Visco: il Pd si svegli, facciamo come Biden. Serve un fisco più progressivo

Politica e Primo piano

Intervista a Il Fatto quotidiano

di Luciano Cerasa

Il fisco – un fisco più equo e progressivo (e meno eluso) – è stato un bel pezzo della sua vita pubblica, per questo a Vincenzo Visco – che ebbe la delega alle Finanze nei governi Prodi (due volte), D’Alema e Amato – abbiamo chiesto un’opinione sulle proposte gauchiste di Joe Biden in materia.

Liberalizzazione dei vaccini, aumenti di prelievo sui patrimoni e le grandi imprese per finanziare la ripresa, il welfare, i salari: l’agenda di Biden è quella della sinistra mondiale, perché trova tante resistenze nel centrosinistra italiano?

Sono molti anni che il dibattito a sinistra negli Stati Uniti è molto più avanzato che in Italia e in Europa; negli Stati Uniti, infatti, non vi sono a sinistra complessi legati a passate militanze socialiste o comuniste. Biden non fa che interpretare lo spirito del tempo, ma in Europa già si dice che la sua radicalità gli farà perdere voti. Staremo a vedere, quel che è certo è che Biden non è un radicale: la sua storia politica potrebbe farlo accostare a personaggi come Letta o Veltroni che sono oggi su posizioni molto più moderate delle sue. Per non parlare di alcuni intellettuali ex comunisti nostrani che negli Usa verrebbero considerati dei reazionari.

Tra le tante inversioni a U dell’amministrazione Biden rispetto all’èra Trump c’è la proposta ai Paesi Ocse di tassare le multinazionali con una minimum tax al 21% e calcolata sui profitti globali: che ne pensa, può funzionare?

Sono quasi 10 anni che la questione viene studiata in sede Ocse, esistono le proposte concrete e sono stati sviscerati effetti, conseguenze e dettagli tecnici. Biden ricolloca gli Stati Uniti tra i Paesi che condividono questo sforzo, ma fornisce anche e soprattutto una forte spinta che questa volta può essere decisiva. Finora tutti i tentativi si sono scontrati con l’opposizione, esplicita o nascosta, di Paesi interessati a fornire rifugio ai profitti delle multinazionali e all’azione lobbistica delle multinazionali stesse, in particolare di quelle tecnologiche. Ciò è avvenuto sia all’Ocse che a livello Ue con la proposta, avanzata dall’Italia nel 2007, di tassare le imprese europee su base consolidata ripartendo i profitti tra gli Stati: quella proposta diede origine a due disegni di direttiva rimaste non a caso lettera morta. Forse ora la situazione può cambiare, ma è presto per cantare vittoria.

Che effetti potrebbe avere per l’Italia?

A livello globale le perdite di gettito attribuibili alle multinazionali vengono stimate in 240 miliardi di dollari l’anno. I Paesi più danneggiati sono quelli in cui risiede un maggior numero di grandi imprese, Stati Uniti in testa. Per l’Italia può valere 8-10 miliardi di euro.

Poco se raffrontato ai 140 miliardi di evasione fiscale totale che si registrano ogni anno…

Certo, ma se non si contrasta con vigore l’evasione legale delle grandi imprese non si ha la legittimazione per intervenire in una situazione in cui l’evasione individuale, per quanto di massa, si limita ad alcune decine di migliaia di euro: tanti per chi non evade, ma pochi se confrontati coi risparmi fiscali possibili per le grandi imprese.

Ricchi più ricchi e poveri sempre più poveri, un fenomeno che in Italia è cresciuto col Covid: la politica fiscale può ridurre le disuguaglianze?

La politica fiscale può fare qualcosa, ma non moltissimo, perché interviene a correggere una distribuzione sperequata dopo che questa si è manifestata a causa dei meccanismi di funzionamento del mercato. Le disuguaglianze si combattono innanzitutto modificando il funzionamento attuale delle economie: dal potere dei sindacati alle retribuzioni dei manager fino ai monopoli artificiali creati da un’eccessiva tutela legale di marchi e brevetti. E poi gli effetti redistributivi più rilevanti derivano dai sistemi di welfare e non dalle tasse. Ma certo, a livello fiscale si può fare qualcosa: aumentare la progressività delle imposte sul reddito, introdurre forme ordinarie di tassazione patrimoniale, riformare le imposte di successione, impedire che spese personali dell’imprenditore e della famiglia diventino costi deducibili per l’azienda… Si potrebbe anche pensare a una tassa sui sovraprofitti o sui guadagni extra realizzati nei due anni di pandemia, ma il fisco da solo non è lo strumento risolutivo.

Draghi ha annunciato una riforma del fisco: quali dovrebbero essere gli obiettivi?

Sono passati oltre 20 anni dall’ultima riforma organica del sistema fiscale italiano, quella che porta il mio nome e che fu realizzata tra il 1996 e il 2000, dopo poco più di 20 anni dalla riforma del 1972-73. Quindi i tempi sono maturi. Quello che va fatto è semplice: un buon sistema fiscale dovrebbe rispettare due principi di fondo, quello dell’equità verticale, cioè la progressività, e quello dell’equità orizzontale, l’eguaglianza. Il sistema attuale non rispetta né l’uno né l’altro.