Bersani: liberalizzazioni? Ancora mi fermano per strada per ringraziarmi

Politica e Primo piano

Intervista a Il Corriere Bologna

di Luciana Cavina

Mercati aperti e contendibili normati da regole precise, naturalmente a beneficio dei cittadini. Così come era nelle motivazioni dei provvedimenti firmati dall’allora ministro Pier Luigi Bersani che hanno dato il via alla serie di liberalizzazioni. Si evocheranno dunque anche le riforme strutturali realizzate tra il 1998 e il 2000 e le famose «lenzuolate», i decreti del 2006 e 2007, nell’incontro di domani a Modena che inaugura il ciclo «Markets for people». L’appuntamento è al Teatro della Fondazione San Carlo, (via S. Carlo 5) dalle 11. Oltre al l’ex segretario Pd e fondatore di Articolo Uno interverranno Anna Argentati, dirigente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Silvia Sciorilli Borrelli, giornalista del Financial Times, Sara De Simoni, vice president programme management di Tetra Pak. Michele Polo, docente all’Università Bocconi. Modera Ubaldo Stecconi della Direzione generale della concorrenza della Commissione europea.

Onorevole Bersani, lei ha dichiarato che i provvedimenti che ha firmato avrebbero protetto i cittadini dalle prepotenze del mercato. Insomma, è questa la funzione delle regole?

«Certo, il mercato è il luogo delle regole, regole che devono impedire monopoli, posizioni dominanti, barriere corporative e difendere quindi il cittadino dalle prepotenze del mercato. Il contrario di chi chiama liberalizzazione quella dei voucher e dei subappalti a cascata. Lì si difendono le prepotenze, non i cittadini».

Hanno un effetto anche oggi, a contesti economici mutati?

«Se ancora mi fermano per strada ringraziando per la portabilità dei mutui o per le assicurazioni; se l’Alta velocità funziona in concorrenza; se l’Enel sottratto alla cuccia domestica è diventata una delle più grandi società elettriche del modo; se chi apre un negozio non deve aggirarsi fra quattordici tabelle, per tacere di tutto il resto, qualcosa che vale è pur rimasto».

Oggi l’inflazione, il caro energia e le incertezze nel panorama socio-economico stanno impoverendo anche le classi medie. Concorrenza e mercati aperti possono alleviare certe storture?

«Quando l’inflazione deriva da strozzature dell’offerta la chiave è prevalentemente geopolitica e in buona parte fuori da possibili misure nazionali. Ma misure nazionali sono assolutamente indispensabili».

Quali?

«Agire su due punti: tutelare i più colpiti redistribuendo gli extra profitti di chi ci guadagna e promuovendo nuova contrattazione e sorvegliare le catene dei prezzi per colpire fatti speculativi. Non può essere un caso che da noi l’inflazione cresce prima e cala dopo gli altri».

Sembra suggerire un approccio simile al suo all’epoca delle riforme. Del suo operato, di cosa va più fiero?

«Di aver visto che non puoi privatizzare senza un progetto industriale di liberalizzazione. Se no crei aziende monopolistiche private e, non sembri un paradosso, alla lunga le metti a rischio come aziende. Enel, Eni, Ferrovie: dove si è liberalizzato con un progetto industriale le aziende sono cresciute. Dove non si è fatto così, Telecom e Autostrade, i risultati si vedono».

Cosa invece non è riuscito a portare a termine?

«Il rimpianto più grosso è di non aver potuto trasmettere un po’ dei benefici dell’Alta velocità al servizio universale ferroviario. Il governo cadde mentre ero a metà del lavoro. Chi venne dopo, purtroppo, non vide nemmeno il problema».

L’andamento dell’economia può dipendere dalla reazione del tessuto produttivo e dal rapporto con le istituzioni. In Emilia-Romagna vige ancora un metodo di collaborazione su intenti comuni. C’è chi parla di modello…

«Quello che chiamiamo modello è una ricetta semplice da dire. Lavoro, impresa, istituzioni, università, Terzo settore: tutti sono in piedi con la loro dignità e si parlano».

Esportabile?

«Magari lo fosse! L’unico rischio che corre oggi questo cosiddetto modello è che uno dei soggetti non sia più in piedi con la sua soggettività e la sua forza. È il lavoro, che oggi viene messo in discussione con l’effetto dumping della pletora contrattuale, con il parossismo della precarietà, con lo svilimento dei salari».

Tema certamente di sinistra, ma qual è oggi lo stato di salute della sinistra italiana?

«Non brillantissimo, ma presto comincerà a stare meglio».