sempre più diffusa la percezione che gli interessi popolari si difendono meglio sotto la bandiera nazionale che sotto la bandiera europea. È un grande problema che ci riguarda. Alla loro legittima domanda di protezione e di poter decidere e contare noi siamo apparsi spesso non solo come incapaci di offrire una risposta rassicurante, ma addirittura non in grado di capire che la loro domanda fosse legittima ed avesse un fondamento.

Voglio però essere chiaro su questo punto. Noi dobbiamo cambiare l’Europa. Perché questa Europa non va e non risponde ai bisogni di fondo per cui è nata. Ma l’Europa è la nostra prospettiva strategica. C’è un problema di sovranità democratica. È giusto riconoscerlo e interrogarsi. Ma non mi convince l’idea che per riaffermare la sovranità popolare sia necessario tornare indietro, distruggere l’Europa e riaffermare la centralità degli Stati nazionali. Sarebbe solo un illusione. La sfida per noi è come si costruisce una nuova sovranità europea compiutamente democratica. Non penso che dopo anni di subalternità al neoliberismo la sinistra possa risorgere con una nuova subalternità al sovranismo. Siamo e resteremo convintamente europeisti.

E un’Europa vera e solida è urgente oggi più che mai, dinanzi alla costante regressione delle relazioni internazionali e al rischio di un nuovo disordine globale di cui è emblema l’ultimo surreale incontro tra Trump e Putin che sembrano essere uniti proprio dall’idea di  indebolire l’Unione Europea. E di cui è simbolo l’instabilità del medioriente e il nuovo acuirsi del conflitto in Terra Santa.

Per proporre un’alternativa vera e solida servirà costruire, giorno per giorno, un’opposizione intelligente in Parlamento e nel Paese. Intanto io credo che nessuno di noi sia autosufficiente. Non ce la fanno da sole le forze politiche. Abbiamo bisogno di coltivare nuove alleanze sociali. C’è un Italia migliore di quella viene rappresentata da chi ci governa. Noi dobbiamo incontrarla e umilmente lavorare a connettere i tanti pezzi che ci sono. Penso alle forze del lavoro, ringrazio cgil, cisl e uil per essere qui con noi stamane, penso alle tante energie civiche e dell’associazionismo con cui si può e si deve provare a disegnare un’altra idea dell’Italia.

Noi dobbiamo fare la nostra parte, con coraggio. La mia opinione è che dobbiamo essere intransigenti e radicali sulle questioni che hanno a che fare con i valori fondamentali della nostra comunità e della nostra Costituzione. Qualche settimana fa ho denunciato formalmente alla Procura della Repubblica Matteo Salvini per istigazione all’odio razziale. È stato un atto forte, ma necessario. La responsabilità delle persone è sempre individuale. Quando si evoca una responsabilità di tipo etnico o razziale come ha fatto il Ministro della paura a proposito dei Rom si supera per me ogni limite. E su questo non c’è mediazione possibile. Bisogna essere intransigenti, che è l’esatto contrario dell’essere indifferenti. Uso il termine indifferenza nel senso gramsciano, come peso morto della storia.  Ad esempio non si può essere indifferenti quando il ministro degli interni minaccia e querela un intellettuale come Roberto Saviano a cui va tutta la nostra solidarietà. Quindi intransigenti sulle questioni fondamentali che riguardano i valori della nostra democrazia. E sfidanti e aperti al dialogo invece sulle questioni sociali. Una prima occasione arriva subito con il decreto dignità. Un decreto debole, lo stesso utilizzo della parola dignità è evidentemente dentro il solito canovaccio di propaganda di questo tempo. Eppure dentro quel testo c’è un primo timido tentativo di provare ad affrontare alcuni nodi. Le soluzioni sono deboli, ma l’indice è interessante e segna una controtendenza rispetto agli ultimi anni. Penso alle delocalizzazioni, su cui ci siamo impegnati anche noi in questa come nella passata legislatura, penso alla lotta contro il gioco d’azzardo che è sempre più un dramma di questi giorni ed in modo particolare penso al tentativo di porre un limite all’esplosione della precarietà e dei contratti a termine che nel 2017 hanno rappresentato il 90 per cento dei nuovi contratti. Voglio dirlo anche qui con nettezza. Se c’è da combattere contro la precarietà, se c’è da dare un po’ di sicurezza ad una generazione che non ce la fa più noi ci siamo. Non abbiamo paura del confronto. Su questo terreno noi ci siamo. Ma bisogna fare sul serio e con coerenza. Lo dico a Di Maio anche oggi da questo palco. Non puoi parlare di lotta alla precarietà o addirittura di Waterloo del Jobs act e poi continuare a tenere aperta nel dibattito la possibilità di far tornare i Voucher che della precarietà sono il simbolo più estremo. Questo non è accettabile! Se torneranno i Voucher daremo battaglia con ogni energia. Abbiamo i nostri emendamenti su cui sta lavorando il gruppo di Leu, piccolo nei numeri, ma di qualità. Voglio ringraziare il nostro capogruppo Federico Fornaro per il lavoro straordinario e tutt’altro che semplice di queste prime settimane. Ci siamo astenuti sui pareri in commissione per dare un segnale di apertura ma ora servono fatti. Li valuteremo senza pregiudizi con l’obiettivo di ridurre la precarietà nel nostro Paese. E voglio dirlo anche al Pd. Non continuate a sbagliare. Non fate come quel moscone che a fuori di sbattere contro la finestra finisce tramortito. Questo decreto può essere una buona occasione per dare un segnale che si è capito il messaggio degli italiani. Ad oggi, purtroppo, questo atteggiamento non si vede. Mi dispiace che una personalità come Paolo Gentiloni affermi che con meno contratti a termine ci sarà più disoccupazione. La scelta per un giovane del nostro Paese non può essere o sei disoccupato o sei precario! Messa così è una minaccia insostenibile. La Sinistra non può farsi schiacciare su questo terreno. Altrimenti non è più sinistra.

