Bersani: questa politica, la sinistra e la lezione del bar

Politica e Primo piano

Colloquio con Oggi

di Luca Telese

Pier Luigi Bersani, 72 anni, ex segretario del Pd, più volte ministro, è alla sua terza vita. Ogni sera in una città diversa: feste de l’Unità, dibattiti, talk show. Fa più date dal vivo (sempre affollatissime) del suo amico Vasco Rossi, che gli regalò una frase come inno per la campagna delle Primarie 2009 (“Un senso a questa storia”). Nella Casa del popolo di Asti è salito sul palco e unendosi a una band giovanile ha impugnato il microfono e ha cantato Bella ciao con una birra in mano. È un Bersani che, abbandonato il Parlamento, professa una opposizione “culturale e popolare”. Quella che racconta in questa intervista.

Lei ha inventato un tormentone accattivante ma un po’ scurrile che sta ripetendo in tutte le piazze d’Italia. E che viene applaudito ovunque.

Io scurrile? Mai. Al massimo colorito, come siamo noi emiliano-romagnoli. A quale si riferisce?

A quello che le sta facendo rischiare quasi ogni sera una querela dal generale Vannacci.

Primo: ben venga la querela.

Come come?

Nel senso che mi divertirebbe capire cosa ne pensa un giudice che dovesse valutare, insieme, le mie idee e quelle del generale. Quello che faccio, quando ripeto quella battuta, è solo un banale sillogismo.

Secondo punto?

Ho messo semplicemente in fila tre cose di questa folle estate, la prima della destra di governo, che mi sembrano clamorose, e che non possono restare senza risposta.

E cioè?

Quando ho letto che c’era un grande dibattito intorno alle parole di un tizio che rivendicava “il diritto all’odio”, sosteneva che “gli omosessuali sono anormali”, che gli ebrei hanno avuto la Shoah ma non devono lagnarsi troppo, e poi, addirittura, che le femministe sono fattucchiere… Beh, mi sono un po’ incazzato. È grave? È strano? Non si può più dire?

Il suo è un efficace Bignami del libro Il mondo al contrario. Tuttavia si nota un salto di qualità vernacolare nella lingua bersaniana.

Forse.. ma se lo faccio c’è un motivo, tra un attimo lo spiego. Prima concludo il racconto: dopo l’uscita di questo libro, si è sviluppato un curioso dibattito nel mondo della politica e soprattutto sui giornali.

Perché “curioso”?

Invece di parlare del contenuto, e cioè di queste bestialità, ci si interrogava sul tema nobilissimo della libertà di opinione.

Se cioè Vannacci in quanto militare potesse parlare o meno.

Esatto. E i difensori di queste tesi erano tutti mobilitati a dire: “Volete forse impedire a un generale di poter esprimere le sue opinioni?!”. Una roba che non girava proprio.

Perché?

A me frega zero, del dibattito se un generale possa parlare. A me interessa non far passar lisce quelle bestialità.

Che cosa significa?

Mi é venuto di dirla in un altro modo: siccome quelli sono ragionamenti da bar, la libertà di opinione non c’entra un tubo. C’entra molto, invece il modo in cui si discute nei bar.

Persino lei fa lo snob, adesso?

Il contrario, semmai: io sono qualcosa di più di un frequentatore di bar: ne sono un cultore. Nei bar delle mie parti ci sono cresciuto.

Spieghiamolo.

E cosa vuoi spiegare? Sono nato – praticamente un destino – in un paese che si chiama “Bettola”.

Che sta per locale molto popolare.

Ecco, io nel bar ci andavo a prendere il latte da bambino, ci ho giocato a briscola e tresette, ci ho passato ore a compilare le schedine al Totocalcio, quando ancora esisteva, ci ho bevuto i miei primi alcolici, da ragazzo, come tutti.

E conta?

Sono figlio di quel pezzo di Italia che ha trascorso nel bar parte del suo romanzo di formazione: questo significa che conosco il campo da gioco dove vanno i nuovi idoli della destra, occhei?

Bene: spieghi, però, il nesso tra tutto questo, la stagione della destra di governo, Vannacci e camerati vari.

É facile: se il campo da gioco della politica diventa lo spazio metafisico del bar, allora il dibattito va rivisto alla luce della “prima legge del discorso da bar”.

Perché, esistono delle leggi del discorso da bar?

Nel bar gli italiani si sfogano. Ovvero: si liberano delle costrizioni sociali, dei condizionalmente di ruolo e di condizione.

Conseguenza?

Hai presente che nel bar c’è sempre uno che arriva e urla? Un classico.

