Pubblicato su Il Sole 24 Ore
di Vincenzo Visco
Nelle settimane che hanno preceduto la pausa estiva, si è svolto in Italia un confuso dibattito in tema di evasione fiscale, argomento su cui prevale la tendenza ad eludere, rimuovere, sottovalutare, ignorare.
Indicativo del clima prevalente è per esempio il fatto che alcuni giornali, commentando i dati (ufficiali) elaborati in proposito, abbiano intitolato (con indignazione) che il 70% dei lavoratori indipendenti (professionisti, artigiani, commercianti, ecc.) evadono le imposte sul reddito, mentre sono almeno 10 anni che le statistiche annualmente pubblicate indicano la circostanza, ben più grave, e forse per questo poco credibile e da rimuovere inconsciamente, che le menzionate categorie evadono in media il 70% dei loro redditi (e ricavi)!, e cioè che dichiarano in media solo il 30% del dovuto: si tratta di alcuni milioni di contribuenti responsabili della evasione di massa che caratterizza il nostro Paese e che non ha eguali tra i Paesi economicamente più avanzati.
Ma l’aspetto più inquietante della vicenda consiste nel fatto che le su menzionate categorie continuano a richiedere, e ad ottenere, favori, agevolazioni e privilegi che si aggiungono all’evasione che viene rimossa dalla consapevolezza generale, e anzi considerata inevitabile, parte integrante del modo di funzionare della nostra economia.
Tra questi benefici il più rilevante è il sistema forfettario, che sommandosi all’evasione, produce risultati oggettivamente stravaganti e che vanno evidenziati. Come è noto, il regime forfettario prevede che i contribuenti persone fisiche con ricavi fino ad 85.000 euro possano limitarsi a versare un’imposta del 15% di un reddito calcolato sottraendo al fatturato dichiarato una percentuale di costi presunti variabile a seconda del settore di attività. Per esempio, per le attività professionali essa è fissata nel 22%. L’imposta così calcolata sostituisce l’Iva, l’Irpef, le addizionali regionali e comunali all’imposta sul reddito, ed inizialmente anche l’Irap dalla quale questi contribuenti sono stati recentemente esclusi formalmente. Un meccanismo di imposizione ultra-semplificata può essere giustificato se applicato a contribuenti marginali, e a tal fine era stata introdotto da chi scrive (Governo Prodi II) e integrato dal Governo Renzi, ma la sua estensione alla maggioranza dei contribuenti con certe caratteristiche è del tutto ingiustificata. Un semplice calcolo ci aiuta a comprendere cosa accade in realtà, ed è bene sottolineare che qui non siamo di fronte a un caso limite bensì ad una situazione media, pienamente rappresentativa della realtà.
Prescindendo dai contributi sociali, ipotizziamo un professionista con fatturato 100 che evade, come la media dei contribuenti considerati il 70% (sia del fatturato che del reddito), dichiarando quindi un fatturato di 30, cui si applica l’abbattimento forfettario del 22%; il reddito imponibile risulterà quindi di 23,4, e applicando l’aliquota del 15%, l’imposta dovuta risulterà di 3,5, e l’incidenza effettiva del 4,5% (3,51/78). Sullo stesso reddito un lavoratore dipendente pagherebbe molto di più e il divario aumenterebbe con la crescita del fatturato dichiarato.
L’elementare algoritmo presentato può essere utilizzato per qualsiasi livello di fatturato dichiarato fino al massimo di 85.000 euro. Il risultato sarebbe comunque lo stesso: una incidenza del 4,5%. Si tenga presente che, dato il livello dell’evasione media (70%), 85.000 euro dichiarati sono in realtà 283.300 effettivi. In ogni caso, dato un fatturato dichiarato di 85.000 euro, dopo l’abbattimento forfettario del 22%, il reddito imponibile sarebbe 66.300, e l’imposta dovuta 9.945 euro (15%). Ipotizzando, a fronte del fatturato di 283.300 euro, costi effettivi eguali a quelli previsti dal forfait (22%), il reddito vero sarebbe di 220.974 euro e l’aliquota effettiva sempre del 4,5%. Allo stesso livello di reddito un lavoratore dipendente pagherebbe invece 87.930 euro pari a poco meno del 40% (39,8%): 10 volte l’aliquota del professionista evasore e forfettario, che ogni mese, a parità di reddito, avrebbe una maggiore disponibilità finanziaria di 6.500 euro!
È bene ribadire che non stiamo esaminando un caso limite, bensì il caso medio, che tiene conto di chi evade di più o di meno e anche di chi non evade affatto. È evidente anche che i guadagni sono talmente elevati che la convenienza a rimanere nei limiti di 85.000 euro di fatturato diventa irresistibile (maggiore evasione).
È sorprendente come la situazione illustrata non desti né scandalo, né contestazioni, e neppure analisi puntuali. È un fatto ormai del tutto acquisito e accettato che il carico fiscale in Italia sia ripartito in modo differente e sostanzialmente arbitrario tra le diverse categorie di contribuenti oltre che tra le diverse categorie di reddito, con un carico concentrato soprattutto sui lavoratori dipendenti (e pensionati) con redditi medi ed elevati. E forse questo è uno dei motivi del disinteresse generale.
Le proteste delle opposizioni o mancano del tutto, o rimangono generiche e poco incisive, lo stesso può dirsi dei sindacati preoccupati di non creare conflitti politici tra diverse categorie sociali. Quanto al Governo, nella delega fiscale propone improbabili concordati pluriennali con i contribuenti che rientrano nelle categorie maggiormente responsabili dell’evasione piuttosto che intensificare il contrasto nei loro confronti con tutti i mezzi disponibili (che non sarebbero pochi), e al tempo stesso ha eliminato l’obiettivo di riduzione del tax gap (evasione) concordato dal governo Draghi in Europa come parte integrante del PNRR.
Tuttavia, dato che i vincoli di bilancio si faranno sempre più stringenti, la questione dell’evasione fiscale di massa e del privilegio esorbitante previsto per alcune categorie tornerà inevitabilmente all’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche.