Bersani: sì all’Ulivo ma rischio Unione. Ai progressisti servono ancora i 5S

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Francesca Schianchi

«Non è più tempo di parole con la A accentata», sospira Pier Luigi Bersani nel piccolo ufficio del gruppo di Leu. In che senso? «Unità, solidarietà: per l’amor di Dio, bellissime parole! Ma non è più tempo di concetti astratti: stavolta se non mettiamo nettezza nella proposta non superiamo il distacco che c’è con la destra». A tre giorni dalle Amministrative, il fondatore di Articolo Uno gioisce per i risultati – «ci siamo tolti un po’ di soddisfazioni, siamo piccoli ma leghiamo anche la sabbia» -, puro stile bersanese per dire della disposizione a tentare coalizioni e alleanze, ma già guarda al futuro, alle Politiche. E al segretario dem Enrico Letta che parla di «nuovo Ulivo» risponde chiedendogli l’apertura del partito e un manifesto incentrato sui temi sociali su cui costruire un’alleanza progressista. Perché, dopo essersi rallegrato per i risultati, «lunedì mi è venuta in testa una citazione di Orietta Berti».

Dica.

«Abbiamo risolto un bel problema, ma guardando alle Politiche ce ne restano mille».

La mucca resta nel corridoio, per dirla con la metafora con cui da anni lancia l’allarme sulla forza della destra?

«È in una fase di fermo, ma è ancora li, incombente. Se qualcuno pensa che quando si voterà alle Politiche a Monza o a Verona non ci troveremo una destra in piedi, non ha capito».

Enrico Letta parla di campo largo, di nuovo Ulivo, la convince?

«Dalle elezioni viene una pista di lavoro: dove ci siamo tolti le migliori soddisfazioni, da Parma a Piacenza a Verona, c’erano programmi ben scanditi e l’aria di un campo progressista, non di un’alleanza tra bandierine. La gente si è sentita non larga, ma progressista».

La differenza qual è?

«La costruzione di un campo progressista è fatta di due cose: una proposta nuova sui temi sociali e sul lavoro, e una costruzione politica. Il Pd, come partito perno, è disponibile ad aprirsi e rafforzarsi? Può deciderlo solo lui. E poi serve un manifesto fondamentale su cui costruire questa alleanza».

Può nascere il nuovo Ulivo?

«L’Ulivo era la promessa di un orizzonte comune. Era un gesto politico coraggioso che metteva insieme forze diverse per un progetto condiviso. Era un percorso: ci sono oggi le condizioni per questo?».

Lo chiedo io a lei. O vede il rischio che più che all’Ulivo si approdi a un bis della litigiosa Unione?

«L’inerzia della politica, combinata a una legge elettorale che espropria l’elettore, porta a una specie di Unione. Ma mi pare che Letta sia consapevole del rischio».

Come vede il M5S dopo la sconfitta nelle urne e la scissione di Di Maio?

«C’è tutto un mondo che il Movimento può ancora candidarsi a rappresentare. Certo in misura minore di prima, ma pensare di potere prescindere dal M5S è uno sbaglio».

A breve verrà fatto un nuovo decreto interministeriale per inviare armi all’Ucraina. Pensa che Conte potrebbe far fibrillare il governo ancora?

«Non penso. Ma credo sia giusto correggere un po’ del modo di procedere sul tema guerra: qui sembra che il Copasir sostituisca il Parlamento, invece non è il suo mestiere. Ci vuole più trasparenza».

Bisognerebbe desecretare la lista di armi?

«Se in Germania si può leggere la lista delle armi su Internet, è curioso che da noi la conosca solo il Copasir».

Come giudica la scissione di Di Maio?

«È apparsa come un gioco di Palazzo. Non ho ancora visto un profilo politico di quest’operazione, può darsi che arrivi: se non arriverà, si metteranno dove vedono un po’ di spazio».

Anche Di Maio sembra interessato al centro, che però è po’ affollato: ci sono già Calenda, Renzi, Brugnaro…

«Gran parte di questi che alludono a terzi poli a un certo punto andranno un po’ di qua e un po’ di là, per portare a casa un’utilità marginale. Resta solo la posizione non trasformistica, assertiva, di Calenda: lui si richiama a una nobilissima tradizione – Mazzini, Rosselli, il partito d’Azione – ma faccio sommessamente notare che quelle culture non le ho mai viste mettersi nel mezzo».

Come si fa a fare un’alleanza di centrosinistra superando i veti e i controveti degli uni contro gli altri?

«Se fossi chi dirige il traffico non li accetterei. Fisserei quattro cose sul lavoro, il sociale, i diritti, l’ambiente, e selezionerei così, con la chiarezza. Senza accento sulla A».

C’è chi vede già un Draghi dopo Draghi l’anno prossimo, che ne pensa?

«Pensare con questo stesso assetto a un Draghi dopo Draghi significa partire dal presupposto di un’emergenza continua: se è una previsione, è piuttosto negativa. Se è l’intenzione di qualcuno, a me sembra un tradimento degli interessi del Paese».

Come sta oggi il governo Draghi? Dura?

«Questo governo è necessario ma non sufficiente. Sì, deve durare, ma i temi che abbiamo di fronte pretendono una maggioranza più coerente».

Difficile che diventi più coesa nell’anno preelettorale. Draghi cosa può fare?

«Alle condizioni date, Draghi è senza dubbio il meglio che potevamo trovare. L’unica cosa, da lui mi aspetterei una pedagogia più netta».

Cosa intende?

«Ci sono temi che, anche senza poterli risolvere, vanno enunciati. La fedeltà e la progressività fiscale, ad esempio. O il principio per cui, quando c’è una crisi, chi ha di più deve dare di più».

Pensa alla patrimoniale?

«Penso al taglio del cuneo fiscale su cui tutti sono d’accordo. Ma pensano a un bonus? Ci vuole una soluzione strutturale. A parità di pressione fiscale e contributiva bisogna trovare 16-20 miliardi ogni anno: Draghi chiami tutti e faccia una riunione in cui si individua dove trovare quei soldi».

Il salario minimo?

«Sta perfettamente dentro una legge sulla rappresentanza e la contrattazione, contro i contratti pirata. Quanto alla dilagante precarietà, ci sono porte spalancate dal punto di vista normativo, poi però diamo una ventina di incentivi alle imprese perché addolciscano la pillola. E come se per fermare l’acqua alta anziché alzare le barriere del Mose si buttasse fuori l’acqua con la scopa».

Il Pd ritiene una priorità approvare la legge sullo ius scholae: lei ha speranze?

«Un po’ di ottimismo ce l’ho. Ma vede, diritti sociali e civili s’intrecciano nel vissuto delle persone: quello stesso ragazzo che ha fatto la maturità in questi giorni e non ha nessun problema se ha un compagno di colore o omosessuale, avrà presto il problema della precarietà. Diritti sociali e civili non vanno separati mai perché se no non parli alle persone così come sono».

E su un cambio della legge elettorale è ottimista?

«Io sono per una legge proporzionale, per il principio basico che ci si allea per governare e non solo per vincere. Ma non credo verrà fatta la riforma, alla destra non conviene».

Bersani, lei vuole fare parte del campo progressista e ricandidarsi l’anno prossimo?

«Mi piacerebbe dare una mano per un manifesto a partire dai temi sociali. Questo non vuol dire ricandidarsi».