di David Tozzo
Tre milioni di persone sono morte in tutto il mondo per Covid-19.
Laddove “in tutto il mondo” equivale a 206 nazioni sui 221 monitorate al livello mondiale, ma la sparuta quindicina che non ha registrato decessi è composta da sperdute micro-isole più Città del Vaticano e Groenlandia (0,027 abitanti per km²).
Si può ben dire, insomma, che la pandemia sia, assieme all’influenza spagnola che ebbe una diffusione sovrapponibile, l’unica definibile tale – dal greco antico πάνδημος, pándēmos, “ciò che interessa tutte le persone” – nella storia dell’orbe terracqueo.
Persino le devastanti peste di Giustiniano (541–549) e peste nera (1346–1353), che pur fecero secondo le peggiori stime 100 e 200 milioni di morti, si “limitarono” a diffondersi rispettivamente in Europa e Asia occidentale la prima, in Europa, Asia e Africa settentrionale la seconda, lasciando le Americhe e l’Oceania indenni.
Due sono le differenze fondamentali tra la pandemia di coronavirus e quella di spagnola o qualsiasi altra prima d’ora nella storia dell’umanità: le cure e la Rete.
Cent’anni fa, per rispondere all’influenza che squassò il mondo per due lunghe annate, non vi erano medicinali e neppure antibiotici noti efficaci contro il virus, e per provare a contrastarne il diffondersi i metodi più utilizzati erano aspirine e salassi. Diffondere le notizie, circa i focolai e l’influenza stessa, era non consentito, per non intaccare il morale dei soldati impegnati allora nella Grande Guerra, da che il nome di ‘spagnola’ essendo la Spagna allora neutrale ed essendovi libertà di stampa in merito.
Oggi ci sono le cure e c’è la Rete. Questa se non ha visto agevolata una messa a sistema di dati e intelligenza artificiale tra le varie “big pharma”, le quali hanno invece calcolato come più profittevole una corsa all’oro ciascuna in solitario ordine sparso e spregiudicato verso il premio del profitto prima di tutti e sopra tutto e tutti, accaparrandosi contratti lucrosissimi e comunque puntualmente non solo non rispettati, ma disattesi in maniera clamorosa, provando a rivendersi le medesime dosi 2-3 volte, come denunciato da Mario Draghi.
Di più e di peggio: mentre continuano a calare le previsioni di consegne, continuano in maniera inversamente proporzionale ad aumentare le pretese economiche delle case farmaceutiche, da ultima Pfizer-BioNTech il cui nuovo prezzario ritoccato al rialzo del 60% vede un innalzamento della richiesta da 12, passando per 15,50, sino a 19,50 euro. Non proprio la progressività fiscale prevista dall’Articolo 53 della Costituzione, a proposito di carte non rispettate, quanto piuttosto una progressione feroce. Una provocazione folle sulla pelle di tre milioni di morti che par proprio dare ragione a chi invoca il liberare i vaccini dai brevetti.
La Rete poi consente una diffusione orizzontale dell’informazione, al netto del contraltare di bufale e fake news, e la condivisione del dolore.
È straziante a scriversi, ma nessun evento nella storia ha mai portato a una tal sorta di livella d’uguaglianza in una Spoon River Globale in cui i Paesi son più o meno invariabilmente tutti colpiti in similare misura e stessa maniera, i morti sono crudamente egualmente indistinti, in barba a sesso, razza, religione, nazione e naturalmente confini e conti in banca.
Ed è in questo presente pandemico senza precedenti che se persino la percezione dell’opinione pubblica di Stati, società e singolarità più insulari s’è necessariamente trovata a confrontarsi, se non sempre con la coscienza del dolore immediato, comunque con la consapevolezza del disastro immane, e se Sovrastati come l’Unione Europea hanno per la prima volta deciso di decidere, deragliare declini e rovesciare paradigmi, dando una risposta comune di comunità come il Next Generation EU, allora non è davvero più possibile, permissibile, che ancora e ancor più si divarichino drammaticamente le disuguaglianze sociali.
Mentre nuovi poveri nascono e sempre poveri si impoveriscono (e muoiono), il patrimonio dei primi 10 miliardari del mondo è aumentato a causa della (loro direbbero: grazie alla) pandemia di 540 miliardi di dollari complessivi, che come disvela un rapporto di Oxfam sarebbero “più che sufficienti a pagare il vaccino per tutti gli abitanti del pianeta e ad assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus“.
La bolla, il bubbone s’è gonfiato a dismisura, tanto che è già scoppiato.
Il coronavirus ha infettato il modello neoliberista di un capitalismo apparentemente eternamente immune a qualsiasi ecatombe o equità, e l’ha ucciso ingenerando in noi tutti in tutto il mondo gli anticorpi della disparità, che loro e nostro malgrado sono i nostri morti.
Il neoliberismo è morto e non se n’è ancora accorto, sta a cittadini e Stati dargli indegna sepoltura; se il SARS-CoV-2 avesse aggredito con un tasso di mortalità paragonabile al virus Ebola (50-70%) si sarebbe in ogni dove e senza inerte indugio proceduto a liberalizzare motu proprio i brevetti dei vaccini, ma naturalmente tale strage non era auspicabile, confermando un po’ ipnotizzati da un tempo già andato l’inviolabilità di proprietà e profitto privati, mentre dalla cenere dei crematori può più ragionevolmente intravedersi un nuovo, da tanto atteso e a questo punto indifferibile paradigma di condivisione comunitaria, dove la comunità è il mondo intero, interconnesso, intrecciato nel dolore e indivisibile nel domani.
Parafrasando Papa Francesco, che in questi giorni ha detto “Condividere la proprietà non è comunismo, ma puro cristianesimo” potremmo e dovremo azzardare un “La risposta al coronavirus non può essere il capitalismo, bensì nuovo egualitarismo”.
Smentendo il Premio Nobel per l’Economia 1976 Milton Friedman, secondo cui “la società che mette l’uguaglianza prima della libertà finirà con nessuno dei due, mentre la società che mette la libertà prima dell’uguaglianza si ritroverà con una più grande dose d’entrambe”. È esatto il contrario. È l’eredità del coronavirus. La sia.