Pubblicato su Il Sole 24 Ore
di Vincenzo Visco
La discussione in corso sulla contrattazione salariale, il cuneo fiscale, il salario minimo dovrebbe evidenziare un elemento comune importante, poco discusso e di cui vi è scarsa consapevolezza. Si tratta della evoluzione della distríbuzione del reddito negli ultimi 30-40 anni nei Paesi sviluppati dell’Occidente. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, la quota del reddito nazionale prodotto ogni anno di spettanza dei redditi da lavoro (dipendente e autonomo) si è progressivamente ridotta, scendendo dal 65-70% del totale al 50% o anche meno come in Italia; al tempo stesso sono cresciuti gli altri redditi (profitti, interessi, royalties, rendite di ogni genere). I sistemi fiscali invece sono rimasti strutturalmente gli stessi, basati essenzialmente sulle imposte sui redditi e i contributi sociali obbligatori come strumenti principali di finanziamento dei sistemi di welfare.
Ciò ha provocato uno stress fiscale con la crescente difficoltà di finanziare la spesa pubblica, soprattutto nei Paesi europei, e ha determinato un carico fiscale troppo elevato sul lavoro rispetto agli altri redditi. La nuova situazione che si è creata dovrebbe quindi portare a una diversa configurazione dei sistemi tributari per riequilibrare la composizione del prelievo, limitando la penalizzazione del fattore lavoro a meno di non decidere di ridurre considerevolmente le dimensioni dei sistemi di welfare. Questa questione è all’attenzione degli economisti esperti di finanza pubblica da molto tempo, e viene sollevata anche in alcuni documenti della Commissione europea nei quali ci si interroga sulle possibili fonti alternative di prelievo, identificandole nel patrimonio immobiliare, nei consumi, nella elusione delle multinazionali, eccetera. In altri Paesi europei, come la Francia, accanto al prelievo contributivo sul lavoro sono stati introdotti specifici prelievi sulle altre tipologie di reddito (profitti, interessi, eccetera) in modo che anche esse contribuiscano al finanziamento della spesa sociale. In Germania si discute da tempo sulla necessità di abbandonare il finanziamento attraverso i contributi sociali almeno per quanto riguarda la sanità.
Solo in Italia la questione è assente dal dibattito politico, che insiste sulla necessità di ridurre il cuneo fiscale, ma rifiuta pervicacemente di dire come tale opportuna riduzione dovrebbe essere finanziata. L’esito deprimente, anzi inquietante, della discussione sulla delega fiscale è lì a dimostrarlo. In effetti tutte le forze politiche e sociali, Confindustria in testa, sono impegnate a chiedere riduzioni della tassazione sul lavoro a carico del disavanzo pubblico, perché l’idea di redistribuire il prelievo esistente non viene neanche presa in considerazione. Alcune forze politiche inoltre sembrano ancora convinte che, riducendo in modo sostanziale le tasse per tutti, l’operazione si autofinanzierebbe grazie all’aumento dei consumi e alla riduzione dell’evasione. Convinzione che, ove attuata, porterebbe il Paese diritto al default in tempi molto rapidi, ma che tuttora rappresenta il punto centrale della strategia di politica economica di alcuni partiti. In verità non c’è dubbio che i salari sono bassi in Italia, che il cuneo fiscale è elevato, anche se paragonabile a quello che si riscontra nei principali Paesi Europei che però dispongono di economie strutturalmente più forti della nostra. A livello di potere d’acquisto, la situazione è in parte compensata da un livello dei prezzi più basso, ma un aumento dei salari e una riduzione del costo del lavoro sembrano quanto mai opportuni. Ciò dovrebbe avvenire innanzitutto attraverso la contrattazione e l’introduzione del salario minimo, ricordando che negli ultimi anni l’intero incremento (peraltro modesto) di produttività è andato interamente ai profitti, mentre i salari si sono addirittura ridotti, caso unico in Europa.
Ma poi sarebbe necessaria una riforma fiscale vera e consapevole dei problemi sul tappeto: se si vuole ridurre la pressione eccessiva sui redditi di lavoro, bisogna tassare di più altre componenti del valore aggiunto o della capacità contributiva esistente: redditi da capitale, rendite varie, royalties, brevetti, patrimoni, redditi evasi ed elusi o indebitamente esenti, spese fiscali, trattamenti privilegiati. Non vi sono altre strade, e le proposte e le modalità per intervenire esistono e sono note, ma fin quando le forze politiche non accetteranno di guardare la realtà per quella che è, e di smettere di strumentalizzare la questione fiscale a fini elettorali, non ci sarà niente da fare. Meglio evitare di perdere tempo in discussioni oziose.