Intervista a La Stampa
di Alessandro Barbera
«Alla mia età posso permettermi spassionati giudizi accademici», premette Vincenzo Visco, già ministro delle Finanze del governo Prodi e professore di Scienza delle Finanze.
E qual è il suo giudizio spassionato sulla riforma fiscale del governo Meloni?
«Non è una vera riforma. Legittima l’esistente, che è pessimo».
Che intende dire?
«Quando si imposta una riforma fiscale dovrebbero esserci indicazioni scientifiche e teoriche su come strutturare il sistema. In questa delega non c’è nulla di tutto questo. Ciò che vedo è una ricedolarizzazione del sistema: ovvero si torna a prima della riforma Visentini».
Che significa ricedolarizzare?
«Significa confermare lo status quo, grazie al quale ogni categoria di contribuente paga le tasse in maniera diversa».
Un modello corporativo insomma. Intende questo?
«Vorrei fosse chiaro un messaggio: è già così. E la causa di questa deriva sono le modifiche e le eccezioni al sistema di imposizione progressiva introdotte negli ultimi anni».
Però l’intento è quello di abbassare la pressione fiscale, che in Italia è piuttosto alta. Non è positivo questo?
«E per questo è una riforma molto costosa, per la quale non ci sono le risorse. È il filone tradizionale che in un mio libro definisco la guerra delle tasse. Da un lato c’è chi difende il welfare, e chi invece vuol tagliare le tasse per tagliare il welfare. E quel che stanno facendo con la riforma del reddito di cittadinanza. È una cosa tipica dei partiti di destra: affamare la bestia pubblica a spese della collettività. Il sistema sanitario sta per implodere, abbiamo esigenze di spesa pubblica rilevante, e qui invece c’è un taglio di tasse per tutti».
Questo però è un giudizio politico, non accademico. Sbaglio?
«Il mio è un giudizio fattuale: le schede presentate parlano di tre aliquote, ma fra le parole e i fatti c’è un abisso: a mio avviso quell’intervento costa parecchi miliardi. Poi ci sono una serie interventi sulle imprese e sugli accertamenti. C’è tutta una serie di misure che piaceranno molto alle piccole imprese e agli autonomi».
E cosa c’è di male se il governo pensa ad abbassare le tasse alla piccola impresa?
«Penso che proporre un concordato biennale a contribuenti fra i quali – lo dicono i dati ufficiali – c’è chi evade già il 70% di Iva e fatturato a mio avviso è sbagliato. Con l’ultima legge di bilancio è stato assicurato il forfait al 15% fino a 85mila euro alle partite Iva. A sinistra pochi hanno avuto il coraggio di dire che ciò significa – a parità di reddito – 10 mila euro di tasse all’anno in meno rispetto a un lavoratore dipendente. Spero che il nuovo segretario del Pd sia più avvertito che in passato su questi temi».
Anche qui scivoliamo nel giudizio politico. Sbaglio?
«La si può pensare come la si vuole. Ma questa riforma è del tutto iniqua, e si tratta di un dato incontrovertibile, perché non modifica un sistema già terribilmente iniquo, anzi: quelle iniquità le accentua. Il fisco attuale è evasione di massa, trattamento diverso dei contribuenti a parità di reddito o nella migliore delle ipotesi tassazione casuale di alcune tipologie di reddito. Non c’è un’imposta patrimoniale decente per catasto e prime case e c’è l’esenzione per tutto il settore agricolo. Posso andare avanti se vuole».
Sul catasto la riforma non dice nulla, eppure l’Europa ci chiede da tempo una riforma. Sarà un problema con Bruxelles?
«Non saprei dirle, ma Leo – che conosco da quando era un giovane funzionario alle Finanze – il tema certamente lo conosce. Probabilmente molti interventi saranno utili, sia per il lavoro che fa adesso – quello del consulente fiscale – sia per razionalizzare il sistema. Ma vedo difficile che questa riforma, se mai arriverà in porto, si permetterà di toccare gli interessi dei gruppi di interesse che hanno votato il centrodestra alle elezioni».