Bernabucci: gentilezza e altre virtù. La sinistra dopo l’Emilia Romagna

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Claudio Bernabucci

Nonostante le lucide riflessioni di autorevoli esponenti della sinistra che si ripropongono di incalzare Nicola Zingaretti nel suo tentativo di dar vita ad un “partito nuovo”, trapela evidente in alcuni settori del Partito democratico una certa propensione a sopravvalutare il significato del successo in Emilia Romagna; con l’affiorare, conseguentemente, di vecchi atteggiamenti supponenti, tatticismi controproducenti e, in ultima analisi, del sotterraneo tentativo di annacquare l’imminente Congresso rispetto alle coraggiose premesse sbandierate dal segretario.

La crisi del Partito democratico è stata analizzata da molti punti di vista – dalla cosiddetta fusione fredda sino alle degenerazioni del renzismo – ed è opportuno ricordare anche ai più timorosi o conservatori tra i democratici che si è trattato di una decadenza che ha rischiato di essere letale. Per chi le avesse troppo presto dimenticate, le gravi sconfitte elettorali tra il 2015 e il 2019, ben più contundenti delle analisi degli osservatori, sono scolpite nella pietra ad ammonire che l’unica strada possibile per risorgere è quella del rinnovamento coraggioso.

Un aspetto della crisi del PD assai poco affrontato nelle analisi esterne o nelle riflessioni interne è quello relativo alle dimensioni etica e spirituale. La rottura di sintonia in tali ambiti tra il partito storico della sinistra ed il suo elettorato di riferimento ha provocato delle lacerazioni profondissime – che ancora perdurano, molto diffuse nel paese – non meno sconvolgenti rispetto ad errori di linea politica ed economica veri e propri.

Negli scorsi anni, tra le fila della sinistra, l’ammissione più sincera che si è ascoltata in relazione a tali sfere della coscienza umana, per così dire, è stata quella di riconoscere che il PD stava soffrendo una rottura “sentimentale” con il proprio popolo.

Ora, a parte il fatto che il termine “sentimentale” a me pare inadeguato, perché l’accusa di tradimento rivolta al PD dalle classi popolari attiene più alla dimensione dello “spirito” di un corpo sociale che non a quella del suo ”sentimento”; ma, detto questo, potrà mai bastare una sia pur radicale correzione di linea politica per recuperare la sintonia con coloro che si sono sentiti traditi nello “spirito”? O per caso occorre anche tornare a riattivare fortemente il nesso tra etica e politica per sanare così profonde ferite?

La subalternità della sinistra al pensiero neoliberista negli scorsi decenni, come da più parti ammesso, non è stata delimitata infatti solo al campo economico, ma ha toccato le sfere comportamentali delle persone, la stessa identità del Partito democratico come comunità sociale. Di conseguenza, ora che questo partito vuol lasciare dietro di sé tali macerie per andare a costruire una forma nuova, come attrezzarsi per ritrovare un‘anima? É Gianni Cuperlo che si pone questo interrogativo nel suo ultimo libro “Un’anima. Cosa serve alla sinistra per non perdersi”, ma le risposte, sinora, sono state parziali.

In tutta umiltà, suggerirei di affrontare la questione anche alla luce delle dimensioni che qui ho voluto mettere in risalto, affinché da esse risulti ispirato l’impianto ideale e le scelte programmatiche del “partito nuovo”.

Nella lunga e faticosa navigazione controcorrente che le sinistre d’Occidente dovranno affrontare nell’epoca dei sovranismi e della globalizzazione ineguale, la dimensione della politica pura, che punta pragmaticamente al buon governo, dovrà intrecciarsi con quella dell’etica – come universalmente intesa dalle grandi tradizioni filosofiche – per piantare solide fondamenta culturali e suscitare quegli slanci ideali senza i quali non si modifica il corso della storia.

Negli ultimi anni, il dibattito tra gli intellettuali italiani in relazione ai temi dell’etica ha presentato, salvo rare eccezioni, un encefalogramma pressoché piatto. In compenso, dal basso, il movimento delle Sardine ha prodotto invece delle intuizioni profonde e salutari. Oltre al ruolo prezioso di ravvivare la partecipazione civile in una democrazia in affanno, leggere nei loro cartelli e ascoltare nelle loro dichiarazioni la rivendicazione della gentilezza e della solidarietà – pescate per saggezza collettiva nell’interiorità degli uomini e delle donne del movimento – produce una certa fiducia in coloro che, ancora minoranza, considerano tali valori come cruciali per una civile convivenza.

Gentilezza e solidarietà sono valori che possono essere genericamente definiti pre-politici, ma che, a ben riflettere, vanno considerati più correttamente come etici o spirituali. Senza scomodare più di tanto uno dei leader religiosi più significativi dei nostri tempi, è un fatto che il Dalai Lama da anni continua a ripetere che “la mia religione è la gentilezza”.

I rapporti tra le dimensioni della politica, dell’etica e della spiritualità meriterebbero ben più approfondite riflessioni. Qui posso solo aggiungere l’auspicio, rivolto al segretario del Partito Democratico, di esercitare fino in fondo la virtù del coraggio, che, quando è finalizzato al bene, risulta lieve e salutare per lo spirito.