Bersani: destra non tocchi la Costituzione, gli italiani non lo permetteranno

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Francesco Rigatelli

Se Giorgia Meloni immagina di giurare sulla Costituzione antifascista senza riconoscere il 25 aprile e mettere mano anche solo a una virgola della Costituzione gli italiani non glielo lasceranno fare». Pier Luigi Bersani, 70 anni, cofondatore di Articolo Uno, non si ripresenta alle elezioni ma ieri era a Torino per supportare Maria Cecilia Guerra, docente di Scienza delle finanze all’Università di Modena e candidata alla Camera nella lista Pd-Italia democratica e progressista. In visita a La Stampa è stato intervistato dal vicedirettore Andrea Malaguti.

Che effetto le fa il trio di piazza del Popolo?

«Si sono ammucchiati più che uniti dopo anni di litigi, divisioni e anche insulti. Nel profondo del Paese non c’è un’ondata di destra, ma la legge elettorale può favorirli più dei voti reali in cui non saranno maggioranza. Di quei tre poi una ha fatto correre l’idea di provare anche lei. In realtà però li abbiamo già provati tutti e io dico attenti a dove mettere la croce se no poi in croce rischia di finirci l’elettore. La destra al governo ha già fatto saltare l’equilibrio di finanza pubblica. C’è poco da star tranquilli anche ascoltando le proposte su fiat tax e pensioni».

C’è uno scontro di valori a livello nazionale e internazionale, per esempio sull’aborto e sui diritti Lgbt?

«I fascisti ci sono sempre stati e ci sono ancora, un po’ mascherati o meno, come ha dimostrato l’assalto alla Cgil. Come dicevo non vedo un’ondata di destra, ma una politica regressiva che non ha fatto pienamente i conti con i valori fondamentali della Costituzione».

Lei sostiene che gli italiani non permetteranno una riforma costituzionale a colpi di maggioranza, perché?

«La democrazia non sta solo nelle elezioni e nei giochi parlamentari. L’Italia è un Paese maturo con una società civile forte. Una maggioranza non può decidere tutto. Non ho dubbi su questo. Ce li ho magari sulla tenuta dei diritti civili, quando vedo per esempio che girano come avvoltoi sulla legge 194, anche se non siamo in Ungheria».

Avverte un pericolo democratico serio come Letta?

«C’è una democrazia che rischia una regressione, un arretramento. Per me il vero rischio democratico però è che secondo i sondaggi i poveri andranno poco a votare».

Ma non doveva essere la sinistra a tutelare le fasce deboli?

«Sono disposto a seguire questo ragionamento, ma senza esagerare. Non credo che Meloni prenderà più voti operai della sinistra. La verità è che pezzi di popolo non andranno a votare nessuno e credo che questo porterà molti a riflettere su chi tutelare e quali temi privilegiare».

Come considera la campagna elettorale di sinistra di Conte anche in confronto a Letta?

«Non caricherei tutti i problemi su Letta. Il governo Conte II piaceva alla nostra gente e il M5S si sapeva che non sarebbe scomparso perché intercetta questioni vere come l’etica e l’ambiente. Accanto a questo bisognava portare dei temi complementari come quello del lavoro. Dopodiché non guardo indietro, ma le forze ora alleate del Pd sono la premessa di un nuovo campo largo».

Il campo largo non è finito?

«No e Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia con Conte e Draghi, ne è un esempio: ha ideato il reddito di inclusione che aveva meno finanziamenti, ma era fatto meglio del reddito di cittadinanza. È una persona di una competenza e di una coerenza straordinaria e sarebbe un’ottima ministra».

Intanto il Sud è un campo di battaglia. Esistono due Italie?

«No, semplicemente a Reggio Calabria c’è un reddito pro capite di 17mila euro mentre a Trento di 40mila, dunque al Sud si teme di più un’aliquota unica o una modifica del reddito di cittadinanza. Per il resto, come sui diritti, Nord e Sud sono uniti. Ora però a causa dell’inflazione le diseguaglianze potrebbero acuirsi. Il problema vero è la precarietà, che abbassa anche i salari. Bisogna disboscare il diritto del lavoro e fare un contratto di formazione che poi diventi solido».

Dopo gli ultimi incidenti cosa pensa dell’alternanza scuola-lavoro?

«Fatta bene è una cosa buona, fatta male è micidiale. Non voglio credere che un imprenditore possa sfruttare dei ragazzi e per questo vanno fatti dei controlli. Purtroppo il mercato del lavoro sta degenerando, mentre è il primo problema di politica industriale».

Se il 26 si delineasse un campo largo si potrebbero unire Calenda e Renzi per costruire un’alternativa alla destra o c’è un limite invalicabile?

«Non c’è niente di invalicabile. Se c’è da riconoscere che Calenda sia il più intelligente e Renzi il più furbo sono pronto, ma bisogna anche dimostrare serietà e risultare riconoscibili per gli elettori. Il sospetto è che invece si siano messi al centro per essere buoni per tutti gli usi e approfittarne».

Se il 26 vincesse la destra quanto durerebbe un governo Meloni con questa crisi?

«Non penso molto, ma non me lo auguro neanche. L’Italia non può fare sempre ammucchiate senza risolvere i problemi. Se dovesse durare poco poi si torni a votare».

Quanto pesa la legge elettorale?

«Io non l’ho votata e sono per il modello tedesco. Noto tra l’altro in giro molta richiesta di scegliere i propri eletti».

Perché non si è ricandidato?

«Nella vita ho disperatamente cercato di essere normale. Per anni ho fatto l’amministratore locale, il ministro e il parlamentare. Ora giro come una trottola per dare una mano, ma a tutti dico che la politica si fa anche nel partito e non per forza nei palazzi».

Prova malinconia per il passato?

«In sintesi, il potere alla fine è la straordinaria soddisfazione di cambiare qualcosa e io non ho mai lasciato un posto come l’ho trovato. Poi se uno non vuole le amarezze deve fare un altro mestiere».

Si stupirebbe di rivedere Draghi a Palazzo Chigi?

«Sì, ma non credo si sia stancato. Solo che pure lui ha percepito che una maggioranza troppo larga non funziona. La riforma fiscale per esempio serve, ma neppure Draghi è riuscito a mettere d’accordo tutti. Per questo ora dico che chi vince vada avanti e, anche rispetto a mie esperienze passate, se poi non funziona meglio votare».

Che novità sarebbe una donna come Meloni premier?

«Aprirebbe certamente la strada a una novità, ma devo dire che sento anche tante donne preoccupate e arrabbiate per la sua complicità con Orban sulla negazione dei diritti».

A proposito di politica estera, ha paura dell’atomica?

«Certo, stiamo entrando in una terra incognita e pericolosa. Esiste la geografia e l’Europa per vicinanza dovrebbe alzare la voce politica, diplomatica e di deterrenza per dire a Putin di non scherzare e all’Occidente che l’obiettivo non è la vittoria, ma la trattativa e il cessate il fuoco».

Cosa ne pensa dei pupazzi prezzolati da Putin, come li ha definiti Draghi?

«La Lega ha fatto un accordo col partito di Putin e gli accordi si fanno per darsi una mano. Salvini avrebbe dato due Mattarella per un Putin. Meloni diceva che era un grande rappresentante della cultura cristiana in Europa. Berlusconi scambiava baldacchini e piumoni. Le autocrazie hanno esercitato un fascino, ma non ci sono scorciatoie per fare bene le cose».