Perché?

È liberatorio. Entri in sala, e gridi, raccogli l’applauso, dici la prima cosa che ti passa per la testa, anche se magari non la pensi nemmeno. E quindi il ragionamento sul libro del generale va fatto in altri termini, più consoni alla cultura e alle leggi del bar.

Come va fatto?

Ho impostato, e condiviso con chi mi ascoltava, questa semplice equazione. Se si libera uno, ci dobbiamo liberare tutti: concordiamo sul fatto che si è aperto il Bar Italia in cui ognuno dice quel che gli passa per la testa? E allora arriviamo finalmente al vero punto politico.

Quale?

Se nel Bar Italia, in nome della libertà di opinione un generale può arrivare a sostenere che un omosessuale è un anormale, io potrò  dire che un generale è un coglione?

Ecco l’equazione. Lei è perfido.

Vede che sta già imparando la seconda legge del bar?

C’è una seconda legge?

Certo! Ed è questa: se quando la spari grossa il pubblico ride, è semplice: tu prendi punto.

Quello che lei chiama il “Bar Italia” è la nuova metafora del nostro paese nel tempo della destra di governo.

Esatto. Applicando alla loro comunicazione le leggi del bar, ne sparano davvero di tutti i colori: contro i rave, contro i giovani, contro la Resistenza, contro i poveri, che diventano divanisti, contro i giovani, che diventano drogati, gli omosessuali  per loro anormali, contro i migranti, sempre clandestini o delinquenti.

Hanno uno slogan antico: “Dio, patria e famiglia”.

Ecco, vede? Se fossi nel bar, direi solo una parola: “Lollo”.

Cioè Lollobrigida?

Il terzo punto del programma – “famiglia” – é l’unico realizzato. Famiglia Meloni, però.

Ma che succede in questo locale affollato?

Come ho detto: loro entrano nel bar e saltano sul tavolo gridando. Allora la domanda è: noi che cosa facciamo?

“Noi”, cioè la sinistra?

Certo. Vedo che c’è un istinto di molti, “politicamente coretti”, che suona così: “Che brutte cose si dicono in questo bar! Quante parolacce! In questo brutto posto non entro!”.

Ed è sbagliato?

Il politicamente corretto non mi piace. E soprattutto: ormai i campioni della destra nel bar ci sono, e arringano le masse.

Quindi lei che fa?

Seguo il mio istinto. Entro nel bar Italia, prendo cappello, punto quelli che gridano più forte e parto: “Ma che balle racconti?”.

Lei scherza, ma pare preoccupato.

Oh, beh! Questa non è una destra europea, liberale legalitaria, rispettosa delle istituzioni che abita.

No?

Noooo! È una destra che ha una coda lunga, che si srotola fino a lambire pagine buie della storia italiana. Post-fascista, neo-missina. Questa roba, ora, torna su.

Per esempio?

Ricorda la prima sparata da bar di La Russa? Ci ha raccontato che i partigiani erano degli assassini, e le vittime di via Rasella dei musicisti, pensionati austriaci che stavano portando gli strumenti ad accordare… Eddai, ma come fai a non imbestialirti?.

E poi?

I lavoratori poveri  sono tutti fannulloni. La povertà è colpa. E la sanità, per questi signori può essere solo privata…

Perché?

Perché la coda lunga del ventennio ti porta a un’idea corporativa e arcaica della società: ci può essere la sanità dei ricchi e dei poveri, degli architetti e dei dottori, una di chi può spendere e una dei morti di fame. Non a caso stanno nascendo i Pronto soccorso privati.

Lei invita la sinistra a entrare nel bar.

Ooohhhh! Noi abbiamo salvato il paese dalla pandemia, partendo dall’interesse pubblico. La sinistra avrà tanti difetti, ma ha una visione  universalistica, che parte dall’idea che bisogna salvare tutti. Loro no. Loro pensano all’individuo che si salva da sé e se soccombe ciao.

La destra della Meloni, secondo lei, non è “sociale”?

Se vedo quel che stanno facendo, direi di no. Prendi i migranti: avevano le loro belle ricette legge-e-ordine. Ma che succede poi? Che quando le applicano non funzionano. Gli sbarchi sono addirittura raddoppiati. Vogliamo raccontarlo, questo, agli avventori del bar?

So che lei usa un’ultima battuta ad effetto.

Ma non è una battuta, è una constatazione. Dico che questa destra al governo è fatta come i pedalò.

Cioè?

Ci puoi star fuori, in mare. Ma solo finché c’è il sole.