Serve un opposizione intelligente dicevo, se qualcuno pensa che ce la si può cavare sottolineando i congiuntivi incerti di Di Maio o rivendicando le scelte del passato governo si sbaglia di grosso.

È stato un errore favorire la saldatura tra Lega e 5 Stelle. Era uno scenario che si poteva e doveva evitare. E ci sono precise responsabilità perché questo è avvenuto. Ora anche nell’opposizione che si fa il nostro obiettivo deve essere dividere quel fronte, non saldarlo ancora di più, e far emergere le differenze che si vedono ogni giorno. Penso al Dl dignità, ma anche alla legittima difesa per esempio. Se nell’Italia tripolare di oggi due dei tre poli continueranno ad essere alleati non sarà facile per la Sinistra tornare a guidare il nostro Paese. Continuare a lavorare per tenere uniti lega e 5 stelle è comprensibile solo in un caso. Se chi lo fa ha in testa quel nuovo bipolarismo sistema/antistema in cui le forze di sistema si uniscono sotto il simbolo di un nuovo fronte repubblicano di ispirazione macroniana che provi nella sostanza ad unire quel che resta del Pd e quel che resta di Forza Italia. È un vero e proprio incubo, uno schema lontanissimo da noi ma che a tratti appare purtroppo realistico. Come altro si può leggere il fatto che per la prima volta la guida della vigilanza Rai venga data ad un uomo di Mediaset e di Berlusconi con i voti del Pd e l’avvallo di 5 stelle e Lega? Riesplode un conflitto di interesse senza precedenti nel silenzio di quasi tutto il mondo politico e di larghissima parte del sistema mediatico. Noi a questo schema non ci stiamo e non ci saremo mai!

Voglio esprimere rammarico anche per la ultima elezione dei giudici in Parlamento. Non solo una lottizzazione assoluta del potere a tutti i livelli, ma è grave aver eletto solo uomini, un vero e proprio ritorno al Medioevo.

Certo che dovremo fare la nostra parte. Ripartendo dal basso e riconoscendo limiti ed errori di questi anni.

Io rivendico le ragioni di fondo che ci hanno portato alla nascita di Mdp a febbraio dell’anno passato. Questa assemblea è anche l’occasione per ringraziare tutti quelli che in questi mesi, a Roma come sul territorio, hanno dato anima e corpo al nostro progetto spesso rinunciando a percorsi più comodi e garantiti. Per tutti voglio dire grazie ad Arturoed Enrico senza cui oggi non saremmo qui e che rappresentano due riferimenti nel percorso che dobbiamo ancora compiere insieme. Voglio ringraziare anche Pierluigi e Massimo per l’affetto, il sostegno e la generosità di questi mesi. Sono sicuro che la storia vi darà ragione di tante, troppe cattiverie subite in questi anni. Avevamo letto prima di altri la crisi del Pd che è ormai evidentemente un progetto superato e la rottura che si stava consumando tra sinistra e popolo. Avevamo visto e denunciato gli errori che si commettevano su scuola, fisco, lavoro, sanità, ambiente. Eppure non è bastato. Non siamo stati in grado di costruire una proposta convincente che riuscisse a recuperare una parte considerevole dell’elettorato in fuga dal Pd. Il risultato del 4 marzo è stato molto al di sotto delle nostre aspettative. Non siamo stati capaci di interpretare la domanda di cambiamento che c’era nel Paese. Abbiamo pagato anche noi il prezzo di una sinistra percepita come elitaria e distante dai problemi veri delle persone, rinchiusa nei centri delle aree urbane ed espulsa dalle periferie e  dalle aree del disagio. L’esperienza di Liberi e Uguali a cui abbiamo tutti lavorato con il massimo di determinazione e generosità non ha prodotto i risultati sperati. Un milione e centomila voti sono certamente un patrimonio da non disperdere, un punto di ripartenza per me irrinunciabile, ma è chiaro che non bastano da soli a ricostruire la sinistra nel nostro Paese.

In campagna elettorale ci siamo impegnati a dare una casa a tutti quelli che ci hanno sostenuto. Io penso che dobbiamo tenere fede a questo impegno. Un partito, a me continua a piacere questa parola, della sinistra e del lavoro è quel che serve e che manca all’Italia. Liberi e Uguali per me ha questo orizzonte ed è un primo passo per non disperdere le energie raccolte finora. È un mezzo per costruire una Sinistra nuova, larga e plurale nel nostro Paese. Un mezzo, voglio essere chiaro, non un fine. Il percorso che abbiamo intrapreso e che dobbiamo portare a termine e avere l’ambizione di guidare ha senso dentro questo disegno molto più grande che ha l’obiettivo di ricostruire la sinistra  e riportarla al governo del nostro Paese. Voglio dirlo con chiarezza: a me non interessa oggi e non interesserà mai l’idea di una piccola forza autoreferenziale e minoritaria in cui isolarci ed autocompiacerci. Non è la nostra storia. Non è la nostra cultura politica.

Allora avanti. Non nego le difficoltà e i problemi che ci sono a Roma come in molti territori. Ma credo sia giusto e doveroso  andare avanti con il percorso costituente che abbiamo avviato il 26 maggio. Avanti tutti insieme con la costruzione dell’alternativa.

Dopo l’estate bisognerà avviare la fase democratica di Leu. Una testa un voto è per noi un principio irrinunciabile. Va definitivamente chiusa la stagione pattizia tra personalità e forze politiche. Serve far decidere dal basso la nostra gente. È stato questo lo stesso limite, probabilmente inevitabile, della nomina del comitato promotore nazionale. Il percorso dal basso è l’unica strada possibile e per me è anche la garanzia di un vero rinnovamento di cui si sente il bisogno. Non vi è alcun dubbio che una fase diversa avrà bisogno di nuove idee, di una nuova generazione e di nuovi protagonismi che superino sin da subito l’immagine esterna data il 4 marzo.

E poi bisognerà sciogliere alcuni nodi che non sono banali. Le elezioni europee si avvicinano ed è chiaro che il percorso che abbiamo avviato ha senso se il nostro obiettivo è quello di concorrere con il nostro simbolo a quella tornata. Questo purtroppo non è ancora chiaro a tutti i nostri interlocutori. Per me una forza politica esiste solo se si presenta alle elezioni. La collocazione nelle famiglie europee non è tema secondario. Noi siamo molto critici con il Pse, che è la nostra famiglia di provenienza. Io sono e mi sento un socialista europeo. Me dentro quella famiglia vi sono enormi responsabilità sui processi politici europei degli ultimi anni ed in modo particolare pesa la subalternità alle politiche neoliberiste che hanno spianato la strada alla destra. Eppure è proprio dentro questa famiglia che si muovono alcune delle realtà più interessanti nello scenario politico europeo. Penso al nuovo premier socialista Pedro Sanchez, penso al premier portoghese Antonio Costa, penso poi sempre al leader laburista Jeremy Corbyn. Allora discutiamo, confrontiamoci apertamente. Il socialismo europeo per come lo abbiamo conosciuto non credo basti più, e sarà indispensabile il dialogo anche con altre forze rilevanti come Syriza o come Podemos.  Al tempo stesso però non credo si possa prescindere da quella famiglia o semplicemente archiviarla come una costola del partito popolare europeo. Ho letto il documento dei nostri tre europarlamentari che hanno fatto un lavoro importante in questi mesi e che ringrazio. Dobbiamo ancora confrontarci approfonditamente sulla materia e credo che servirà la forza di mettere in discussione e superare gli schemi esistenti. Quel che è certo è che nessuno ci può imporre diktat su un tema che ha a che fare con la nostra identità più profonda.

Allora ripartiamo, la botta è stata tosta, i mesi dopo il voto complicati. Ma ora dobbiamo ricostruire e rimetterci in cammino. Mettiamoci tutta la passione che abbiamo. Oggi c’è bisogno più che mai di una grande forza popolare, democratica e di sinistra.

È il 22 Luglio. È l’anniversario della strage di Utoya del 2011. Quel giorno lo ricordo bene.  Sono stato a lungo impegnato nell’Ecosy e nella Iusy, le organizzazioni giovanili internazionali della sinistra e quel drammatico evento mi segnò molto. Un pazzo estremista di destra arrivò armato di mitragliatore sull’isola dove si stava svolgendo il campo estivo dei giovani laburisti norvegesi e uccise 69 ragazzi indifesi motivando il suo atto con la necessità di difendere la purezza norvegese contro le ondate musulmane che i laburisti stavano consentendo. Quell’evento scosse l’opinione pubblica mondiale. Ma forse non si colse fino in fondo il suo significato. Voglio ricordarlo oggi perché la nostra democrazia va difesa ogni giorno. E perché la sinistra ha un senso se ha il coraggio di alzare le proprie bandiere e di battersi per l’uguaglianza e per la libertà. Sempre e dovunque. Buon lavoro a tutti.